29 ottobre 2016

Di telefonini e menti davvero alternative

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Eccoti lì, di fronte al gruppo della vita, compresso come un povero stronzo alle otto del mattino sulla linea rossa della metropolitana milanese. Ma non sei in metro, sei appeso alla transenna sotto al palco; dietro di te non ci sono studenti e impiegati, ma fan urlanti, scatenati. Probabilmente in botta.

Sei un uomo e ti sei controllato la barba da hipster e il capello un po’ mosso per sembrare elegante ma selvaggio, oppure sei donna e hai aggiustato il trucco già tre volte.
Te lo aggiusterai una quarta prima dell’ingresso della band.
Sai che quella sarà la volta buona. Ti vedi già tra un anno a distruggere scaffali della feltrinelli alla ricerca di quell’edizione speciale contenente tre dischi, due libretti, se ti va di culo anche un action figure di Alex Turner, ma soprattutto lui. Il dvd. Hai picchiato bambini e sgambettato vecchiette per essere in prima fila, ma in quel dvd cascasse il mondo ci sarai anche tu. Starai chiedendo a chissà chi se “Please, can I call you her name?” e sembrerai in preda a convulsioni perché alla fine il ciuffo ti avrà coperto il viso e il trucco colato miseramente sulle guance, ma non importa. Tu sarai in quelle riprese, perché almeno una di quelle duecento stramaledette telecamere ti riprenderà.

Questo scenario pre, post e durante-apocalittico, si rende necessario per argomentare e trattare un’annosa questione vecchia quanto il palco. Molti di noi, e molti voi, sono troppo giovani e italiani per avere un’idea precisa di cosa potrebbe essere stato il CBGB negli anni ’80 con i Ramones ad infuocarne il piccolo palchetto al fondo del locale, ma – statene certi – la probabilità che qualcuno urlasse ad uno davanti di “abbassare quel cazzo di iphone!” è molto concreta.

Perché a chiunque frequenti abitualmente i parterre degli stadi o i pavimenti appiccicosi di vecchi basement stretti e bui, sarà capitato di stare da una parte o dall’altra della barricata.

Usare o non usare i cellulari durante i live?

C’è chi filma tutto tutto tutto, compreso il palco vuoto, i fonici, il pubblico stesso, qualunque cosa si muova e chi invece il telefono lo tiene stoicamente in tasca, pronto a rispondere al whatsapp dell’amico o alla mamma che gli chiede se tornerà per cena. Sì, anche se sei al Glastonbury e vivi a Cusano Milanino.

Ma torniamo alla nostra premessa. Sei sudato e urlante con la transenna a farti da migliore amica e sul palco ci sono magari gli Arctic Monkeys o qualche altro gruppo che di indie, lo sappiamo, ha ormai solo una lontana connotazione. Ci sono telecamere ovunque, ci sono fotografi strapagati e probabilmente c’è un elicottero che vola e fa qualche ripresa dall’alto che fa sempre la sua porca figura.
Tornerai a casa, contento e già proiettato a quel dvd in cui – sei sicuro – comparirai anche tu.

Poi però ci sono io. Io, nella fattispecie, posso essere chiunque. Questo chiunque, è sì un amante dell’allegra combriccola di Turner, ma anche di una scena di musicale indipendente che si esibisce nei locali più stronzi dei quartieri malfamati di città che potrei avere difficoltà a raggiungere io che ho la faccia da delinquente. Figuriamoci un fotografo fighetto.
Insomma, tornerò a casa e sarò contento pure io. Sarò contento pure io, ma solo per poche ore perché la depressione post-concerto mi coglierà tra le coperte, ripensando a quei momenti, a quelle grida, alle luci del palco, al ritornello che conoscevi tu, quattro poveri stronzi (cit.) e il cantante.
C’era la birra quella sera, un long island e una prevendita da 10€, ma i fotografi no. Tantomeno le telecamere. Quella serata potrebbe benissimo essere impressa solo e solamente nella tua memoria e in quella dei presenti, e in nessun altro posto.
 

La questione è semplice. Pensare che nel 2015 la tecnologia possa rimanere distante dal mondo della musica è un po’ ingenuo, così come sarebbe ingenuo pensare che se decidessi di filmare un intero concerto non arrecherei danno a nessuno, se non a me stesso.
La verità, come sempre sta nel mezzo. Probabilmente in questo squarcio temporale in cui viviamo, dove i ricordi si preferisce salvarli nel telefono piuttosto che viverli, sarebbe saggio affidarsi al buon senso e di fronte ad un pubblico di duemila persone, scattare due foto, posare il telefono, alzare un po’ il gomito e farsi una birra. Allo stesso modo, prima di lamentarci ossessivamente di chi magari con un occhio sullo schermo e l’altro sul palco cerca solo di avere qualcosa da guardare con i lacrimoni una volta tornato a casa, dovremmo ricordarci di tutte quelle volte in cui, seduti di fronte al computer, abbiamo aperto youtube e sperato disperatamente che uno di quegli stronzi abbia fatto il suo dovere, cercando il nome di quel gruppo semi sconosciuto ascoltato insieme ad una cinquantina di persone e aggiungendo, al fondo della ricerca, una semplice parola: live.