21 settembre 2018

UP&COMING: Kick

Nome: KICK

Nazionalità: italiana

Membri: Chiara Bernardini e Nicola Mora

Per quelli a cui piacciono anche: Kate Bush, New Order, gli anni '80

Miglior canzone: Marmalade

Pubblicazioni: Mothers (2016), Post-Truth (2018)

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Quando e come vi siete conosciuti?

Ci presentarono degli amici in comune, una fresca sera d’estate del 2004. Non ci eravamo veramente calcolati fino a che Nicola non menzionò i Led Zeppelin. Da lì nacque tutto.

Quando avete iniziato a fare musica? Perché?

Nicola iniziò a suonare punk a 15 anni, negli stessi anni in cui Chiara suonava la chitarra in un gruppo metal. Dopo svariate esperienze con diversi gruppi, nel 2013 decidemmo di provare a comporre qualcosa insieme, data la stima reciproca e i gusti musicali affini. I pezzi che ne uscirono ci convinsero a tal punto che confluirono nel nostro primo ep omonimo, l’anno successivo.

Il vostro nome è Kick. Qual è il significato?

Chiara è una di quelle persone che sbattono automaticamente le palpebre ad ogni colpo di grancassa. Il fatto che, da musicista qual è, vi è costantemente esposta, rende la cosa estremamente divertente. La traduzione inglese di “grancassa” è “kick”, un termine breve, immediato, e, nel nostro caso, veicolo di un disagio personale. Insomma: perfetto.

Quali sono le vostre influenze?

Le nostre influenze sono davvero tantissime. Siamo entrambi da sempre ossessivi consumatori d’arte, costantemente alla ricerca di nuovi stimoli, siano questi un suono perfetto, un’immagine visivamente appagante, o una parola evocatrice. Su tutto ci affascinano l’oscurità, la sensualità, la psichedelia e il rapporto tra caos e ordine.

Personalmente, trovo che il vostro lavoro rimandi molto agli anni ’80. È così? Trovate che ci sia anche nell’indie italiano un revival di questo decennio?

Non sbagli: amiamo gli anni '80, sono stati una decade di colorata disperazione. Le chitarre di “Post- Truth” sono in parte debitrici delle sonorità dream e wave caratteristiche di quegli anni. Molti artisti del panorama indie italiano, o meglio, itpop italiano, attingono a piene mani da quel decennio. Non a caso si assiste ad un ritorno all’uso di synth e drum machine che hanno definito la musica di quell’epoca.

Dalle foto che ho visto, mi piace molto la vostra estetica, mi ricorda i film francesi, un po’ vintage. A chi vi ispirate?

Grazie, è un bel complimento! Ci piacciono molto la moda, il design e in generale tutto ciò che è “bello”, un concetto in costante evoluzione. Inoltre, non siamo indifferenti al fascino dell’arte e della lingua francese.

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I Park Hotel, un duo di Londra, mi disse che il fatto di essere in due, per giunta un ragazzo e una ragazza, creava una collaborazione e un’alchimia particolare sul palco, una sorta di botta e risposta musicale che rappresentava anche il raggiungimento della parità di genere. Cosa ne pensate? Cosa differenzia un duo da una band o un progetto solista?

Non avevamo mai pensato al nostro duo in questi termini, perché la vera parità di genere, secondo noi, si raggiungerà solamente quando si riuscirà a pensare ad un musicista o una band senza considerare il sesso biologico dei suoi membri, proprio perché esso dovrebbe essere irrilevante ai fini del discorso artistico e creativo. Ad esempio: anche se armato di buone intenzioni, chi definisce una band di ragazze una “band tutta al femminile” non aiuta certo a raggiungere la parità di genere, ma, al contrario, contribuisce al mantenimento di una differenziazione di genere, che alimenta la disparità tra uomo e donna.
Dal nostro punto di vista, ciò che differenzia un duo da una band o da un progetto solista è semplicemente il numero di persone coinvolte. Ciò ha varie implicazioni: da una parte, quando si è in due è più facile dare coerenza al progetto e prendere decisioni; dall’altra però si rischia di vedere meno idee in gioco e quindi meno possibilità di crescita artistica e personale, motivo per cui siamo propensi alle collaborazioni con altri musicisti. Un ultimo aspetto da tenere in considerazione è quello logistico: partire per un tour o spostarsi per una data è sicuramente più facile quando si è in due o tre, rispetto ad una band di quattro, cinque o sei persone. Ovviamente, queste ultime tre considerazioni si amplificano nel caso di un progetto solista.

Descrivete la vostra musica con 3 aggettivi.

Oscura, sensuale, psichedelica.

Se il vostro progetto fosse un drink, quale sarebbe?

Strawberry gin & tonic.

Cosa avete ultimamente in rotazione in cuffia?

Chiara: in questo momento i miei ascolti significativi sono tre. Il primo è Elektronik Türküler di Erkin Koray, un album che mi ha aperto gli occhi su come nella musica moderna sia possibile comporre canzoni orecchiabili e accattivanti anche in una lingua diversa dall’inglese. Il secondo disco è il malinconico e delicato U.F.O. di Jim Sullivan, che mescola sapientemente rock, country e folk. Il terzo e ultimo è invece Kids see ghosts dell’omonimo duo formato dai rapper Kanye West e Kid Cudi, un lavoro anticonvenzionale e brillantemente prodotto. Feel the love è una delle tracce che preferisco, merito anche delle sarcastiche mitragliate vocali, che conferiscono al brano una carica esplosiva.

Nicola: In questo periodo quattro ascolti mi ossessionano: Kids see ghosts, che è un esempio lampante di come l’hip hop sia un campo di sperimentazione molto prolifico da un po’ di anni a questa parte. Bu Bu Sad de La Rappresentante di Lista, un disco di musica italiana di qualità, ben oltre l’hype e le stronzate varie. Off the radar di Noga Erez, disco che adoro in quanto è un ottimo compromesso tra sperimentazione e orecchiabilità dei brani. In ultimo Mystère di La Femme, perché è bello notare che in un genere monopolizzato dalla lingua inglese come la musica psichedelica, vi siano anche perle non anglofone.

La canzone che avreste voluto scrivere?

Chiara: Five Years di David Bowie. Un meraviglioso e disperato crescendo, un esempio perfetto di felice connubio tra musica e testo.
Nicola: Venus in Furs dei Velvet Underground, che ha una forte componente viscerale che sta alla base di tutta la musica che amo.

La rubrica Up&Coming è fatta per dare spazio agli artisti emergenti. Secondo voi, in Italia, si dà sufficiente spazio a questi artisti? Cosa si potrebbe fare di più? Avete qualche nome nuovo da consigliare ai nostri lettori?

Sicuramente molto lavoro in questo senso viene svolto dai magazine online come il vostro, che dedicano intere rubriche alla musica emergente. In senso più generale, grazie alla grande potenza che è la rete, assistiamo oggi ad una sorta di “democratizzazione della proposta musicale”, in cui è più facile per ogni band farsi conoscere. D’altro canto però, l’offerta musicale è talmente ampia, e i tempi di ascolto dei fruitori sono talmente frenetici, che si rischia che il proprio progetto non sia che una goccia nell’oceano. Sicuramente consigliamo gli italiani Tin Woodman e i francesi Melatonin, due progetti molto freschi ed interessanti.

Miglior concerto a cui siate mai stati?

Senza dubbio quello dei Sigur Rós al Castello Scaligero di Verona, che abbiamo visto insieme durante il “Perfect Day Festival” del 2012.

Sogno nel cassetto?

Vivere di musica. Qualcosa che purtroppo nel nostro Paese ancora si fatica a fare.

Novità?

Il 28 settembre alla Latteria Molloy di Brescia si terrà il release party di “Post-Truth” (evento qui). Si tratta della prima data di un lungo tour, che annunceremo a breve.

Dove vi possono trovare i nostri lettori?

Sulle principali piattaforme di streaming, ma soprattutto dal vivo, durante la nostra tournèe.

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