20 febbraio 2023

I 60 anni di una leggenda: Ian Brown degli Stone Roses

Se avete mai sentito parlare - e se ci seguite ci sono buonissime probabilità - di Madchester, di Oasis e della gesta dei fratelli Gallagher e del loro inconfondibile taglio di capelli e passione sfrenata per il parka, di britpop e di indie rock inglese sappiate che dovete praticamente tutto al personaggio di cui si parla in questo articolo, che oggi compie 60 anni.

Stiamo parlando di Ian George Brown, nato il 20 febbraio 1963 a Warrington, Inghilterra, cittadina a metà strada tra due delle città più influenti ed importanti della storia della musica contemporanea: Liverpool e Manchester. Cantante e polistrumentista prima dei mitologici Stone Roses e poi presso sé stesso in una funambolica carriera solista, Ian è sicuramente uno dei personaggi più influenti e determinanti per la storia della musica rock d'oltremanica recente. Per darvi un’idea dell’importanza della sua figura per la nascita e l’evoluzione del britpop e degli Oasis, basta rivolgersi ai diretti interessati. Liam Gallagher, in particolare, ha mostrato per tutta la sua carriera (e continua a farlo) una vera e propria ammirazione-ossessione per gli Stone Roses. Recentemente ai microfoni di NME ha fornito senza particolare esitazione alle domande "Qual è stato il primo artista di cui ti sei innamorato?", "Qual è il primo disco che hai mai acquistato?", "Qual è la prima maglietta di una band che hai comprato?", "Qual è il primo concerto a cui hai assistito?" un’unica risposta, composta di due parole: STONE ROSES.

Iniziamo dal suo personale background musicale. Il giovane Ian cresce in una famiglia umile, lontano dalle grandi città ma sognando la rivoluzione sugli accordi punk delle chitarre elettriche di Sex Pistols, The Clash (ne è un vero e proprio fan, tanto che un po’ per caso riusce insieme a Pete Garner, futuro bassista degli Stone Roses, ad assistere alle registrazioni del singolo Bankrobber nel 1980) e Slaughter & the Dogs. Nello stesso anno muove i primi passi musicali come bassista nei The Patrol, una band di stampo Clash in cui erano presenti anche John Squire e Andy Cousenz. I primi segnali del personaggio che sarebbe diventato pochi anni più tardi arrivano quando decide improvvisamente di vendere il suo basso per comprarsi uno scooter e poter esplorare il Merseyside come meglio riteneva. Abbandonati i Patrol dopo qualche sessione di registrazioni per incidere una demo, Ian si ritira mentre Simon Wolstencroft si unisce temporaneamente a Johnny Marr e Andy Rourke in una versione primordiale degli Smiths. Intrecci di questo tipo dimostrano ulteriormente il calibro degli artisti di cui stiamo parlando.

Dopo diversi movimenti di assestamento dei vari membri coinvolti, nel 1983 prendono forma gli Stone Roses: Ian Brown frontman, cantante e all’occorrenza percussionista (usava cantare impugnando un tamburello con sonagli, che qualche anno dopo sarebbe diventato tratto distintivo di due fratelli…), John Squire alla chitarra, Pete Garner al basso e Simon Wolstencroft alla batteria. Proprio quest’ultimo però, dopo appena sei mesi di sessioni di prova e provini per altre band, abbandona la nave facilitando l’ingresso nella formazione definitiva di Alan “Reni” Wren nel 1984. Il loro viaggio verso il successo ha inizio lo stesso anno quando vengono scelti come band di apertura ad un concerto di Pete Townshend degli Who al Moonlight Club di Londra per un’iniziativa di sensibilizzazione verso la dipendenza da eroina: la stampa nota un potenziale in loro e le prime interviste fanno guadagnare al gruppo un management e diverse proposte per esibirsi live.

La pietra miliare della storia degli Stone Roses e di Ian Brown è il 1989, anno in cui viene pubblicato il loro capolavoro The Stone Roses, che riceverà nel 2004 il riconoscimento di “best british album of all time” (!). Già questo basterebbe per capire quanto Ian e soci siano riusciti nell’impresa di incarnare alla perfezione l’anima della ribollente Albione, ma non possiamo fermarci ai premi o alle nomination per sottolineare l’importanza di questo disco. Il processo che ha portato alla sua pubblicazione è infatti fondamentale e ne riassume perfettamente l’essenza.

Il primo sussulto arriva nel 1985, con la registrazione del primo singolo double A-side So Young/Tell me e la presentazione ufficiale in ospitata radiofonica a Piccadilly Radio del brano I Wanna Be Adored. A Manchester il loro suono piace e iniziano ad avere un certo seguito a livello locale e così, dopo una tournee in Svezia, gli Stone Roses danno forma al loro primo EP intitolato Garage Flower, contenente tutti i brani registrati fino ad allora: il risultato non soddisfa affatto la band, che sta ancora modificando i propri gusti e calibrando intesa e suoni distintivi. Quale rimedio apporre se non una massiccia campagna di graffiti per le strade di Manchester? La reputazione precipita, ma l’attenzione si sposta inevitabilmente su di essi. Il successo dei Jesus and The Mary Chain e Primal Scream li agevola nella scrittura di alcuni brani e nonostante l’ulteriore fallimento del nuovo EP Sally Cinnamon (il singolo che avrebbe fatto capire a all'altro Gallagher, Noel, che la sua vita sarebbe stata nel rock), la loro identità andava rinforzando con l’avvicendamento al basso tra Garner e Gary Mani Mounfield. E qui arriva l’incrocio con i fratelli Gallagher: headliner ad un concerto per un’altra nobile causa (l’abolizione della Clause 28, che limitava la promozione dell’omosessualità) all’International II di Manchester, fra il pubblico c'è un sedicenne Liam che proprio da quel concerto capisce di voler mettere su una band. Prodotto e registrato tra Londra e Rockfield a cavallo tra 1988 e 1989, nel maggio dello stesso anno esce finalmente il già citato capolavoro. Un disco senza tempo, composto da hit come fosse una compilation. I Wanna Be Adored (5 minuti di climax ascendente, in cui a farla da padrone sono il giro di basso e la distorsione della chitarra crescente con la rabbia messa da Ian nelle poche parole pronunciate), Waterfall, Made Of Stone, Shoot You Down, I Am The Resurrection: è necessario aggiungere altro?

Prendersi la scena in un periodo in cui gli Smiths avevano pubblicato 4 dischi (e che dischi) nel giro di 4 anni e proprio nello stesso anno in cui i Cure danno alla luce il loro miglior lavoro degli ultimi anni (Disintegration, giusto per non lasciare spazio a dubbi o fraintendimenti) non è esattamente cosa di poco conto. Ian Brown è un tipo sveglio (e pieno di sé) e ai microfoni di NME nello stesso anno annuncia senza paura che gli Stone Roses sono la band migliore del mondo, con i brani migliori del mondo con un solo disco sul groppone ed un potenziale ancora inespresso, per prendere in pugno il mondo del rock che a parte i mostri sacri sopra elencati era carente di figure di spessore. Nel frattempo anche gli Happy Mondays, rock band di Salford, periferia di Manchester, si stanno ritagliando uno spazio importante nella scena musicale più o meno locale. Queste due autorevoli identità cittadine, agevolati dal lavoro pionieristico di Peter Hook e dei New Order, sommate alla grande attenzione verso la musica indipendente tipica di Manchester contribuiscono a fomentare un movimento tutto nuovo, che tiene conto della tradizione pop-rock made in UK e si lascia contaminare dalla psychedelia e dalla club music. Madchester e il baggy sono realtà. Fiotti di ragazzi iniziano ad arrivare da ogni dove in t-shirt abbondanti, jeans larghi a cavallo basso e "Reni hats", il tipico cappello da pescatore indossato proprio da Alan Wren, per godersi il centro del mondo musicale e lasciarsi trasportare dai moderni e suadenti suoni proposti dalla nuova generazione di band.

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Ma come preannunciato, la storia degli Stone Roses è tutto fuori che scontata e quella che sembrava una dinastia destinata a perdurare per decenni viene minata su più fronti da diverse vicende parallele. Prima una causa con la propria etichetta per divergenze sulla cifra che spetta ai membri della band da contratto, con conseguente vicenda giudiziaria che li vede vincitori in tribunale, ma lontani forzatamente dalle sale di registrazione praticamente fino al 1992. Poi la perdita di diverse persone vicine e vicissitudini famigliari di Brown e Squire. A fine 1994 arriva il tanto agognato secondo lavoro in studio Second Coming: la composizione, prima divisa tra Brown e Squire, ora è (quasi) completamente nelle mani del chitarrista e questo si traduce in un disco molto più blues del precedente, in cui dominano assoli e distorsioni della chitarra come sottolineato dal singolo di successo Love Spreads. Non è esattamente il seguito che tutti si aspettavano (il che ci può stare, vista l'onda d'urto del primo lavoro) e le recensioni non sensazionalistiche contribuiscono a gettare acqua su fiamme messe già in difficolta dai precedenti tormenti. Reni lascia la band per un alterco con Brown e Squire si infortuna cadendo dalla mountain bike in California facendo saltare il loro ingaggio per Glastonbury 1995. Nemmeno il tour UK completamente sold out in un solo giorno tra novembre e dicembre dello stesso anno riesce a migliorare una situazione sempre più sbandante e nel 1996 Squire lascia la band, sancendo lo scioglimento degli Stone Roses.

Per Ian il trambusto post-capolavoro è davvero troppo e decide per una svolta nella sua vita: dopo lo scioglimento del gruppo, parte per il Marocco dove trascorre un periodo di "disintossicazione" dalla musica e dall'aria rarefatta che circondava gli Stone Roses. Nonostante i successivi tentativi di riconciliazione con la band tra il 2011 ed il 2017 in un contesto che ricorda molto il rincorrersi tra Pete Doherty e Carl Barat di cui vi abbiamo raccontato qualche tempo fa, Ian Brown riesce a ritagliarsi comunque una carriera da solista con ben 7 album all'attivo di cui l'ultimo nel 2019 e diversi successi internazionali che lo hanno fatto rimanere nel giro dei grandi festival. Una carriera da visionario, in cui il cuore Madchestrer è tornato a battere in ogni singolo brano fino a Ripples (2019) che rappresenta un'ulteriore prova di forza (un po' sbiadita ad essere onesti) del genio che 30 anni prima aveva stravolto il mondo del rock dando i natali ad un nuovo genere musicale. Un filone musicale tutto nuovo che fa intendere una volta per tutte cosa avrebbero potuto essere gli Stone Roses se solo avessero avuto quella continuità che lo stessso Ian decantava a fine 1989 dopo il grande successo, con uno spazio sempre maggiore lasciato ai beat e alla vena trip-hop.

Un personaggio sicuramente roboante, che negli anni ha saputo sempre far parlare di sé per i motivi più disparati. Dalle tentate reunion ai successi da solista, dalle comparsate cinematografiche (citofonare J. K. Rowling a Alfonso Cuaron) alla guerra a colpi di tweet con John Squire per i diversi "punti di vista" riguardo il Covid (non ci siamo dimenticati dell'Ian Brown complottista e negazionista che diede il benvenuto al 'Nuovo Ordine Mondiale' portato dal lockdown).

Come amo immaginare più o meno ogni momento della mia vita, sento risuonare sulla conclusione di questo articolo le note di I Wanna Be Adored, con il suo ritmo tribale incalzante e quella voglia che si trasforma in rabbia di farsi sentire ("I wanna be adored / I gotta be adored"). Ian Brown ha saputo come pochi ricoprire il ruolo del game-changer, portando elementi totalmente inaspettati nel mondo del rock e della musica inglese, ispirando più di una generazione di gruppi fino ai giorni nostri e di generi più o meno trasversali. Dai Charlatans, i contemporanei Happy Mondays, al filone britpop Oasis-Kasabian, i primi Arctic Monkeys, il big beat targato Chemical Brothers e Fatboy Slim. Il leggendario Ian Brown è riuscito come pochi altri nella missione di essere adorato da tutte le generazioni successive: you've been adored.

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