22 dicembre 2021

Thru Collected: gli attori, i registi e la colonna sonora del loro stesso film - l'intervista

Era il 30 settembre quando un collettivo chiamato Thru Collected uscì definitivamente allo scoperto con un progetto chiamato Discomoneta. Un progetto interessante, che già mesi prima aveva mosso i suoi primi passi pubblicando alcuni videoclip sul proprio canale YouTube. Di che si tratta? Una label, un’etichetta, una band o un gruppo di amici? Tutte queste cose e allo stesso tempo nessuna, in realtà. Non esiste una risposta corretta ed è così che deve essere, così Thru Collected definisce se stesso, esattamente libero da ogni definizione. Niente etichette, nessun genere musicale specifico, si viaggia tra le sonorità del passato e quelle del presente: si guarda al futuro creando un suono completamente nuovo, una musica libera.

C’è Alice, c’è Altea, ci sono gli Specchiopaura, Lucky Lapolo e c’è anche Sano. Sei giovanissimi artisti napoletani che insieme ai produttori Riccardo Sergio, Rainer Monaco, Giovanni Troccoli, Giuseppe Mangiarulo, Fabrizio Zullo e Giovanni Fusco hanno dato il via a questo progetto innovativo e pieno di influenze esterne. I ragazzi mostrano loro stessi e il loro mondo facendoci venire voglia di entrare, di essere lì con loro e di infilarci nella loro testa per capire come si sentono e cosa provano, come hanno fatto a partorire un progetto così assurdo e folle. Ci fanno venire voglia di essere parte di un tutto molto aesthetically pleasing e più grande di noi.

Un gruppo di artisti che si alimentano a vicenda, dando vita ad un disco che “rappresenta la punta emersa e visibile di cose vissute, racconta gli incontri mentre si condivide la stessa immagine davanti agli occhi ancora invisibile a chi non ha ascoltato il racconto o visto il disegno”. Un album che racconta del loro primo anno in studio, dove ogni testa condivide i propri pensieri, le proprie idee e le proprie capacità mettendole a disposizione degli altri, e contribuendo a rendere il singolo un collettivo, e il collettivo in un singolo. Un progetto troppo interessante per non indagare più a fondo, ecco perché abbiamo chiesto direttamente a loro di raccontarci qualcosa!

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Ciao ragazzi! Partiamo subito con Discomoneta, un album che arriva silenziosamente all’inizio dell’autunno dopo mesi di lavoro. Il vostro obiettivo era quello di creare un progetto che non avesse etichette, che non fosse definibile e circoscritto a dei generi, pensate di esserci riusciti? Di aver centrato la vostra meta?

La meta l’abbiamo centrata nonostante non ne avessimo una. Discomoneta è nato spontaneamente e ce ne siamo accorti solo alla fine del processo, quando avevamo una manciata di pezzi riflessi di un periodo. Il disco infatti è una raccolta in cui abbiamo raggruppato gran parte di ciò che avevamo fatto senza pretendere di raggiungere una forma precisa o esporci come rappresentanti di un genere. L’unico genere che possiamo rappresentare è il nostro.

"Vorresti fare la storia della musica con me / Ma sappiamo tutti e due che è la macchina a decidere” La macchina di cui parlate è un vantaggio o una trappola? Vi sentite parte di essa?

La macchina per come la intendiamo è ciò che ci permette di essere (o meno) Specchiopaura e di vivere entro il suono. È il core (e cuore) di quelli che sono tutti gli elementi che ci hanno sempre spinto a suonare, sentire, ricercare. È tutte le luci che ci permettono di vedere a modo nostro le cose. Oltre ad avere riferimenti fisici più o meno concreti, "macchina" come synth, come esecutore di funzioni. È un simbolo, ciò che abbiamo di più caro. Per gli uomini, esistono Dio e religioni, noi preferiamo pensarla come se fosse una macchina, che secondo codici ben precisi ma ignoti conduce anche ad una selezione della quali si può essere vittime o prescelti.

Artemoneta e ATLANTE sono usciti come singoli e sono gli unici due pezzi che hanno un videoclip. Entrambi i video sono molto evocativi e danno un senso di completezza ai brani e alla vostra estetica, avete in progetto di realizzare altri short film come quello realizzato per Dronememorie?

Come collettivo audiovisivo c’è sempre un’ossessione per il videoclip. Abbiamo in cantiere grandi progetti, speriamo di riuscire a sviluppare tutti quelli che possiamo. In cima alla lista, oltre ai nuovi artisti che stanno approcciando al collettivo, vogliamo dedicare delle immagini anche ad altri pezzi di Discomoneta. La “non forma” per noi è importante, è quindi importante anche che le releases che facciamo abbiano il loro modo di esporsi al pubblico, dando ogni volta la possibilità di osservare le cose con altri schemi.

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Lavorare ed andare d’accordo in un grande gruppo di persone solitamente è difficile, lo è anche per voi o vi viene totalmente naturale? C’è stato un momento in cui avete avuto idee molto divergenti su qualche brano in particolare dell’album?

Lavorare assieme non è per tutti, non sempre ci si trova bene, il motivo per cui noi ci riusciamo è perché c’è grande sincerità e stima reciproca. I conflitti e le indecisioni nascono costantemente ma è forse proprio questo che permette la discussione su cose che altrimenti non avrebbero una tale organicità. Ascoltiamo musica diversa, abbiamo esperienze passate diverse, anche le nostre giornate sono diverse, ma quando ci si mette a lavorare assieme la sintonia è generata dal materiale che si ha davanti. Si ragiona, si prova, ci si emoziona. Il nostro approccio è estremamente laboratoriale, sebbene a volte si entri in studio con idee più chiare, si accolgono sempre le deviazioni che si presentano spesso traendone ancora più stimolo nel procedere.

È molto interessante vedere come in alcuni brani, oltre all’italiano, si mescolano frasi in inglese e in dialetto napoletano. Come le scegliete? Perché c’è questa esigenza?

Riguardo la scelta degli “slang” è tutto chiaramente molto spontaneo, ogni singolarità che sia dialettica o musicale diventa legittima dal momento in cui ci appartiene e quindi per noi risulta normale.

Per voi è importante rimanere a Napoli e diventare portavoce di un nuovo sound che non è tradizionalmente del posto oppure non è così rilevante il posto in cui lavorate in relazione al messaggio che volete far arrivare?

Il traguardo più grande sarebbe poter girare. Un messaggio è tale perché viene divulgato e non solo attraverso internet. Il nostro più che un messaggio è un manifesto, un approccio che può essere declinato a qualsiasi arte e a qualsiasi persona. Ad ogni release che facciamo ci sono tanti musicisti che danno feedback oltre il gusto musicale; alcuni colgono stimoli per fare musica, altri leggono profondità e complessità delle interazioni che c’è dietro le nostre produzioni. È bello che la musica sia materiale, sia lavorazione e non solo prodotto che ha bisogno di un utenza passiva. Tornando all’origine della domanda, forse non è importante quante siano le persone che comprano il disco o gli stream accumulati quanto tutte le esperienze che possono orbitare intorno al lavoro che facciamo: i concerti, le sessioni in studio, i remix, la condivisione di materiale, lo scambio culturale con persone fisicamente lontanissime.

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