Deluderti Maria Antonietta
8.0

Chi mi conosce sa bene che Maria Antonietta (al secolo Letizia Cesarini) è la mia cantautrice del cuore.
L'ho scoperta per caso nel lontano 2014, durante un festival organizzato da La Tempesta (la sua etichetta) a Soliera, fra le campagne modenesi. Io ero una liceale vestita in modo piuttosto discutibile e ancora un po' confusa sui suoi gusti musicali, lei indossava una camicetta verde, che faceva contrasto con i suoi capelli rossissimi, imbracciava una chitarra ed era impossibile levarle gli occhi di dosso. Non riuscivo a capacitarmi di come un corpo tanto minuto potesse sprigionare un mix così potente di energia, rabbia, classe e sensualità. Ricordo nitidamente di aver pensato "voglio essere lei".
Ne sono rimasta completamente folgorata e dal quel momento in poi non l'ho mai più persa di vista, anzi la sua musica è stata parte integrante del mio diventare adulta (nonché la colonna sonora di tutti i viaggi in macchina con uno dei mie più cari amici) e il suo omonimo album d'esordio (2012) è tutt'ora uno dei tre dischi che porterei con me su un'isola deserta.
Questa premessa, di cui ai più non fregherà assolutamente nulla, è per dire che il terzo album di Maria Antonietta è certamente uno dei dischi che ho atteso di più negli ultimi anni. Perché si, dall'ultimo "Sassi"di tempo ne è passato un bel po', quattro anni per la precisione (anche se, nel mezzo, c'è stato l'ep "Maria Antonietta loves Chewingum"). Una scelta piuttosto insolita in questo periodo in cui nel mercato musicale domina la tendenza è quella di produrre quanto più possibile, nel minor tempo possibile. Eppure Letizia ha scelto di non cavalcare l'onda, ma di fermarsi, tirare il fiato e prendersi tutto il tempo necessario prima di tornare sulle scene, un po' come canta in Vergine, che a mio parere è il pezzo migliore del suo nuovo album ("non sono esperta di questa civiltà, me ne resto in disparte, perché questa è la parte che preferisco"). Non ha mai smesso di scrivere e comporre, ma nel frattempo ha studiato, si è laureata in Storia dell'Arte, ha portato in giro per l'Italia una seria di reading delle sue poetesse preferite. E alla fine è tornata, più matura e completa di come l'avevamo lasciata.

Permettersi di deludere è un atto di coraggio e un atto di fiducia per arrivare al quale si lavora una vita intera e allora questo disco vorrebbe tanto essere una specie di sorriso: se tutte le cose che sono a volte non potranno che deluderti, ti deluderò, però con il sorriso sulle labbra.

Il 30 marzo è uscito finalmente "Deluderti", il suo terzo album in studio e, perdonate lo scontatissimo giro di parole, non ha deluso le aspettative. E' stato prodotto da Giovanni Imparato (Colombre, per intenderci) e contiene nove tracce, tutte dai titoli concisi, diretti ed evocativi. Il disco si apre con la title track, nonché primo singolo estratto, Deluderti ("comunque io non ho intenzione di deluderti, ma questa è la mia festa e tutto quello che mi resta è un vago senso di presenza eterna"), con il quale Letizia sembra quasi voler mettere nero su bianco il suo approccio alla realizzazione dell'album. Dal punto di vista musicale, ci sono stati dei profondi cambiamenti: per prima cosa, dimenticatevi le atmosfere punk, le chitarre sporche e le urla di brani come Santa Caterina oppure Ossa, evocate quasi esclusivamente in Oceani ("e adesso tieni bene chiusa quella bocca da stronza, che io non ti voglio sentire"). Il punk più adolescenziale e incazzato degli album precedenti ha lasciato spazio ad una stratificazione musicale, derivata dall'utilizzo di moltissimi strumenti fra cui organi, piano, omnichord e, allo stesso tempo, alle atmosfere cupe si sono sostituite sonorità più pop, calde e luminose. Solarità che si sente sopratutto in Abitudini ("sarà per questo che penso spesso quanto la vera vita stia altrove ed io non la conosco, se non quando sto con te che ogni cosa sembra essere al suo posto" ), per me è la canzone d'amore di questo disco, un po' come nel precedente lo era Tra me e tutte le cose.
In "Deluderti" la cantautrice riflette in modo più maturo sugli aspetti negativi. L'album non manca di elementi aspri, che però vengono affrontati con maggiore leggerezza, spesso in un'opposizione tra testo e musica che in questo modo sembrano amplificarsi. Per esempio, Cara Ombra ("ti dicevo cara ombra tienimi nascosta") si apre con un suono che assume un tono quasi angoscioso, il quale però viene interrotto dalla voce di Maria Antonietta che inizia a cantare: "quanto è bello avere il sole sempre in faccia, quando per anni hai conosciuto solo l'ombra". Il motivo iniziale ricorre poi per tutta la canzone, ma è alternato da parole stoiche ("la vedi quest'aria spavalda, non è per finta" e "trattami con cura, sii gentile, oggi non arretro e non confondo le parole"). In Cara, invece, le sonorità si fanno più delicate e richiamano le grandi interpreti della canzone italiana degli anni '60, ma il testo mostra la stessa grande determinazione e la volontà di non soccombere ("e a questo punto non mi voglio più giustificare, né articolare il mio punto di vista, che tanto verrà giusticato male"). L'artista ha paragonato le sonorità dell'album a un moltiplicarsi di specchi, un'immagine che viene proposta anche visivamente nel videoclip del secondo singolo Pesci ("tutti i miei pensieri li darei in pasto ai pesci, se solo mi volessero con loro nelle profondità"), dove vediamo la cantante riflessa in uno specchio rotto come a voler mostrare ogni sua parte non intatta, come canta in Cara Ombra. 

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L'opposizione e la crescita rispetto ai lavori precedenti si rivela anche nell'estetica dell'album. Mentre "Sassi" era caratterizzato da suoni malinconici e rabbiosi, accompagnati però da una copertina luminosa, minimale e pop, in "Deluderti" la copertina si fa raffinata, scura e barocca. Se la rabbia è stata parzialmente messa da parte, emerge una forte consapevolezza. La cosapevolezza della sua stessa crescita, si rivede soprattutto in Stomaco ("nessuna delusione specifica , nessuna vittoria, soltanto una manciata di terra in più su cui camminare sopra"), dove ammette di non comportarsi più come faceva quando aveva meno anni e più stomaco, rivelando indirettamente che la foga giovanile è ora accompagnata a una maggiore riflessività. L'ultima traccia è E invece niente ("sdraiata sulla schiena, dicevo, faccio gli esercizi per la bara"), una scanzonata ballad dalle sonorità vagamente retrò, che Letizia aveva precedentemente affidato ai Tre Allegri Ragazzi Morti (il brano è contenuto all'interno dell'album "Inumani", 2016). E io non riesco proprio a immaginare una chiusura migliore di quel ripetuto "bye bye baby", che se chiudi gli occhi ti trasporta direttamente negli anni '60.


Insomma, per tirare le file di questo discorso, quella che ritroviamo oggi è una Maria Antonietta più matura e consapevole, sicuramente diversa rispetto a quella che avevamo lasciato nel 2014. Forse potrà non piacere, forse chi aveva amato la ragazza ribelle, le ritmiche pestate e i toni crudi degli esordi sarà rimasto deluso. Eppure io credo che in un marasma di basi preconfezionate, testi al limite del ridicolo e band che suonano un po' tutte uguali, Deluderti sia il disco che tutti noi amanti della buona musica italiana (ormai parlare di indie è diventato pericoloso) aspettavamo. Ma, soprattutto, sono convinta del fatto che artisti che possano vantare il talento, la classe e l'intelligenza di Maria Antonietta non si trovino tutti i giorni. Per cui non posso fare altro che consigliarvi di comprare i suoi dischi, andare ai suoi concerti, perdere cinque minuti del vostro tempo a leggere le sue interviste, perché fidatevi, ne vale davvero la pena.