Human Rag'n'Bone Man
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Fino a qualche mese fa, il nome Rag’n’Bone Man era familiare solo a pochi fan di vecchia data (me compresa), ammiratori dei pezzi originali dell’artista e delle collaborazioni con Bastille, Vince Staples e Kate Tempest. Ora, non passa un giorno senza che ‘Human’ non venga trasmessa alla radio, in tv o in qualche video promozionale del dentifricio.  

Nonostante il primo singolo estratto dall’omonimo album sia sulla bocca di tutti grazie al successo radiofonico avuto durante l’estate, Rory Graham, alias Rag’n’Bone Man, lavora duramente dal suo primo EP Bluestown pubblicato nel 2012 da una nota etichetta discografica hip hop. Nei primi lavori di Graham, infatti, lo stile R&B si fonde con i testi crudi e le strofe rap, creando un’atmosfera accattivante, ma dall’evoluzione ancora non chiara.
Dopo svariati EP, collaborazioni e singoli, la settimana scorsa è finalmente uscito Human, album di debutto di Rag’n’Bone Man. L’album non ha un concept, ma è paragonabile ad un album fotografico, le cui canzoni sono scatti di un percorso volto alla ricerca della propria identità artistica. Il risultato? Un portfolio musicale che vede fondere tutte le personalità di Graham in un album “senza genere”.

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Il primo singolo estratto dall’album è l’omonimo ‘Human’. Sulle note ritmate, i cori e il tamburello in loop si sviluppa quello che sembra essere un inno alla fragilità umana. La popolarità della canzone, tuttavia, distrae dal significato profondo del testo, portando ad apprezzare il brano più per la sua orecchiabilità piuttosto che per la natura liberatoria. A mio parere, infatti, il sottofondo strumentale richiama un senso di oppressione, effetto forse voluto dal tamburello che ricorda il suono delle catene e dalle voci in lontananza che sembrano urla di scherno. La voce di Graham, però, riesce ad andare oltre la cadenza angosciante, urlando a pieni polmoni le parole del testo: “I’m only human / I make mistakes / I’m only human / that’s all it takes / to put the blame on me / don’t put the blame on me”.

005528c0c4369adbdd1a0fa60bd2d2a1 Le capacità narrative di Rag’n’Bone Man non si fermano al pezzo più popolare dell’album, anzi, si intensificano brano dopo brano. La terza canzone della tracklist, ‘Skin’, parla del tragico amore tra Jon Snow e Ygritte. Graham ha ammesso al giornale inglese NME di aver scritto la canzone dopo aver visto l’episodio 4x09 in cui…sappiamo tutti cosa succede. Il singolo si apre con la sola voce di Rag’n’Bone Man che canta con fierezza il ritornello “When I heard that sound / when the walls came down / I was thinking about you / about you”. I secondi scorrono, il riff di batteria incalzante e gli accordi di tastiera appena abbozzati incantano l’ascoltatore, accompagnandolo durante il racconto dell’amore spezzato fino ad arrivare all’esplosione del ritornello che trasforma questo lamento alternative rock in una vera e propria hit.

Se pensate anche solo per un momento che Rory Graham stia cercando posti facili nelle classifiche internazionali attraverso canzonette orecchiabili, allora mettetevi un paio di cuffie e fate partire la numero 12, ‘Die Easy’. Cambierete idea dopo 2 minuti e 32 secondi. Inserendo una canzone completamente a cappella, Rag’n’Bone Man dimostra di non essere solo un fenomeno stagionale da charts. Con questa chiara affermazione delle proprie doti canori e radici blues, ‘Die Easy’ è una coccola per le orecchie, nonché breve distrazione dai ripetitivi trend musicali del momento.
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Come Bon Iver, Jack Garratt e Frank Ocean, Rag’n’Bone Man prende gli elementi più significativi di tutti i generi che gli appartengono e li stratifica, li mescola, li accorda a piacere: dalle radici blues della sua voce alle doti narrative dei testi ereditate dal debutto rap, dall’impalcatura synth pop ai ritornelli epici da concerto gospel, Graham non ha paura di svelarsi in quello che, d’ora in avanti, sarà il suo biglietto da visita.