23 agosto 2017

Rock 'n' Hair: la storia del rock tra pettini e forbici

Quante volte vi è capitato di andare dal parrucchiere e dire “Li voglio così”, con tanto di braccio teso e foto zoomata nel telefono? Sono perfetti: voluminosi, dritti/ricci al punto giusto, brillanti, impomatati come si deve, con la giusta spruzzata di lacca. Li senti quasi fare swish. Quando però ti guardi allo specchio il taglio è troppo corto di 2 centimetri, le ciocche sono ancora crespe, la brillantina è stranamente unta e appiccicosa, il colore al posto di essere biondo miele è giallo canarino. A questo punto torni a casa piangendo e vorresti solo andare in giro con un sacchetto di carta in testa. Non siete gli unici, probabilmente negli anni ’50 i ragazzini si lamentavano del fatto che era impossibile avere la banana alla Elvis e negi anni ’80 le ragazzine urlavano perché non esisteva arricciatore in grado di dargli il mosso di Madonna. Ogni decennio ha avuto la propria mania isterica per i capelli.

I ‘60s: il fantomatico caschetto alla Beatles

La minigonna, il furgoncino Wolkswagen, la Pop Art. Tra le cartoline del decennio troviamo quattro ragazzetti di Liverpool: John, Paul, George e Ringo, anche chiamati Beatles e il loro iconico caschetto (o la tanto odiata scodella che ogni bambino deve affrontare almeno una volta nella vita). Neanche lo facessero apposta, all’inizio dei ’60 portavano tutti lo stesso taglio: folto, impeccabile, con una drittissima frangia a coprire la fronte. Con un look acqua e sapone, i Beatles si arrampicano su per le classifiche con un pop-rock leggero che è impossibile non amare: sono gli anni di “Hard Day’s Night”, “Eight Days a Week”, “Help”. Il loro caschetto raggiunge una fama tale che in commercio si poteva trovare la loro lacca, con tanto di faccioni sorridenti sulla confezione.

Negli anni successivi si cambia disco: Lennon inizia a frequentare Yoko Ono, McCartney sposa Linda e Harrison scopre l’India. Pian piano capelli, barba e baffi si fanno sempre più lunghi e con loro cambia anche la musica: le sonorità si fanno più mature, articolate e all’interno rieccheggiano melodie psichedeliche e indianeggianti. Il barbiere viene sostituito dallo studio di registrazione, in cui vengono prodotte tra le altre: “Let It Be”, “Lucy In The Sky With Diamonds” e “Come Together”.

Non si può parlare dei Beatles senza parlare dei Rolling Stones, giusto? Come dettava la moda, pure loro portavano la scodella, ma la parte dei bravi ragazzi era già stata presa, quindi decisero di adottare un taglio più disordinato e di darsi a qualcosa di più rock, “I can’t get no” vi dice niente?

The Beatles

 

I ‘70s: la cresta anarchica dei Sex Pistols

Passata l’ondata di pace e amore del ’68, con il suo carico di capelli lunghi e coroncine di fiori, ad alcuni giovani londinesi inizia a star stretto questo nuovo modo di essere tutto sorrisi e bontà, e ancora di più sta stretta la politica anglosassone: la Lady di ferro, le centinaia di famiglie sfrattate, l’economia in crisi. I gilet con le frange e i pantaloni a zampa non si adattavano a questo malumore, perciò compaiono le prime borchie e il chiodo in pelle, e in testa si alzano le prime creste: rosse, nere, verdi, di qualsiasi colore, l’importante è che fossero dritte, pungenti, a prova di gravità, insomma dovevano riflettere l’incazzatura interiore di ognuno di noi. Gli ideatori? I Sex Pistols. Si dice che i quattro giovani, per ottenere una chioma così spinosa, utilizzassero della colla di pesce e immergessero poi la testa dentro un forno. Anticonvenzionali i ragazzi; infatti vengono definiti persino i creatori del primo divario generazionale con il rock ‘n’ roll: i creatori del punk rock. Il nuovo genere è qualcosa di più duro, cattivo , fatto di semplici accordi che nemmeno il gruppo sa suonare, e i testi sono spesso sovversivi e impolitici: la band ha avuto il coraggio di riscrivere perfino l’inno nazionale, pubblicando una loro versione di “God save the Queen”. La nuova onda lunga (in cui però la colla di pesce viene sostituita con il gel, per fortuna) di critica politica e magliette Vivienne Westwood proseguirà poi negli anni ’80 e invaderà gli States con i Clash e i Ramones.

Sex Pistols

Gli ‘80s: tra il ciuffo di Morrisey e la cosa indefinita di Robert Smith

Riassumere gli anni ’80 in un solo taglio di capelli è qualcosa di impossibile: dovrei parlare dell’ennesima trasformazione di David Bowie, del biondissimo bob di Debbie Harry o delle treccine trash di Boy George. Lontano dalle luci della ribalta, nelle periferie inglesi si iniziano a sentire i primi strimpelli di un genere che non assomiglia a quello in voga, distante dal pop, distante dalle maestose rock band, distante dalla dance: l’alternative rock. Ora mi aspetto che si alzi un coro compatto che urli: gli Smiths! E che prosegua poi cantando “There is a light that never goes out”. Morrisey e il suo indie melanconico. Il protagonista indiscusso infatto è proprio lui: Morrisey, vegetariano, vita sessuale volutamente lasciata ambigua, dichiarazioni che ci lasciano costantemente perplessi. Un personaggio tale non poteva avere un taglio banale: il lato assolutamente corto diventa sempre più lungo ma mano che si sale, facendo emergere un ciuffo voluminoso, che non so per quale legge fisica, riesce sempre a stare sospeso a mezz’aria. Come quell’ammasso di capelli che non riesce a stare né su né giù, la musica degli Smiths è un mix di spensieratezza e tristezza adolescenziale, capace, tra una “Heaven Knows I’m Miserable now” e una “This Charming Man”, di incollare alla tv gli occhi di centinaia di donzelle, trascinate dalla voce di un malinconico Morrisey che come un trofeo impugna un mazzo di gladioli.

L’altra icona indie del periodo è Robert Smith, leader dei Cure. A questo punto mi aspetto che iniziate a intonare il motivo di “Lullaby”. L’atmosfera inquietante della canzone viene riflessa nel video, in cui il cantante viene divorato dalle ragnatele. La distinzione tra i fili di ragno e i capelli, devo dire, si nota solo per la differenza di colore, infatti la chioma di Smith sembra un’informe e disordinata matassa scura, in pandant con il rossetto sbavato e la New Wave.

Morrisey

I ‘90s: la zazzera dei Gallagher

Negli anni ’90 usciva Trainspotting, al collo si portava un’orribile collanina nera e l’Italia sfornava perle musicali come dj Corona. Fortunatamente gli inglesi ci vengono sempre in soccorso, regalandoci il Britpop: Oasis, Blur, Pulp e Suede. Manchester ci dà i fratelli Gallagher, che tra qualche rissa al bar con Damon Albarn e soci, pubblicano pezzoni del calibro di “Wonderwall”, “Don’t look back in anger”, “Champagne supernova”, canzoni semplici, immediate, come quelle dei Beatles a cui si ispirano. Come il quartetto di Liverpool, anche i due fratelli portavano il caschetto, ma alla loro maniera: Noel più semplice, con la frangia un po’ più corta rispetto a quella di Liam, a cui arrivava alle sopracciglia e il cui taglio era talmente pieno da sembrare una parrucca messa male.

Oasis

I ‘00s: il caos

Il nuovo millennio è stato un esplosione di indie band di qualsiasi tipo, forma, gusto. Prendiamo per esempio Jack White: prima leader degli White Stripes insieme alla ragazza/moglie/sorella Meg, poi componente dei Racounters ed infine solista. Il poliedrico artista vanta altrettanto poliedrici capelli: nella fase band portava un taglio semi-dritto con riga centrale che gli arrivava poco più sotto l’orecchio, per poi passare, nella fase solista, ad un mosso corvino da prima mattina.

Nel 2002 uscì “Up theBracket” dei Libertines, in cui svetta quel brav’uomo di Pete Doherty. Nel corso degli anni ha riempito i tabloid con le notizie più disparate: l’uso di eroina, la relazione con Kate Moss, l’amicizia con Amy Winehouse, diversi processi. Ovviamente il tempo per darsi una sistemata non esiste e la chioma ne risente: sempre in disordine, un po’ giù un po’ su, un po’ spelacchiata o solo uno dei prototipi di tagli indie?

Ma quello che più fa parlare di sé per i suoi capelli è (rullo di tamburi): Alex Turner, o anche il cantante degli Arctic Monkeys. Partiamo da quando era un pischello, quando cantava “I Bet You Look Good On The Dancefloor”: le note semplici, pure e movimentate del nuovo rock firmato Sheffield vengono accompagnate da un look altrettanto naive: polo, ancora qualche traccia di foruncoli e un taglio da ragazzo della porta accanto, con tanto di frangetta sopra la fronte. Nel corso degli anni da una parte i toni si incupiscono, dall’altra le Scimmie ci offrono degli sprazzi di allegria come “Fluorescent Adolescent” e “Cornerstone”, il cui video è qualcosa di memorabile: Turner stretto dentro un dolcevita rosso, registratore alla mano e capelli lunghi fino alle spalle. Poi scoprono gli Stati Uniti e tutto cambia: è l’era “Suck It And See”. I quattro ritornano sulle scene con un indie più leggero e, a parere del gruppo, più vintage, in cui si torna al look più semplice delle origini: ricompare la frangetta, ma sta volta più lunga e voluminosa. Il successo universale arriva nel 2013: AM, il disco che letteralmente ha diviso i fan, tra i nostalgici del vecchio alternative e gli amanti dei nuovi suoni più commerciali. Si sa, il successo dà alla testa, infatti il Turner lascia da parte il vecchio taglio per innondarsi di brillantina e creare un ciuffo alla Elvis, che durante i concerti non farà a meno di mettersi a posto con un tocco di mano. Il 2015 però è stato un vero e proprio sfacelo: il capello ormai fattosi abbastanza lungo, viene tirato indietro con una dose massiccia di brillantina, facendoli apparire stranamente unti. Turner, caro, il 2016 può essere il tuo anno, la diamo una spuntatina prima dei servizi fotografici per i TLSP?

Alex Turne
Alex Turner