Caracal Disclosure 25 settembre 2015
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Quando ho cominciato a recensire Caracal (PMR + Island, 2015), il “sophomore” album dei Disclosure, duo britannico di musica elettronica, questo disco non era ancora uscito. No, non l’ho ascoltato in anticipo perché l’etichetta è stata così gentile da spedircelo per pubblicare un elogio prestampato decorato con una sfilza di “COMPRATE IL DISCO” ed altra pubblicità porno con annessi consigli contro l’impotenza. Ho potuto ascoltarlo perché, tra singoli ufficiali e singoli promozionali, i Disclosure avevano già messo in rete cinque tracce del disco, sei se si considera l’edizione deluxe.

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Nulla di eccezionale: ad oggi il vaglio della rete, l’onnipotente, onnisciente e democratica Rete, è un passaggio di rito nel processo di espansione artistico-commerciale. Nonostante ciò, si discute ancora se i prodotti artistici debbano essere resi fruibili gratuitamente al pubblico, specie se si tratta di piattaforme adibite proprio a tale scopo, come Spotify. Indubbiamente, le Taylor Swift o Bjӧrk di turno hanno torto marcio nello schierarsi contro siffatti processi, parlando addirittura di «rispetto». I Disclosure invece hanno capito (e non sono certo gli unici) che il mercato musicale non si può basare forzatamente sull’effetto sorpresa ma che, invece, sta all’ascoltatore la scelta del criterio sul quale basarsi nell’acquisto di un disco. Naturalmente, il duo britannico è appoggiato da un’etichetta che permette ciò, ovvero un' etichetta sufficientemente intelligente da analizzare il mercato e capire che se “c’è crisi” e i dischi non si vendono più – nemmeno dopo simili preview – a maggior ragione bisogna cambiare la politica delle pubblicazioni.

Tornando alla musica, ciò che più aveva fatto discutere di Settle (album di debutto) era la costante presenza di “ospiti” su circa ogni traccia e il ruolo che questi avessero sia a livello tecnico sia promozionale. Dopo il successo ottenuto con Settle, su Caracal i Disclosure si sono potuti permettere cachet decisamente più alti perché, naturalmente, i featuring si pagano. Sebbene tale procedura sembri una sorta di contratto “a chiamata” per cui l’artista crea il pezzo e chiede ad un altro di prestare la voce o qualunque altra cosa, i fratelli Lawrence non lavorano così. Al processo creativo (qualunque cosa significhi) dei loro brani – quelli in collaborazione con altri – partecipano sia i fratelli Lawrence sia l’ospite di turno. Questo per quanto riguarda l’aspetto puramente tecnico-musicale.

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A livello promozionale, invece, le cose sono mutate profondamente da Settle a Caracal. Dal «chi è chi» del debutto, si è passati all’«oggi premiere del brano con Lorde». In questo processo c’è stato uno dei featuring del primo disco che nel frattempo ha raggiunto un successo di gran lunga superiore a quello degli stessi Disclosure: è, ovviamente, Sam Smith. Sam Smith cantava Latch in Settle, e non era nemmeno il singolo di punta del disco. La popstar britannica è presente anche in Caracal, nel singolo Omen, il cui video è il più visualizzato tra quelli pubblicati per promuovere l’album. E non c’erano dubbi, considerando l’hype che gira intorno a Sam Smith.

Sebbene Omen conservi tutte le sonorità disclosuriane, sembra invece che la voce di The Weeknd sul brano di apertura del disco, Nocturnal, abbia reso la cosa molto più “poppeggiante” di quanto si potesse immaginare. Su Magnets, invece, il brano con Lorde, sembra che la cantante sia perfettamente coesa con la musica dei Disclosure al punto che quasi non sembra sia la sua voce, se si ascolta il brano prima di leggere titolo e crediti. Quasi lo stesso si può dire per Miguel, su Good Intentions. E questa è una prova del fatto che i Disclosure scelgano i featuring solo in base al loro gusto personale e che nel processo creativo tengono poco conto del puro fine promozionale.

Per questo, nonostante le presenze importanti – tra cui quella di Gregory Porter in Holding On –, non mancano nomi davvero deboli sul piano promozionale. Si tratta dei LION BABE, che collaborano con i Disclosure su Hourglass, un brano che poteva tranquillamente essere inserito in Settle ma non per questo toglie valore a Caracal. E ancora, Willing & Able, con Kwabs e la sua voce soul. Per quanto sarebbero questi artisti a guadagnarci dalla presenza sul disco più che i Disclosure stessi, ai fratelli Lawrence non importa né fare promuovere sé stessi, né, tanto meno, farlo per gli altri. L’unico e già citato criterio con cui i Disclosure scelgono i featuring è basato sull’ammirazione tecnico-artistica.

Ma i Disclosure non vivono solo di featuring. Sia su Settle che su Caracal vi sono infatti tracce senza ospite. La voce che canta Jaded, settima traccia (è anche un singolo) di Caracal, è quella di Howard Lawrence, che, insieme a suo fratello Guy, forma i Disclosure. Indubbiamente lontano dalle tonalità di The Weeknd e Sam Smith, oltre che dalla “sensualità” di Miguel, Howard riesce comunque bene ad interpretare la parte di cantante. Jaded è quindi un brano puro fatto in casa Disclosure che non può considerarsi una delle «tracce deboli» del disco, come ha scritto Robert Copsey su Digital Spy parlando delle tracce prive di featuring di Settle: Second Chance e Grab Her!. Tralasciando la prima canzone, sulla seconda si può dire veramente poco di male. Anzi, nulla. Perché il sample di quella canzone è estratto da The Look of Love Pt.1, del 1999, degli Slum Village (J-88), gruppo hip-hop fondato da un certo J Dilla, che lasciò il gruppo nel 2001 per intraprendere la carriera solista. La musica di J Dilla è semplicisticamente una delle basi per l’hip hop ed il rap ’00-’10, con una carriera di produttore allo stesso – altissimo – livello.

J Dilla, come ha dichiarato lo stesso Guy Lawrence in un’intervista per Pitchfork, ha avuto una «forte influenza» anche nella realizzazione di Caracal, rendendo di fatto i Disclosure un gruppo in cui convergono sonorità house, pop ed hip-hop. L'albu, dunque, ha tutto il sapore di una signora conferma ma è azzardato parlare di “capolavoro” soprattutto se si pensa alle debolezze pop di Nocturnal, tuttavia compensate dal lavoro pregevole che i fratelli Lawrence hanno svolto su Hourglass ed Holding On. A questo punto si può rispondere alla domanda: vale la pena di comprare il disco? La risposta è . Anche perché l’etichetta mi ha pagato per dirlo e prenderà una bella parola a caso da stampare sulle locandine per la metro di Londra.

Il prossimo 16 febbraio i Disclosure suoneranno a Milano al Fabrique, ma la risposta alla domanda “vale la pena di andare?” è verificheremo.