Wrong Crowd Tom Odell 10 giugno 2016
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“Adele ti fa provare amori che non hai mai provato, ti fa soffrire insieme a lei”. A me dopo 3 album, svariati Grammy e sold out in mezzo mondo quegli amori tormentati non li ha ancora fatti sentire. Quando invece sento che lui vorrebbe piangere e vorrebbe amare ma tutte le sue lacrime sono già state versate su un altro amore, quando sento che lui vuole crescere con lei, quando sento che lui non può continuare a chiamarla e che ogni volta che corre ci ricasca, ecco quando sento queste frasi, Tom Odell riesce a far scattare qualcosa in me, mi si para davanti un’istantanea che io, tu, loro abbiamo sicuramente già vissuto o che stiamo vivendo proprio ora. È vera, è sincera, è reale.

A 3 anni di distanza da Long Way Down, il biondo inglese pubblica Wrong Crowd, preceduto nei mesi scorsi da un assaggio di quello che sarà il tour mondiale, sono stati scelti solo piccoli club e ha visto il cantautore esibirsi anche nelle strade delle più grandi città che visitava, con tanto di cappellino per terra, tra cui anche nella nostra Milano. Dimenticate pianoforte, testi sdolcinati e la giacchetta di jeans che nello scorso tour gli si vedeva appiccicata addosso; preparatevi ad accogliere uno stile da Golden Hollywood, svariate sonorità e lyrics sull’isolamento, tanto che Tom ha recentemente dichiarato, che per la creazione del suo secondo album, ha affittato un appartamento tutto per sé nella Grande Mela.

Una mano rovescia in un bicchiere colmo di ghiaccio due bottigliette di whisky; sono le prime luci dell’alba e in penombra si intravede una sagoma seduta ai bordi del letto. Già dal titolo della prima traccia, Wrong Crowd, capiamo che è giunta l’ora di voltare pagina: niente amore, niente smancerie, ma quel senso di vuoto e malessere che si sente quando realizziamo che le persone che ci stanno attorno non hanno nulla in comune con noi, che non è ciò di cui abbiamo bisogno. Diamo addio anche al vecchio pianoforte nero, tratto distintivo di Tom Odell, per un organetto che si va ad intrecciare ad un coro di voci e al fischiettio del cantante stesso, le quali accompagnano il ritornello fino allo sfinimento.

Si alza dal letto, spalanca la porta finestra che dà direttamente sulla spiaggia. In cielo vede alzarsi uno stormo di gabbiani, che tratteggiano sagome scure sull'alba, e inizia a pensare. La colonna sonora è Magnetised, una delle mie preferite: una dancefloor hit dal crescendo ipnotico. Tom ci avvolge con la sua poesia “cause it’s not right, I’m magnetised to somebody that don’t feel it, love paralyzed, she’s never gonna need me”, lasciandoci perdere la voce mentre andiamo verso la fine.

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Il caldo vento mattutino si infila tra i capelli biondi, le onde si infrangono leggere sulla sabbia e coprono i suoi piedi, mentre lui continua a seguire il profilo della spiaggia. Concrete è una dolce canzone soul, che a molti può ricordare la Alicia Keys di qualche anno fa: lento, sensuale, la voce flebile scandita dai battiti che danno il tempo.

Tornando indietro si ferma un attimo sula soglia, nell’altra sponda del letto non è sdraiato nessuno. A quel punto fa scorrere l’acqua calda, si butta sotto la doccia e rimane lì ad occhi chiusi. Finalmente torno a sentire il pianoforte che tanto stavo aspettando, il quale apre Constellations e che con un mix di archi va a formare qualcosa di romanticissimo, quella canzone che ad un live va ascoltata ad occhi serrati, in religioso silenzio, mentre le lacrime calde scendono automaticamente giù per le guance.

Sotto lo scrosciare dell’acqua, rivive la sera precedente: lui seduto al tavolo da gioco, i dadi che scorrono sul tappeto verde e lei lì di fronte. I due sguardi si incrociano. Dun, dundun, dun, dundun. Odell decide per la prima volta di accostare alle sue ritmiche la grancassa, che dà a Sparrow un ritmo tutto suo, avvolgente ed esotico in cui la voce del cantante si fa acutissima e tremante: “you look in my eyes, I wonder what goes on in your mind”.

Scuote la testa, un’occhiata veloce allo specchio, velocemente prende un asciugamano e un libro e sbattendo la porta corre giù per le scale, attraversa il colonnato della hall e inforcati il Wayfarer nero punta dritto in piscina. Come detto anche dal cantautore, la solitudine emerge sicuramente a metà album con Still Getting Used To Beign On My Own. Il cantante si cimenta con un swing, uno di quelli da localetto newyorkese sui cui tavoli affiorano luci soffuse e con il cantante al piano rigorosamente con il papillon slacciato, che con tutta la sua forza batte sui tasti del piano e sempre con molta eleganza tira fuori la voce che gli arriva diretta dal fondo dei polmoni e fa scatenare l’orchestra alternandola a delle battute soliste appena accennate.

Il sole batte già contro l’acqua cristallina della piscina, dopo l’abituale espresso, accende una sigaretta, prova a leggere qualche pagina ma ogni volta che passa un figurino in bikini si illude, perdendo il segno. Silhouette è forse uno dei punti più bassi dell’intero disco, la canzone che più mi delude, dopo una serie di pezzi di alto livello: una miscellanea formata da sinfonie anni ’50, Wham natalizi e elettronica contemporanea.

La giornata passa lenta e per smorzare i 30 gradi decide di buttarsi in acqua, lontano dal chiacchiericcio da bordo piscina. Apre gli occhi e vede tutto opaco, tutto circondato da una patina acquarello. L’influsso di altri generi, soprattutto della musica afro e soul si fanno largo prepotentemente in questo album e Jealously ne è un esempio con la sua chitarra e la sua cantilena malinconica, il coro di voci che lo accompagnano, la batteria lieve in sottofondo che si smorza per introdurre il ritornello.

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È ora di tornare in camera. Spalancate le ante dell’armadio, sceglie un completo di lino celeste, una camicia bianca inamidata e aperto il cassetto scorre le dita tra i polsini e le cravatte, collezionati in svariati compleanni. Grazie a Daddy, Tom si cimenta anche con il rock. Dopo i primi suoni ovattati, la chitarra elettrica salta fuori, zittita poi dalle parole del cantautore, che con un tocco di amarezza sembra consegnare nelle mani dell’ascoltatore una vera e propria confessione, che con il passare dei secondi diventa sempre più potente.

Dopo una breve cena, è tempo di spostarsi sulla terrazza da cui gusta un bicchiere di vino all’ombra del cielo plumbeo, ed è qui che finalmente la rivede. La prima volta che ho sentito Here I Am ho pensato alla versione live di Save Room di John Legend: quel piano, quelle note ad introdurre il tutto, quella voce pulita, quei versi. Nella versione del biondino però si vira su ritmi elettronici che mi fanno oscillare le spalle a ritmo.

Con un cenno della mano chiama il cameriere e gli chiede gentilmente di portare un bicchiere di champagne alla ragazza. Ricevuto il dono inaspettato, si gira attorno incuriosita e si blocca vedendo che lui dal bancone gli sta accennando un sorriso. Somehow è il brano che chiude il secondo lavoro di Tom Odell. È una versione vicina al vecchio Odell ma più matura, dove si accostano numerosi strumenti classici e un testo che si scioglie tra le dite. 6 minuti di calma, mai troppo stucchevoli, reali fino all’ultimo millesimo.

Lui ha venduto meno copie di Adele, anche se con il debut Long Way Down è riuscito ad aggiudicarsi il primo posto nelle classifiche britanniche e un Brit Award, non si esibisce all’Arena di Verona, ma in piccoli localini di città; nonostante tutto anche con questo secondo disco riesce a toccarmi più della pluripremiata cantante. Certo l’album presenta qualche ammaccatura, non fa il salto nel vuoto che forse ci si aspettava dal giovane prodigio, scegliendo sempre di accostare le nuove sonorità a quelle vecchie, con cui si ha sempre più destrezza, ma risulta più adulto, lineare, senza tanti giri di parole o fronzoli eccessivi. Anche questa volta si rivolge diretto all’interlocutore, parlandogli di storie vere con la sua bellissima voce, che ognuno poi si costruirà nella propria mente, nella quali ci si può vedere come i protagonisti assoluti, oppure delle semplici controfigure in terza persone perché è troppo difficile rivivere quelle immagini reali, in tre dimensioni. E ci si immagina anche il live di febbraio, con Tom Odell di fronte al suo pianoforte scuro, illuminato da un faro, che mette tutta la sua passione nel suonarlo e nel riempire la venue solo con la sua voce.