04 marzo 2017

Il fenomeno Arctic Monkeys e l'industria musicale

Se aveste chiesto in giro chi fossero gli Arctic Monkeys 3 anni fa, i più vi avrebbero risposto con facce perplesse e domande sulle vostre condizioni di salute. Magari qualcuno – dopo attente ricerche alla Indiana Jones – avrebbe anche risposto che erano il suo gruppo preferito e che aspettava da troppo tempo delle date in Italia. Adesso le cose sono un tantino cambiate, diciamo che per avere una risposta simile a quest’ultima non bisogna faticare molto e, di concerti nel Bel Paese, negli ultimi tempi, ce ne son stati in abbondanza. Cosa è cambiato?

Dal 2011 e, in particolare, nell’ultimo anno, a questa parte la band di Sheffield ha subito una profonda mutazione. A seconda dei punti di vista questa si può considerare un’evoluzione o un’involuzione ma, in sostanza, il cambiamento c’è stato ed è evidente. Gli Arctic Monkeys sono nati e proseguono la loro attività nelle decadi musicali più prolifiche di sempre. Non me ne vogliano i nostalgici del secolo e millennio scorso. La musica oggi può contare su uno strumento di diffusione potentissimo, che ci permette di scoprire ogni giorno centinaia di artisti da ogni angolo del globo: Internet. D’altronde gli stessi Arctic agli albori diffusero sul web le demo di Beneath The Broadwalk, e adesso sappiamo bene dove sono arrivati.

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Con l’uscita di AM (Domino, 2013), quinto album studio  degli Arctic Monkeys, hanno raggiunto l’apice del loro successo e della maturità artistica – dicono alcuni. Maturità artistica o meno, quel che è certo è che il numero di fan è aumentato a dismisura, grazie ad un’enorme campagna pubblicitaria, attuata soprattutto tramite i vari canali web. Nessuno si è poi preoccupato più di tanto quando Youtube aveva intenzione rimuovere i video musicali delle etichette e canali indipendenti, per promuovere il proprio servizio di streaming musicale, perché ormai i video degli ultimi singoli dei Monkeys sono marchiati VEVO.  Il lancio è stato sostenuto anche da uno dei colossi dei magazine, NME, il quale non perde tuttora occasione di scrivere un articolo – seppure irrilevante-  su Alex Turner (in particolare) & co. Per non parlare degli NME Awards, dominati dai Monkeys. Nessuna sorpresa da parte del New Musical Express, quanto per Pitchfork: una webzine che ha deliziato i suoi lettori con perle come lo 0.0 ai Jet di Shine On allegando un video di una scimmia intenta ad urinarsi in bocca. 8.0 - questo il voto di Pitchfork – un 8 pieno, senza decimi, (incomprensibile la loro scala di voti coi decimi, tra l’altro) che fa gridare al capolavoro. Certo, chi conosce Pitchfork sa che fa il suo lavoro solo con gli artisti che NON stanno spopolando – e molto spesso degenerando – nel mainstream. “Mainstream”, la parola più temuta dai musicofili indie/hipster fan degli Arctic Monkeys, band che ascoltavano perché “nessuno li conosce quindi sono cool” e che invece ora hanno abbandonato perché “sono una bEnd pe’ragazzini”. Non considerando la fama un indicatore di talento, non ho mai compreso un ragionamento simile, nonostante ci siano dei casi in cui devo ammettere che funzioni. Mi duole dar loro ragione, ma l’età media dei fan si è effettivamente abbassata, dando vita ad un fenomeno(quasi pop) di “ragazzine che urlano e si strappano i  capelli” e, perché no, anche ragazzini -siamo nel 2014 in fondo. Tutta l’attenzione è per il frontman Alex Turner, il quale ha acquisito una confidenza  smisurata col palco rispetto agli anni passati. Difficile capire a cosa sia dovuta la trasformazione da timido adolescente ad equivoca “belva” da palcoscenico. Si esibisce in coreografie alla John Travolta in Grease lasciando spesso la chitarra al turnista, e l’acconciatura condisce il tutto.

Musicalmente parlando, i nuovi brani dei Monkeys  suonano diversi rispetto ai precedenti lavori. Da Whatever People Say I Am, That’s What I’m Not, a Favourite Worst Nightmare, a Suck It And See ad Amplitude Modulation (aka AM), le differenze si sentono forti e chiare. “Un gioco pericoloso”, dice il frontman dei Queens Of The Stone Age, Josh Homme, “ma l’unico al quale valga la pena partecipare”  aggiunge. Difficile dargli torto, che piacciano o meno la musica degli Arctic cambia su ogni disco – sia in meglio che in peggio- e non sono la classica band indie-rock che propone all’infinito le stesse sonorità. Era questo ciò che si poteva pensare degli Arctic Monkeys dieci anni fa, un gruppetto di provincia con molte ambizioni (destinate a restare tali) e per certi aspetti riservato ad un pubblico “di nicchia”: niente di più sbagliato. E’ questo ciò su cui verte la recensione di Pitchfork, ad ogni modo. Il lavoro di “sperimentazione” musicale è dunque ricercato, e non del tutto soggetto a direttive di produzione. Il fenomeno, legato principalmente alla fama, che si è creato in seguito è un processo di mutazione culturale che li ha anche portati a scoprire l’America, quella musicale. Un passo importante e spesso non esattamente desiderato da ogni band britannica.

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Che sia la cima di una montagna o il fondo di un abisso, gli Arctic Monkeys sono una nuova “sensazione”, e, in futuro, potrebbero salire più in alto o sprofondare del tutto, a seconda dei punti di vista. E adesso, ad un anno esatto dall’uscita di AM, c’è aria di pausa per la band di Sheffield. Dopo cinque album studio, forse è proprio il caso. E chissà che magari Alex Turner non riprenda il suo side project con Miles Kane, i Last Shadow Puppets (fatelo questo secondo album, grazie). Molto probabilmente un lavoro del genere riscuoterebbe un successo esorbitante – quantitativamente parlando, più che qualitativamente. Ebbene sì, il fenomeno Arctic Monkeys ha investito anche Kane, spesso e volentieri supporter del gruppo di Sheffield, oltre che caro amico di Turner. Mentre Jamie Cook, Nick O’Malley e Matt Helders, gli altri membri degli Arctic, vengono degnati di considerazione da buona parte (!) dei fan, lo stesso non si può dire per Miles, attivo come solista e quindi unico musicista tenuto in considerazione sul palco e non da quella stessa parte di fan.

Insomma, l’industria musicale dagli anni ‘60 ad oggi ci ha regalato prodotti meravigliosi, tutti con un contesto culturale diverso. Al giorno d’oggi però, può anche capitare che ne crei uno quando è già ben formato, plasmandolo e rendendolo virale con tutti i mezzi a disposizione, più o meno ciò che ha fatto con gli Arctic Monkeys. Grazie, industria musicale.