07 settembre 2016

Rock e Festival: Quattro Chiacchiere con I Ministri

E’ molto facile perdere il senso del tempo e degli anni che passano, soprattutto di fronte a gruppi che per fattori geografici, di gusto o circostanza sono in qualche modo onnipresenti nella nostra vita. Questo è il caso dei Ministri, tre ragazzi che fanno rock da ormai 12 anni. Cinque album e interminabili tour li hanno portati a girare i quattro angoli della penisola costruendosi un’ottima reputazione dal vivo, sia a livello musicale che caratteriale. Attualmente la band è in tour per promuovere l’ultimo album “Cultura Generale”, registrato a Berlino e prodotto da un tale Gordon Raphael (...Is This It e Room On Fire degli Strokes, ve lo ricordo anche se dovreste già saperlo). Benché l’album abbia ottenuto recensioni molto variegate da parte dei fan, il de gustibus non ferma di certo il pubblico dei Ministri dal tornare a vederli dal vivo ogni volta che passano in città.

Noi li abbiamo visti al Live Club di Trezzo ad aprile ed è stato un vero piacere rivederli e incontrarli per la prima volta ad Home Festival. E’ stata un’intervista a tutti gli effetti, e se non vi sembra tale è perché è stata molto più simile ad una chiacchierata tra amici mentre si beveva birra ghiacciata cercando di evitare una congestione (con la sottoscritta che faceva sforzi immani per non farsi distrarre dagli occhi blu di Divi, frontman del gruppo, e dal concerto dei Cani in sottofondo).

Ciao ragazzi! Essendo ad un festival ed essendo voi reduci dalla partecipazione ad un festival importante come lo Sziget vorrei partire proprio da qua: come è andato il vostro ritorno nell’isola di Obuda?

Federico: E’ andato benissimo grazie! Era la seconda volta che tornavamo ed è andata meglio della prima, quando ovviamente abbiamo suonato su un palco più piccolo. L’accoglienza del pubblico è stata ottima: gli italiani ovviamente sono sempre la maggioranza quando suoniamo all'estero, ma c’era anche qualche straniero. Ad esempio in prima fila c’era una ragazza ungherese che era stata lasciata dal tipo italiano, ma dato che lui l’aveva stressata con la nostra musica lei alla fine è diventata fan! Cantava tutte le canzoni.

Divi: I Ministri, per il tipo di musica che fanno (soprattutto in un ambiente come lo Sziget), riescono facilmente a coinvolgere ogni tipo di pubblico: quando uno straniero passava c’erano buone probabilità che questo venisse coinvolto nel delirio generale! D’altronde è la forza del far festa all'italiana, dopotutto tutti noi godiamo di un’ottima reputazione di gente silenziosa e composta (ride)

Se doveste scegliere un festival, italiano o internazionale, al quale vorreste partecipare, quale scegliereste?

Tutti: GLASTONBURY!

Seconda opzione?

Federico: Forse l’YpsigRock in Sicilia.. o il Primavera a Barcellona.

Divi: io inventerei un festival su un’isola caraibica abbandonata. Sole, mare, noci di cocco e solo donne ammesse come pubblico. Il Figet Festival!

Come è stato invece il ritorno ad Home Festival? Avete già suonato nelle passate edizioni. Come pensate stia cambiando?

Federico: stanno facendo un lavoro molto coraggioso. L’area si è ingrandita e il festival sta diventando sempre più internazionale.

Divi: di questo passo andrà a finire che la prossima volta suoniamo alle 3 del pomeriggio!

Federico: E’ molto bello, è la dimostrazione che si può fare qualcosa per la musica anche qui in Italia. Finita l’era dell’Heineken Jammin Festival da speranza vedere che c’è gente che lavora seriamente per dare vita ad un vero festival. E’ figo vedere come qui ad Home lavorino persone che hanno la voglia e le capacità per fare le cose come si deve, conoscendo sia il pubblico che gli artisti.. e questo è sempre un fattore fondamentale!

I festival sono nati e cresciuti grazie alla musica rock e alla sua ideologia, basti pensare a Woodstock, all’Isle of Wight festival e in generale ai grandi festival britannici. Pensate che il fatto che in Italia non esistano dei veri e propri festival sia legato in parte alla minore popolarità del rock rispetto ad altri paesi?

Federico: in realtà credo sia un discorso molto più laterale che parte innanzitutto dalla scarsa promozione degli artisti rock in Italia, partendo dai gruppi italiani stessi. La gente ascolta il rock in Italia, basti pensare alla velocità con cui i Foo Fighters e Bruce Springsteen fanno sold out in stadi e arene, ma magari se alle persone capita di ascoltare una canzone alla radio o in giro spesso e volentieri non sanno nemmeno chi stia cantando, di dove sia e quando ci sia un concerto. A mio parere la colpa è dell’Italia stessa, perché gli italiani ai concerti rock ci vanno.

Divi: secondo me non c’è sufficiente voglia di investire nella musica rock per vari motivi, forse anche perché quando in passato ci sono state ondate di grande popolarità di questo genere nel nostro paese molti progetti di varia natura (inclusa la promozione) sono falliti.

Federico: secondo me dipende anche dal fatto che in Italia ci sono schieramenti politici che hanno un comportamento simile a quello del sindaco di Springfield dei Simpson: hanno sempre paura di agire. Ad esempio la destra non si sente coinvolta in nulla che abbia a che fare con la cultura, e di conseguenza non sostiene progetti culturali. Insomma, sono cose che la nostra politica si trascina dietro da tempo e che a livello europeo riguardano solo l’Italia.

Divi: l’ottimismo c’è sempre, così come il rock! E’ un genere che non morirà, le persone continuano ad amarlo, lo vogliono suonare e ascoltare. Poi diciamocelo, ad un concerto rock ne succedono di cose, ad un concerto dove usano le basi invece è una noia mortale perché è piatto e tutto uguale!

Spesso però è anche l’industria musicale a dare al pubblico quello che chiede! Non pensate che funzioni anche il ragionamento inverso, ovvero che i gusti del pubblico, le mode e la tecnologia finiscano per influenzare gli artisti e il volere delle case discografiche?

Divi: senza dubbio, difatti penso che dipenda molto dalle abitudini di consumo che le persone hanno acquisito oggigiorno. Il fatto di ascoltare sempre musica patinata, con suoni perfetti e ritoccati con le tecnologie di cui disponiamo ha (mal)educato le persone a un certo tipo di ascolto. Di conseguenza ci si abitua ad ascoltare (ma soprattutto a voler ascoltare) sempre suoni perfetti e senza sbavature, suoni che di certo non fanno parte di un concerto rock. Bisognerebbe ricordare alle persone che se le canzoni degli Who o dei Doors suonano “sporche” è perché la musica dal vivo è viscerale, spontanea e autentica, non perché è stata registrata male. Quindi in questo panorama del mercato dove tutto è perfetto e suona pulito il rock trova poco spazio.

Al MIAMI festival di quest’anno avete suonato per intero “I soldi sono finiti”. La scelta di suonare un album per intero, soprattutto ad un festival dove il pubblico è molto eterogeneo e non necessariamente vostro fan, è azzardata. Cosa vi ha spinto a farlo?

Federico: lo abbiamo suonato dall’inizio alla fine perché quest’anno il nostro disco d’esordio compie 10 anni, e farlo proprio al MIAMI ci sembrava un modo diverso di tornare a questo festival dove abbiamo già suonato parecchie volte. Suonare un album per intero è qualcosa che faremo di nuovo in futuro, ma solo in occasione di anniversari importanti. Parlando del decimo compleanno de “I soldi sono finiti”, abbiamo in mente di fare qualcosa di speciale questo autunno per festeggiare come si deve!