Let's Go Sunshine The Kooks 31 agosto 2018
8.0

Questa non è una recensione. Questa è la storia di come quattro ragazzi dell’East Sussex siano riusciti a far battere il cuore di una generazione intera a ritmo di indie rock e skinny jeans.
Prodotto da Lonely Cat (AWAL), “
Let’s Go Sunshine” riafferma i Kooks come una tra le band più forti del panorama musicale internazionale. Non che avessero bisogno di conferme prima, ma il gruppo era in carenza di una punta di diamante, un album in grado di confrontarsi con il debut “Inside In / Inside Out”, un disco che, a detta di Pritchard, potesse essere “il [loro] Rubber Soul, quello che per i Beatles è stato l’album di svolta.” Un po’ sbruffoni, un po’ sognatori, i Kooks non si sono certo seduti a braccia conserte ad osservare i successi passati, ma, anzi, si sono rimboccati le maniche per realizzare il loro obiettivo. E anche se ancora non ho capito perché questo gruppo mi faccia perdere la testa, cercherò di spiegare perché, a mio parere, “Let’’s Go Sunshine” ha centrato l’obiettivo in pieno.
La breve introduzione fatta dal ritornello del primo singolo No Pressure cantato in lontananza proietta l’ascoltatore nella location perfetta per capire l’intero album: un pub inglese in un venerdì sera, circondati da un gruppo di amici tutt’altro che sobri. Così, senza pressioni e senza pensieri, inizia il viaggio di “Let’s Go Sunshine.

All the Time viene pubblicata a maggio insieme a No Pressure ed è una delle mie canzoni preferite del disco. La coppietta di singoli scopre subito le intenzioni di questo quinto album: se No Pressure è la parte color pastello dell’indie, perfetto tormentone da cantare alle feste, All the Time è la sorella rockettara con il giubbino di pelle, jeans a vita alta e sigaretta in bocca. La terza traccia dell’album mette in mostra il lato arrogante e seduttivo della band con un ritmo funky da far perdere la testa. Le parti di chitarra delicate ma penetranti costruiscono il ritornello estremamente catchy, che diventa ancora più completo con la linea di violino dal tipico stile irlandese. Vans ai piedi, scatti rubati, luna park, luci al neon, outfit anni 70: il video racchiude tutti gli elementi dell’estetica da indie kids che caratterizza lo stile Kooks da sempre.

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L’altra faccia della medaglia, No Pressure, è un concentrato di spensieratezza che sembra essere uscito da “Inside In / Inside Out”. Se c’è una cosa che abbiamo imparato dallo spettacolare album di debutto dei Kooks è che, a volte, la semplicità è la chiave del successo. Dopo anni di pubblicazioni, tour, canzoni scarabocchiate e buttate via, forse Luke e compagni hanno capito che il ritorno alle origini è un ottimo punto di partenza per innovarsi. E No Pressure, con il giro di chitarra da falò in spiaggia, la semplicissima linea di basso e il testo prevedibile e sdolcinato, ne è la prova. Mi riporta ai vecchi tempi, ai ricordi di giornate felici come in una successione di diapositive dal colore rosa tenue e, sì, mi scalda il cuore. Non importa quanto sia prevedibile, non importa in quanti l’abbiano ripetuto: No Pressure e’ quella hit che si canta a squarciagola, quel toccasana che ci fa staccare da tutto e da tutti, quella canzone da inserire nella propria playlist del cuore. In una sorta di Hakuna Matata rivisitata, i Kooks raggruppano in 3 minuti tutta l’essenza della vita senza pensieri e qualche verso squisito, come questo:

Darling, you give me shelter
From the noise that drowns out the love
And I want to discover
All the things that make you come alive

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Nel 2009, Luke Pritchard e Hugh Harris avevano regalato al mondo di YouTube una fantastica cover acustica di Kids degli MGMT, intensificando la mia cotta generale per questi due gruppi. Nove anni dopo da quella esibizione, i Kooks hanno dato vita alla loro di Kids, una critica tutt’altro che velata al deviato mondo in cui viviamo e dal testo che non lascia spazio alle interpretazioni: “the kids are not alright”. Tra assoli dal gusto grunge, falsetti disarmanti e un sound grezzo, Kids riflette la condizione dei giovani in una Gran Bretagna post-Brexit. Ad essa si lega inevitabilmente Tesco Disco per la tematica della gioventu’ bruciata a sorsi di birra del supermercato e amicizie perse per strada. La malinconia sfavillante si fa largo tra la coltre di riverbero, creando un’atmosfera senza tempo che mi riporta ai 16 anni, alle uscite con gli amici, ai Kooks di quel tempo.

La canzone che mi ha conquistata e che mi ha fatto capire che sì, questo è un signor album, è Four Leaf Clover. Il ritmo upbeat nasconde la storia dark di una ragazza persa tra i meandri di notti fugaci, droga e solitudine. Mi perdo anch’io tra un verso e l’altro, lasciandomi ammaliare dalle parole scelte da Luke che proiettano immagini forti, come quella del quadrifoglio tenuto in tasca. Non importa se la protagonista ha una “sick mind”, non importa quante decisioni sbagliate prenda: quel gesto così piccolo ha il potere di farmi provare empatia per la ragazza e condividere la sua ingenuità:

And when the night is over
And the drugs are gone
All you've got is your four leaf clover
You keep inside your coat

Due colpi di batteria, la ritmica della chitarra acustica che scivola via veloce, la voce inconfondibile di Luke: sono loro, sono i Kooks in tutta la loro gloria e sono un piacere per le orecchie.

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Non avrei mai pensato di definire una canzone dei Kooks “da stadio”, tantomeno di definire la stessa band un gruppo da riempire gli spalti di un’arena. Quasi un anno fa, dopo aver assistito tutta la Wembley SSE Arena di Londra cantare Naive saltando come dei dannati, mi sono ricreduta. Believe e’ uno dei punti più alti dell’album: un’epica canzone “da stadio” contenente tutta la frustrazione e il risentimento che si prova in seguito ad un cuore spezzato. Al primo ascolto sono rimasta stordita dal magnetismo di questo brano inaspettato e potente. Mi fa venire voglia di tornare a Wembley a cantare insieme al pubblico sognante:

When my life has all been lived
Even though I didn't love you
You made me believe
In love

La fine della relazione di Luke nel bel mezzo della stesura del disco è l’evento chiave che modella molti dei brani presenti in “Let’s Go Sunshine”. Per fortuna (o purtroppo, lascio decidere a voi), il cantante si e’ innamorato di nuovo durante il processo creativo. Il pessimismo post-rottura si mescola senza inizio né fine alla febbre d’amore in Fractured and Dazed, delicata e sognante hit pop che vede l’agrodolce fine di una relazione e la conseguente nostalgia che deriva a pensare ai momenti felici. Ancora più malinconica di Fractured and Dazed, è Picture Frame. Anche se era già comparsa in acustico nella versione deluxe di “Junk Of The Heart”, Pritchard e il produttore Brandon Friesen hanno deciso di riprendere in mano la ballad, trasformandola in un breve momento introspettivo di Luke che in questa versione suona la batteria, scrive le parti degli archi e riversa il proprio cuore nel testo di zucchero filato. Le emozioni sono intense anche durante Honey Bee che vede la presenza di un ospite inaspettato: il papà di Luke, deceduto quando il frontman era solo un bambino. Il ricordo del padre e’ un tema sempre presente nei testi scritti dal cantante ed era già stato raccontato esplicitamente in “Listen” con See Me Now. Questa volta Luke si affida al potere terapeutico della musica per riportare alla luce un vecchio brano scritto da Mr Pritchard e ricreare un emozionante duetto padre-figlio.

Tratta dalla serie “Il Magico Mondo di Luke”, Swing Low ricorda un brano dei Beatles ed e’ ballata rock dedicata alla sua squadra di calcio del cuore, il Crystal Palace. In generale, parla del cercare di rialzarsi dopo ogni scivolata e di non smettere mai di crederci. E’ un brano dolce che fa parte del positivismo Kooksiano e che, d’ora in avanti, ascolterò come un mantra nei momenti di bassa autostima. Il tono deciso da marcia motivazionale lo rende il perfetto inno alla gloria di quegli stessi sfigati che sfogano il proprio Weight of the World tra una pinta e l’altra.

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Tuttavia, i Kooks non sarebbero i Kooks senza una dose di entusiasmo sparata in vena e, per fortuna, l’energia non manca nemmeno in questo quinto album grazie a canzoni che sfrecciano veloci sulla scia di storie create dalla mente di Pritchard. La chitarra aggressiva di Hugh scandisce il ritmo della corsa in Chicken Bone, canzone più potente di un espresso e che mi fa camminare a testa alta per le strade della stessa città caotica descritta nel testo. La corsetta si trasforma in pura adrenalina in Initials for Gainsbourg, una sorta di omaggio a Serge Gainsbourg e alla sua Bonnie and Clyde. I toni spensierati e i cori aperti rendono al meglio la sensazione di libertà che si prova a saltare a bordo di una macchina decappottabile e sfrecciare per le strade polverose della West Coast insieme al proprio partner in crime. Il climax viene raggiunto con Pamela, movimentato brano punk rock che aggiunge un pizzico di humour al disco, dimostrando l’abilità di spaziare tra tematiche varie e storie diverse da quelle vissute in prima persona dai componenti del gruppo.
Alla fine, si riparte dall’inizio con No Pressure. La posizione strategica alla fine del disco lascia l’ascoltatore con un sorrisetto da ebete stampato sulle labbra, chiudendo l’album su una nota positiva.

C’è un motivo per cui i Kooks sono sempre rimasti sulla cresta dell’onda e, no, non sono i riccioli ammalianti di 3/4 del gruppo: ad ogni ascolto mi rendo conto che è la semplicità a rendere “Let’s Go Sunshine” un album bellissimo. Ci sono voluti quattro anni da “Listen”, tante soddisfazioni e altrettanti scivoloni, come il catastrofico ritorno in studio nel 2015 che ha fatto vacillare l'identità della band. In un panorama musicale in cui il mercato predilige volti e suoni nuovi (sulla carta), è difficile scegliere di rimanere autentici. Forse “Let’s Go Sunshine” non sarà il “Rubber Soul” dei nostri tempi, ma è senza dubbio uno dei lavori più maturi della band inglese che, qualsiasi cosa accada, non perde mai il proprio tocco. In questo quinto album, i Kooks hanno ampliato il loro sound, aggiungendo, sperimentando, divertendosi, ma rimanendo comunque fedeli a loro stessi. Il risultato? Un disco completo, emozionante e divertente, semplice ma profondo, pieno di chitarre, immagini suggestive e ritmiche travolgenti. Un album nuovo e vissuto al tempo stesso, che mi riporta a quando avevo sedici anni e scrivevo le frasi di Naive sul diario e che mi accompagna nelle passeggiate tra le vie incasinate di Londra. Ancora oggi, quando mi viene chiesto quale tipo di musica preferisca, mi trovo a rispondere “Hai presente i Kooks? Ecco, quello”.