Боже мой, что за люди? Успокойся, они же не виноваты. Их пожалеть надо, а ты сердишься.
Mio Dio, che razza di persone sono queste? Calmati, non è colpa loro. Dovresti essere dispiaciuto per loro, ma ti stai arrabbiando.
Immaginate di star guardando un film sovietico nella Francia degli anni Ottanta, in una delle sale di anteprime cinematografiche più importanti al mondo, di essere nel pieno del coinvolgimento sia emotivo che razionale che un film cervellotico può trasmettere ed essere immediatamente riportati alla realtà da un imprevisto guasto elettrico. È quello che accadde esattamente 45 anni fa, nel 1980, quando al Festival di Cannes ci fu un corto circuito durante la proiezione di Stalker, capolavoro del regista sovietico Andrej Tarkovskij. A riportare la notizia, il giorno dopo, 14 maggio, fu soltanto un giornale canadese, l'Ottawa Journal. Nel trafiletto si legge che il film sovietico, già pesantemente osteggiato in patria, fu vittima di un non ben precisato shock del quadro elettrico, che interruppe il film per tanti minuti. Il film era uscito l'anno precedente in Unione Sovietica, in quel 1979 che diede inizio alla disastrosa campagna in Afghanistan voluta dall'allora leader del Partito Comunista Leonid Brežnev e che, per utilizzare un eufemismo, non ebbe grande fortuna. Addirittura, nello stesso periodo, i funzionari di un apparato governativo statale che si occupava di cinematografia (il cosiddetto Goskino) tacciò il film di essere eccessivamente lento e poco incline alla propaganda sovietica del tempo. Anche nella sua distribuzione occidentale la pellicola ha una storia unica nel suo genere. La giuria di Cannes, presieduta quell'anno dall'attore statunitense Kirk Douglas (sì, il colonnello Dax in Orizzonti di Gloria di Kubrick), decise di annunciare la pellicola di Tarkovskij come "film a sorpresa" dell'edizione, così da aggirare più facilmente gli ostacoli imposti dalle autorità sovietiche. Era il 13 maggio del 1980.

Facciamo un salto di 45 anni e arriviamo ad un altro annuncio a sorpresa, veramente inaspettato, à la Kirk Douglas. Il 10 aprile 2025 è uscito post mortem, il tanto atteso - quanto insperato - quarto album de i cani (trovate la nostra recensione qui). Oggi non c'è nessun ostacolo imposto da una qualche autorità che nega la distribuzione su larga scala di musica (fortunatamente) ma allora perché questo lungo incipit su Stalker? Perché probabilmente non abbiamo dato il giusto peso a come si apre post mortem de i cani.
io, il brano di apertura, inizia con l'estratto di un dialogo tratto proprio da Stalker. Il discorso che Contessa ha campionato avviene, nel film, al capezzale di un letto, dove lo stalker, guida illegale di un territorio desolato e in rovina dove le normali leggi naturali sono state sovvertite per cause ignote, ragiona attorno a un profondo viaggio catartico compiuto sia all'esterno, con altri due compagni nel mondo che lo circonda, sia dentro la propria anima. La canzone, che a primo impatto può risultare uno sfogo verso chiunque agisca contro di noi attraverso comportamenti piuttosto negativi (elencati dai vari “chi” anaforici all'inizio di ogni verso), assume un significato inaspettato e opposto se si pone l'attenzione sul titolo della canzone. Alla risposta "chi", Contessa risponde, implicitamente, "io".
Chi mi giudica sempre
Senza prima vedere
Non è nessuno di esterno, è una domanda retorica, senza punto interrogativo e, quindi, senza risposta. Ma quello che sorprende è che si tratta di domande rivolte a se stesso. Il sentirsi inadeguati è espresso anche in felice, che continua il dialogo interiore iniziato con la citazione al film sovietico:
Pensano ogni minuto a non essere a buon mercato... a vendersi più caro... a farsi pagare per ogni cosa, per ogni movimento mentale. Sanno di essere nati per un motivo. Che sono “chiamati”.

Il minimo comune denominatore più forte che unisce post mortem e Stalker è quel senso di debolezza inteso come potenza e forza declinata come nulla. In altre parole, alla base dei due lavori c'è un ragionamento controintuitivo sulla natura umana. A un certo punto del film lo stalker dice:
Quando l'uomo nasce è debole e duttile, quando muore è forte e rigido, così come l'albero: mentre cresce è tenero e flessibile, e quando è duro e secco, muore. Rigidità e forza sono compagne della morte, debolezza e flessibilità esprimono la freschezza dell'esistenza.
Anche post mortem nasce e si sviluppa così. Debole e flessibile. Lungo tutti i suoi quarantacinque minuti di durata cerca di inquadrare in una cornice di normalità un grande numero di immagini che descrivono colpevolezza e malinconia. Esse sono esternate anche attraverso citazioni kafkiane
Come Gregor Samsa sotto il sofà
Che spia la sorella
o di Thomas Mann, in davos
E l'ingegnere da che parte sta? Ah-ah
Va di nascosto
Dal gesuita
E pure da Madame Chauchat, ah-ah
ma la vera cifra di ispirazione pare essere proprio Stalker. Come anche lo stesso Contessa ci ha detto in una chat che abbiamo avuto su Telegram qualche giorno fa
Mi sono appassionato parecchio a Tarkovskij, ho visto più volte Stalker e mi è venuta voglia di campionare quel dialogo. L'ho messo su "io" appena ho iniziato a registrarla e non l'ho più tolto

Il lento viaggio compiuto dai tre protagonisti del film all'interno della cosiddetta "Zona" è complementare alle diverse concezioni della vita in Contessa durante tutto il percorso del disco. Una più introspettiva ad inizio album, un'altra anima più fortemente politica e l'altra più riflessiva che mette in gioco l'io in relazione con gli altri. Sul finire del lavoro, infatti, a prevalere sono la descrizione di un complicato rapporto con una madre e disagi di coppia che potrebbero appartenere a tutti (carbone). I piani sono comunque sovrapponibili. nella parte di mondo in cui sono nato riassume, ad esempio, i disagi dell'oggi
Se qualcuno parla di anima, è un invasato
Ragionare in vista di un futuro prossimo è visto con ansia, figuriamoci qualcosa che va al di là del terreno. Il buio di cui Contessa canta, inoltre, si può interpretare anche come quella zona incerta tra il dover agire secondo le mansioni che ci vengono assegnate così da conformarsi alla massa e il doversi buttare, prendere coraggio e tentare il tutto per tutto al fine di ottenere una vera realizzazione personale. Non a caso parliamo di salto nel vuoto, nel buio. Il viaggio è segnato da un momento di svolta, la title track. Si tratta di una marcia che, se nel disco prodotto per Tutti Fenomeni era funebre, qui assume i tratti di un vagare senza meta, tra le difficoltà di un luogo incerto, inesplorato e sconosciuto, proprio come accade in Stalker appena si arriva nella Zona. Tarkovskij, in quel caso, cambia colore alla pellicola: da un mesto seppiato, il film muta al colore. Contessa dal parlare di se stesso si apre agli altri e anche i pezzi scoprono tutto il loro gradiente
Nella parte del mondo in cui sono nato, in cui sono nato
Tutto è già stato detto
Tutto è già stato pensato

Non sono d'accordo con chi dice che questo sia il disco più importante de i cani. Sia per un mero fattore temporale, in cui è buona norma far passare l'ardua sentenza mediante il sentire del pubblico (mi pare, invece, che abbiamo giudicato post mortem quasi aprioristicamente affidandoci un po' troppo alla critica) e poi perché il mondo del 2025 inquadrato da Contessa è frutto di un decadimento già iniziato che descrive un quadro in evoluzione e, a differenza di quanto accadeva in passato, non fonda un vocabolario per potersi orientare tra le angherie del presente. Non a caso, anche Stalker di Tarkovskij è un film che arriva dopo altre sperimentazioni che inquadravano mondi altri e che non riflettevano molto sull'io. L'infanzia di Ivan, il primo film del regista, è un quadro drammatico belligerante, mentre Andrej Rublëv inquadrava addirittura la storia russa attraverso le gesta di un pittore di icone del XV secolo. È con Lo specchio e proprio Stalker che Tarkovskij comincia ad affidarsi al proprio sentire.
Contessa, i cani, hanno fatto proprio così: Il sorprendente album d'esordio de I Cani raccontava storie di una Roma bene (che, al contempo, è anche quella mala) mediante l'ausilio di storie di persone terze. Glamour e Aurora, più filosofici, non si erano comunque mai messi così a nudo come post mortem. In altre parole, i primi tre dischi di Contessa venivano (e, in alcuni casi, sono ancora) accolti come un Vangelo perché fondavano un modo di vivere che era costitutivo degli anni Dieci, con il tentativo di raccontare dei personaggi che dicevano frasi quasi profetiche, con una chiara e netta tensione verso qualcosa che sarebbe dovuto accadere di lì a poco (Velleità racchiude questo discorso a pieno e, non a caso, è il pezzo con cui avvenne il boom dell'indie).
Nichilisti col cocktail in mano che sognano di essere famosi come Vasco Brondi
Che appoggiato sul muro parla con la ragazza di qualcuno
era un manifesto di critica molto forte, che, quindici anni dopo, si è esautorato. È terminato il tempo delle velleità, questo sogno impossibile di riuscire a fare il jackpot, tentare di guadagnare facendo una cosa che non solo ti piace, ma che ti dà anche quella soddisfazione e quel prestigio che viene dal fare un lavoro creativo. Oggi quest'utopia è finita. Nel film, i tre personaggi (Stalker, Scrittore e Professore) sono uomini che vagano senza una meta precisa, sembra che veramente possano dire
C'è poca luce nel mondo
C'è poco amore nel mondo
come lo stesso Contessa canta in buio. I tempi sono così diversi che l'io alla ricerca di strade alternative di salvezza non batte più quella zona incerta (ecco che torna preponderante Stalker) che ha portato fortuna a qualcuno in passato. Il concetto di amore che traspare, quello che alla fine sembra vincere, è quello più individualistico, che non guarda in faccia a nessuno. Non esiste alcun percorso che si può realizzare assieme a qualcuno. Non c'è, effettivamente, nessun "noi". È un io che si fa trascinare da un'altra onda, il pezzo conclusivo del lavoro, ma non nel senso di diversa dalle altre ma come l'ennesima di tante, quella che non lava ma sporca, che può svegliare, se fredda, solo chi ha veramente coraggio ma chissà se verrà mai ascoltato.
In questo senso, post mortem più che essere il disco più importante scritto da Contessa è sicuramente il miglior testamento musicale (come Stalker lo è ancora oggi per il cinema d'autore) mai realizzato da un artista italiano negli ultimi dieci anni. A prescindere da un comparto testuale talvolta ripetitivo - ma figlio dei tempi - e un'aspettativa eccessiva che si era gonfiata con il passare del tempo.
