A Roma, a inizio novembre, in una sala per concerti, vale tutto. Si possono trovare spettatori a maniche corte, sprezzanti degli spifferi, il cinquantenne con la giacca autunnale, la signora sui sessanta con il collo alto. L’eterogeneità di queste persone, però, va a coincidere nell’esperienza collettiva denominata “concerto di Anders Trentemøller”, in occasione del Romaeuropa Festival.

Un rito che inizia puntuale, alle 21:02 in una Sala Sinopoli piena dell'Auditorium Parco della Musica. Lo sottolineiamo perché non è scontato che 1200 persone si mobilitino per fruire di darkwave in un sabato sera romano. C’è lo zoccolo duro di fan della prima ora, quelli di The Last Resort e Into the Great Wide Yonder ma anche chi vuole, per un’ora e mezza, staccare e calarsi in un’esperienza immersiva. Trentemøller riesce a non far pensare ad altro all’infuori della sua musica per tutto l’arco del concerto e questo è un merito - la parola lusso affibbiata al musicista e producer danese stona - che possono concedersi in pochi.
I Give My Tears apre le danze, seguita da Behind My Eyes: è la nuova era di Trentemøller, improntata più verso il trip-hop che alle atmosfere lugubri downtempo alle quali ha abituato nel corso della sua carriera. C’è spazio anche per un solo brano di Lost, il suo terzo album per poi scivolare verso la title track che dà il nome al nuovo album: Dreamweaver.
No More Kissing in the Rain, River in Me e Dead or Alive completano il terzetto, rispondendo alla voce “brani da ascoltare live almeno una volta nella vita prima di morire”, poi, praticamente a tre quarti del concerto, Trentemøller si presenta, saluta la città di Roma svelando Nightfall, direttamente dall’ultimo disco. All’improvviso, ci ritroviamo ad un concerto degli Slowdive con qualche atmosfera shoegaze e un pizzico di Massive Attack. È sicuramente il brano che ha più colpito per profondità di bassi e atmosfera generale, ma di Anders non bisogna fidarsi. Il pezzo dopo rimescola nuovamente le carte: Vamp è accolta dalla Sala con un boato che costringe il musicista danese a chiamare tutti sotto palco. Una fiumana di persone sedute inizia quindi a mobilitarsi e arrivare davanti per uno dei pezzi più spinti dell’intera scaletta.

Spazio anche per la notissima Moan, rivisitata per l’occasione. Sul palco assieme a lui, due chitarre (di cui una voce principale), batteria e un basso, una formazione classica che è messa in discussione proprio da Trentemøller, che dà quel senso di instabilità permanente all’intera formazione e che è proprio la cifra stilistica del gruppo. Prima dei due bis, spazio anche per la cover di Cops on our Tail dei Raveonettes. Un tributo tutto in salsa alternative danese con la speciale aggiunta del glockenspiel, uno speciale xilofono di metallo (il suono di No Surprises dei Radiohead vi dice qualcosa?).
Miss You e Silver Surfer, Ghost Rider Go!!! chiudono il set: quest’ultima quasi infinita, con il pubblico ormai in visibilio, nessuno più seduto al proprio posto, vale tutto ma consapevolmente. Trentemøller è un caos ordinato, che dà sempre l’impressione di controllare ogni singolo suono che produce, realizza. Nulla è dato al caso: collabora con gli altri artisti sul palco, indica quando una chitarra deve attaccare su quel pezzo, quando invece è il basso a farla da padrone su un altro. Insomma, il musicista danese è un direttore d’orchestra e quale posto migliore per confermarlo se non all’Auditorium.
Usciamo dal caldo abbraccio della Sala, un po’ scossi ma soddisfatti. La brezza d’aria si è fatta più gelida rispetto a quando siamo entrati. Le maniche corte di quel ragazzo sono coperte ora da un golf, mentre la giacca del cinquantenne e il collo alto della signora sono spariti. Loro erano sotto palco, hanno bisogno di un attimo per riprendere aria.
Gallery fotografica a cura di Liliana Ricci.