Nell'infinita lista di band che hanno fatto la più classica delle gavette per trovare il loro posto nella scena indie rock, gli Snuts sono sicuramente tra quelle più tenaci. Dopo il successo ottenuto in patria con i primi EP e singoli fatti di chitarre aggressive, ritornelli catchy e una voce difficile da non notare, i ragazzi di Glasgow non si sono fatti trovare impreparati davanti alle attenzioni di critica e pubblico.
In occasione dell'uscita del loro nuovo album Millenials, il terzo in studio in appena 4 anni, abbiamo fatto due chiacchiere con il frontman Jack Cochrane. Il nuovo disco segna una svolta nella produzione musicale della band, per due motivi principali: è il primo album sotto la neonata etichetta Happy Artist Records (nome abbastanza emblematico per quello che è il momento che la band sta vivendo) ed è stato registrato in giro per il mondo, anche per via del lunghissimo tour in cui gli Snuts sono impegnati da ormai più di un anno.

Siamo arrivati al terzo album in 4 anni: un bel risultato. Cosa significa Millenials per te e per la band?
Significa molto, perché quello che cambia è principalmente la consapevolezza. Se per i primi due dischi, partendo da zero, una delle preoccupazione era sicuramente quella di vedere come il pubblico avrebbe reagito, questa volta ci siamo focalizzati al 100% su noi stessi. Abbiamo sfruttato al massimo la libertà che ci siamo guadagnati e ci siamo divertiti tantissimo. Penso si possa percepire dalla musica e dai brani che compongono Millenials. Più o meno volontariamente il significato di questo disco sta nella spensieratezza e nella libertà derivanti dalle risposte positive che abbiamo sentito attorno a noi negli ultimi anni.
Cosa è cambiato in voi come band e come persone da W.L. e Burn The Empire?
La principale differenza, che a cascata ha generato tutti gli altri cambiamenti che sono arrivati con questo disco, sta nella nostra decisione di abbandonare una major. Questo comporta sempre tante pressioni, tanto rumore esterno attorno a te e molte discussioni su che band dovresti essere o non essere. Tutte queste distrazioni e limitazioni ci hanno portato a prendere la decisione di metterci in proprio e produrre il nostro lavoro in autonomia. L’effetto collaterale è ovviamente quello di non avere un occhio esterno, un punto di vista estraneo alla band su quello che stavamo producendo. Comunque devo dire che concentrarci su di noi come amici, un po’ come agli inizi, è stata una bella esperienza e penso che il fatto che ci stessimo divertendo insieme sia centrale nell'album.
Un album che avete concepito e registrato in giro per il mondo.
Esatto: metà del disco è stata registrata in Scozia, cosa abbastanza inusuale per noi sinora; mentre l’altra metà è stata letteralmente registrata on the road: in camere d'albergo, sui bus con cui ci muovevamo tra le varie date. Se per caso avevamo un giorno libero da qualche parte nel mondo cercavamo uno studio da affittare e registrare così in Australia, in Giappone e poi in Europa di nuovo. È stata sicuramente una bella sfida per noi come musicisti e come band, resa ancor più difficile dal nostro stile e dal nostro genere: essere un gruppo che punta forte sulle chitarre nel 2024, con 50 anni alle spalle di musica simile, ti spinge a dare il massimo e a superare i tuoi limiti per differenziarti.
Mi sembra di capire che quindi il viaggio abbia dato un grande contributo a questo disco.
Certamente! Lo stile di vita imposto dal viaggio ti costringe a cambiare ogni giorno le tue abitudini e tutto attorno a te è in continuo movimento, dai posti alle persone. Sono sicuro che nel nuovo disco si sente questo ritmo e questo passo, un senso di movimento continuo. In Millenials si trovano sicuramente alcune delle canzoni più veloci che abbiamo mai prodotto e questo è un riflesso dello stile di vita che abbiamo avuto in questi ultimi anni.

Un cambio di stile che si era intravisto anche in Burn The Empire con il vostro featuring con Rachel Chinouriri in un brano decisamente diverso dallo stile e dal genere che vi ha fin qui contraddistinto. È una formula che rivedremo?
In ogni nostro disco non ci siamo mai imposti di metterci dentro determinate canzoni o sonorità, è sempre stato tutto piuttosto naturale, ripartendo dalla classica tela sgombra di ogni cosa. Abbiamo sempre cercato di assecondare la nostra creatività, appoggiando e sostenendo quello che in quel momento ci riusciva o ci veniva naturale. Non vedo uno stile comune tra i nostri dischi, ad essere onesto, e quello che pubblichiamo è sempre lo specchio di chi siamo in quel momento.
L'impressione è che si tratti di un disco più sperimentale rispetto alla strada tracciata fino a quel momento con i primi EP e con W.L.
Penso che nel momento in cui abbiamo registrato quel disco il mood generale che regnava era di frustrazione, rabbia e delusione nei confronti del contesto sociale e politico in cui vivevamo. L'album è stato prodotto e registrato molto velocemente e abbiamo quindi riversato più o meno volontariamente tutto il nostro disappunto e le difficoltà di essere ottimisti. Tutta la gente che però ha partecipato in qualsiasi modo al disco ci ha insegnato molto e quindi abbiamo cercato di inserire tutto ciò che abbiamo imparato.
A proposito di generi diversi, ascoltando i vostri precedenti lavori si riconoscono gli ormai ‘classici’ Kasabian e Arctic Monkeys, oltre a Paolo Nutini e Cage The Elephant. Quali sono i vostri riferimenti?
Hai sentito bene (ride, ndr)! Siamo da sempre grandi fan di Cage The Elephant e Kasabian, e non potrebbe essere altrimenti visto il lavoro che hanno fatto con le chitarre nella loro carriera. Le influenze sono inevitabili, sia nei suoni di ogni musicista, sia nei progetti che ci si propone di portare avanti. Abbiamo però sempre pensato che fosse più importante cercare di evitare di essere la copia-carbone di qualcuno di già esistente: quindi sì alle chitarre, ma anche un grande sì alla ricerca continua di sfumature diverse, come l’inserimento dell’elettronica e alla produzione di cose più pop, nel significato letterale del termine. In questo senso, è sempre importante essere rispettosi nei confronti dei generi che si ascolta più frequentemente e cercare di usare quanto più possibile tutte le influenze senza nasconderle, sfruttandole per creare il proprio angolo nella scena musicale. Ci piace attingere da davvero tanti generi, anche più di quanto non si senta effettivamente nelle nostre canzoni: dal soul, al pop e fino al classic rock.
Avete scelto di pubblicare ben 5 singoli estratti da Millenials, ovvero quasi la metà del disco. Come mai questa scelta?
Prima di tutto penso che, in generale, trovarsi nella situazione in cui un artista non potesse scegliere quale e quanta musica pubblicare nel 2024 sarebbe stato piuttosto frustrante. Pubblicare un singolo e poi pensare di promuoverlo per mesi e mesi non sarebbe stato in linea con il nostro pensiero. Abbiamo cercato di immedesimarci nei fan e abbiamo provato a dar loro quanto più musica potessimo permetterci di pubblicare, perché sono i fan a tenere in vita le band, in tutti i sensi. NPC e Deep Diving sono uscite nel giro di una settimana, avere un feedback diretto dai fan era lo strumento più potente che potesse farci capire come stessimo lavorando. In seconda battuta, avere 5 canzoni in più già pubblicate significa ampliare il proprio repertorio!
Quale singolo pensi sia più rappresentativo del nuovo disco?
Ti dico Gloria, il singolo che ha racchiuso tutto lo spirito del disco: una volta registrato e riascoltato siamo arrivati alla conclusione che sarebbe stata l’apertura perfetta del disco. Un brano che riassume benissimo tutto quello che volevamo incidere e tutto quello che abbiamo passato in questi anni, il modo in cui avremmo voluto raccontare la nostra storia. Una menzione d’onore però anche per Circles, che non è uscita come singolo ma chiude il disco ed è una sorta di scena finale di un film. La chiusura del viaggio.

Il viaggio mi sembra un tema ricorrente tanto nel disco quanto nel vostro processo creativo, anche alla luce del fatto che da due anni viaggiate ininterrottamente in tour.
È così, confermo (ride, ndr). Viaggiare ti permette di portare la tua musica a persone nuove e queste ti danno a loro volta qualcosa di nuovo che puoi mettere nel tuo bagaglio di esperienza e nelle tue future ispirazioni. Non possiamo che essere grati per tutto quello che abbiamo potuto vivere e per tutti i ricordi che abbiamo legato ad ogni nostra canzone. Un viaggio che è stato anche introspettivo, fantastico.
E al pari del viaggio c’è sicuramente la vostra amicizia come componente fondamentale della vostra prospettiva come band.
La nostra amicizia è tutto. La condivisione delle esperienze e dei ricordi, essere degli amici di sempre che possono suonare insieme e farlo davanti a tante persone e davanti a folle di tutto il mondo è il massimo. C’è poi un senso di appartenenza fondamentale per quei momenti in cui ti manca casa, che solo chi vive può capire ed essere di aiuto per andare avanti. Lo scorso anno siamo mancati da casa per davvero tanto tempo.
Come ultima domanda non posso che chiedervi dell’Italia. Che rapporto avete con i fan italiani? Vi rivedremo presto qui?
Abbiamo suonato in Italia lo scorso anno, è stato incredibile e abbiamo percepito davvero un’energia speciale dal pubblico italiano. L’amore nei nostri confronti è stato autentico e non possiamo che fare di tutto per tornare presto a suonare da voi e per voi, spero già entro la fine del 2024. Milano è sicuramente la città a cui leghiamo i nostri ricordi perché è stata la prima in Italia in cui ci siamo esibiti. Tra l’altro devi sapere che sono un grande tifoso del Celtic - ovviamente - e in Italia ho potuto assistere ad un derby con i Rangers in un pub che è anche un Celtic Supporters Club, un posto incredibile. E il Celtic ha pure vinto! Ciao Italia, ci vediamo presto!
