«È in un contesto ibrido e mutevole che nasce il progetto Iside, un contesto fatto di contrapposizioni forti e di ménage coraggiosi, di chitarre e di sintetizzatori, di pop e di elettronica». Così definimmo noi di Futura 1993 la musica dei giovani bergamaschi circa un anno e mezzo fa, agli albori della loro carriera.
Già allora la posizione musicale degli Iside si vestiva di una forza misteriosa, un’energia disordinata di influenze, di generi, di approcci e di intenti che oggi, grazie all’uscita del loro primo album Anatomia Cristallo, si definisce ulteriormente e si consolida come una delle uscite più interessanti del panorama pop italico.
Un’energia disordinata, sì, ma solo in apparenza: la grande malleabilità del loro progetto esalta un contesto dai contorni vaghi e sfocati, definendosi proprio nella sua grande liquidità, nel suo saper essere al tempo stesso espressione delicata e rabbiosa, controllata ed esplosiva.

I pattern melodici ricamati dagli Iside attraverso i 14 brani sanno cullare un cantato leggero e di contessiana memoria con particolare delicatezza, pronti però a far detonare la traccia all’improvviso con carattere e vigore, rimescolando le carte in gioco e affondando gli strumenti musicali in un ricco terreno melodico. Raccontano quotidianità, momenti e vissuti senza troppi fronzoli, in maniera talvolta disincantata. Gli Iside creano atmosfere uniche e lo fanno in maniera fresca ma soprattutto riconoscibile: questo è il loro grande merito, avere un prodotto estremamente mutevole che però riesce a seguire una linea di continuità sorprendente. E, a giudicare dall’album appena uscito, anche in notevole maturazione.
I primi singoli Paradiso, Fantasmi e Draghi, per citarne alcuni, sembrano essere il perfetto preludio per la definizione di un manifesto musicale, la perfetta base per il salto di qualità della band. I determinati stilemi e approcci utilizzati in queste prime canzoni, si ritrovano nell’album in maniera più precisa: questo lavoro è anche una presa di coscienza e di consapevolezza, uno sviluppo – più maturo per certi suoni e digitalismi, in linea per quanto riguarda le tematiche affrontate – delle storie raccontate fin dal loro inizio. Le atmosfere degli Iside stanno definendo una nicchia nel mercato musicale italiano attuale: ispirati dalle chitarre degli Strokes, dai beat di Flume e dalle sculture di Emily Young, la band suona e canta vivaci onde d’amore in un mare digitale.

Come già anticipato, Anatomia Cristallo prende forma intorno a racconti di intime situazioni e di anfratti personali, con un fil rouge molto interessante tra parole e beat, tra urla e riff. Che ci siano atmosfere più disordinate e con contrasti emotivi forti o situazioni più fosche e personali, il racconto degli Iside si snoda in maniera sognante, con rime metaforiche che costruiscono le già citate bolle emozionali.
Entrando più nel dettaglio, possiamo trovare tracce come Gonna v5 e Che Mutande Hai v9, tra le più interessanti del disco, che ci sbattono in faccia l’essenza e la colonna vertebrale del gruppo. Due brani diversi per impostazione ma di egual spessore metaforico, in pieno stile Iside. Se in Gonnav5 si parla di problemi di calzini e in Che Mutande Hai v9 di uno struggente innamoramento, in Miopia v3 si parla anche di tagliarsi le palpebre con il rasoio, ovviamente in senso metaforico e senza il condimento splatter che uno potrebbe aspettarsi, ma anzi con un’aria anche piuttosto dolce che va ad accarezzare le parole.
È francamente un’opera straniante quella degli Iside, affascinante nella sua natura e misteriosa nel suo significato. Con le urla di infarto666 l’album sa prenderti fino alle viscere, spronandoti a mandare affanculo le tue angosce, proprio come viene cantato nella delicata e straordinariamente pura Pazzia v1, per poi ritrovare la calma con canzoni come la stilosa Pastiglia v7 o Margherita v11. Quest’ultima ritrae un quadretto quasi fanciullesco di un amore semplice e profumato, ed è una prova di scrittura non banale che ci dimostra ancora una volta la poliedricità dei ragazzi, soprattutto se paragonata all’esagitata e autodistruttiva Faccio Schifo v4.
In questo disco si percepisce intimità: quella più pura e oscura, che possiamo trovare in pezzi come Ho Paura v0 o Breakout v10 e la sua controparte più sognate e frivola, riscontrabile nel simbiotismo di Alieni v9 o nella morbidezza sporca di Incantesimi v96.
Anatomia Cristallo è un lavoro corale che tocca tantissimi punti e dove la metafora si erge a principesca condizione di espressione, ben supportata da un mantello di suoni calibrati alla perfezione; interessante, infine, anche l’utilizzo che viene fatto dell’autotune, piccoli sprazzi qua e là che danno un tocco ulteriormente straniante all’opera. Questo album è sicuramente un lavoro interessante, le vibes che si delineano davanti all’ascoltatore non sono né immediate né tantomeno facili: un lavoro che si ama o si odia e non di facile fruizione che può però essere un’importante pietra miliare nella ridefinizione del pop italico.
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