The Slow Rush Tame Impala 14 febbraio 2020
8.8

Ho iniziato ad ascoltare i Tame Impala durante la tempestosa estate del 2014. Amo il caldo e non ho dei gran ricordi di quei giorni di pioggia incessante e temperature di 10 gradi al di sotto della media. Però è proprio in quel contesto che mi sono avvicinata alla band australiana, e forse questo ha contribuito a farmela piacere. Mi sarò anche persa l'uscita di Innerspeaker (2010) e Lonerism (2012), ma provate a immaginare il suono della pioggia che si mischia alle note di Feels Like We Only Go Backwards. «But that's the way it seems to go/ When trying so hard to get to something real». Ci sono band adatte a essere ascoltate durante i giorni di sole, ma non è il caso dei Tame Impala. La loro musica si addice di più all'atmosfera cupa dei giorni di pioggia, o eventualmente alle ore che seguono il crepuscolo, quando la luce inizia ad affievolirsi. Sarebbe poetico poter continuare su questa linea di pensiero, ma oggi mentre ascolto The Slow Rush splende il sole. Le condizioni meteo non collaborano, prendiamone atto.

Piccola precisazione: chi sono realmente i Tame Impala? Ho l'abitudine di parlare di loro al plurale, ma più che di gruppo si tratta del progetto solista di Kevin Parker – cantautore e polistrumentista cresciuto a Perth, Australia Occidentale. Una band – peraltro composta da alcuni membri dei Pond, anche loro di Perth – lo raggiunge per i live, ma è lui che si occupa di scrittura, composizione, registrazione e produzione. «All music written, performed and mixed by Kevin Parker» recitano gli album. Motivo per il quale posso tranquillamente parlare di The Slow Rush come quarto lavoro di Parker, che arriva ben cinque anni dopo il suo predecessore Currents (2015). E non è un caso se sottolineo quanto è trascorso tra un album e l'altro, perché il passare del tempo è il tema principale affrontato in quest'ultimo disco.

Partiamo dalla bellissima copertina, che raffigura una stanza sommersa dalla sabbia – una fotografia scattata da Neil Krug nella città fantasma di Kolmanskop in Namibia. Una stanza abbandonata a se stessa e segnata dagli eventi, diventata inagibile. Un luogo dove il tempo si è fermato e la sabbia del deserto ha ricoperto tutto. Ma anche la scelta del titolo merita attenzione. The Slow Rush, tecnicamente parlando, è un ossimoro. La “lenta fretta” è uno stile di vita in cui si contrappone la frenesia di fare qualcosa e la necessità di prendersi del tempo per farlo bene. Ancora una volta, il tempo è il concetto fondamentale. Ci sembra di averne troppo poco, ne vorremmo di più.

Parlavo del tempo. Cinque anni, musicalmente parlando, sono parecchi. Ma credo che siano stati necessari. Se Currents aveva rappresentato una virata verso delle sonorità più pop, in questo album abbiamo ritmi anni '70, disco, elettronica, dei tocchi di soul e di psichedelia. Difficile etichettarlo come appartenente a un preciso genere musicale, come spesso succede con le canzoni di Parker. Currents ha certamente reso famosi i Tame Impala, ma il frutto del lavoro meticoloso che ha portato alla realizzazione di The Slow Rush è visibile. Abbiamo davanti un album riflessivo, in cui ci si ritrova a fare i conti con noi stessi oltre che con il susseguirsi degli eventi. Procediamo con ordine.

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L'album si apre con One More Year, che di fatto stabilisce tematiche e tonalità dell'album. Un ritmo deciso accompagna una riflessione sul passare del tempo («Do you remember we were standing here a year ago?/ Our minds were racing and time went slow»), con un tocco di nostalgia, ma anche un invito a vivere la vita pienamente senza preoccupazioni. Almeno per un altro anno.

Why don't we just say, "One more year"? (One more year)
Not worryin' if I get the right amount of sleep (One more year)
Not carin' if we do the same thing every week (One more year)
Of livin' like I'm only livin' for me (One more year)
Of never talkin' about where we're gonna be (One more year)
One more year
Of livin' like the free spirit I wanna be

Segue Instant Destiny, dalle sonorità simili a quelle di Currents. Nel brano si parla del matrimonio di Parker, avvenuto nel periodo in cui è stato scritto l'album. Procedendo con l'ascolto incontriamo Borderline, singolo uscito nell'aprile del 2019 ma successivamente rivisitato per l'album. E se si pensa a Patience pubblicata il 22 marzo dello stesso anno – che non è proprio stata inclusa nell'album, è andata ancora bene. Questa nuova versione di Borderline vede l'uso più incisivo di batteria e sintetizzatore. «We're on the borderline/ Dangerously fine and all forgiven». Come ha commentato lo stesso Parker, è come se fossimo sul confine di un nuovo mondo. Non sappiamo cosa ci sia oltre, e non abbiamo modo di tornare indietro. Possiamo solo vivere il momento.

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Posthumous forgiveness è il terzo singolo estratto dall'album. Uno dei pezzi più belli. Parker riflette sulla sua relazione con il padre ormai scomparso. La canzone si divide in due parti, segnate anche da un cambio di ritmo. Nella prima parte si ricorda il rapporto conflittuale avuto con il padre, rappresentato con una forte contrapposizione tra la naturale ammirazione che si prova da bambini verso i genitori e i versi che raccontano la delusione delle aspettative. «Ever since I was a small boy/ No one else compared to you, no way/ I always thought heroes stayed close/ Whenever troubled times arose». Il divorzio dei genitori determina l'assenza del padre nella vita di Parker. Ma con il tempo arriva il perdono, e con questo il desiderio di recuperare il tempo perduto.

(This time) I wanna say, "It's all right"
(I know) You're just a man after all
And I know you have demons
I got some of my own
I think you passed them along
Wanna tell you 'bout the time
Wanna tell you 'bout my life
Wanna play you all my songs
And hear your voice sing along

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La quinta canzone dell'album è Breathe Deeper, pezzo ballabile in cui si affronta la necessità di essere guidati durante le situazioni negative. Tema che ritroveremo più avanti nell'album, nel brano On Track. Anche qui si parla delle situazioni negative ma si fa leva sulla forza di superarle e di andare oltre. Si va avanti nonostante tutto. «Troubles keep falling in my lap, yeah/ But strictly speaking, I'm still on track». In mezzo a queste due canzoni però si colloca un altro dei brani portanti dell'album: Tomorrow's Dust. Qui si ritorna alla tematica principale – il tempo – e si realizza che le nostre azioni di oggi sono i ricordi, ma anche i rimpianti, di domani. «Tomorrow’s dust is in today’s air, floating around us as we speak» ha commentato Parker. La melodia è un mix di sintetizzatori, percussioni e chitarre che creano un effetto ipnotico.

Il quarto singolo è Lost in Yesterday, dove si parla direttamente della nostalgia. Ha davvero senso rimanere persi, bloccati nel passato? Serve a qualcosa continuare a ripensare alle esperienze che ormai ci siamo lasciati alle spalle? Conviene vivere nel rimpianto per le cose che non abbiamo vissuto? No, tutto questo appartiene al passato. «You're gonna have to let it go someday». E con questi avvertimenti arriviamo alle ultime quattro tracce dell'album. In Is It True si parla d'amore, o più precisamente della rinuncia a provare questo sentimento per paura di affrontare il futuro. Perché si sa, il tempo cambia anche le persone, come viene specificato in It Might Be Time – secondo singolo – sul ritmo delle tastiere. Ed è inevitabile, non possiamo farci niente. Solo prenderne atto e affrontare la situazione. Si deve crescere, non c'è alternativa.

It might be time to face it
It ain't as fun as it used to be, no
You're goin' under
You ain't as young as you used to be
It might be time to face it
You ain't as cool as you used to be, no
You won't recover
You ain't as young as you used to be

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Glimmer, un brano di due minuti in un album che contiene canzoni molto più lunghe – e ormai abbiamo capito quanto è importante il significato del tempo – è stato definito dallo stesso Parker «a glimmer of hope». Uno stacco, uno scintillio fugace, una ventata di leggerezza – sia per quanto riguarda il testo che per il ritmo quasi house. One More Hour, che già dal titolo fa da specchio alla prima traccia, conclude l'album. Siamo giunti all'ora finale di quell'ultimo anno. È tempo di bilanci. Ma non c'è più preoccupazione per il futuro, c'è soddisfazione per quello che si è raggiunto.

As long as I can, long as I can
Spend some time alone
As long as I can, long as I can
Be the man I am

Il tempo è fondamentale. Ci troviamo cinque anni dopo Currents e dieci dopo Innerspeaker. E parlando della mia esperienza, sei anni dopo l'estate in cui ho scoperto i Tame Impala. Il tempo cambia tutto e tutti, e sappiamo che in campo musicale il cambiamento non sempre viene compreso. I Tame Impala sono un progetto che di questo non ha paura – anzi – vuole rinnovarsi, rimanere difficile da catalogare. «Everything I do has to be experimental in some way, I detest the idea of just doing what you know» ha dichiarato Parker in un'intervista. E ci riesce: anche questa volta ci ha regalato un album che è una conferma del suo talento.