Aspetto di parlare al telefono con Adelasia (se ve lo state chiedendo sì, è il suo vero e bellissimo nome), classe 1995, superfelice che si tratti di un’artista che è praticamente una mia coetanea, di una donna, una femmina dalla sensibilità simile alla mia e probabilmente a quella di altre ragazze. È qualcuno che ce l’ha fatta a realizzare un sogno nel caos di quest’anno. E infatti questo piccolo sogno si chiama proprio 2021 (il suo primo album, uscito il 9 ottobre per Sbaglio Dischi ), come il civico della sua casa di infanzia, come l’unione di due delle età più confusionarie in assoluto e un po’ come le promesse future che questi numeri messi insieme si portano appresso.
Mi dico subito che vorrei parlarci come, appunto, parlerei di sogni, speranze e paure con una mia amica, con la differenza che il suo 2021 l’ha battuta sul tempo, avendomi già ampiamente cullato e parlato al posto suo negli ultimi giorni; adesso io voglio saperne di più e capisco subito, iniziando a parlare direttamente con lei, che condividiamo gli effetti della nostra generazione incasinatissima. Risponde e mi chiede come sto, chiacchieriamo di sole e pioggia, di corsi universitari simili e quartieri della città in cui entrambe viviamo, Roma, mi dice che anche lei è contenta che a intervistarla sia qualcuno di così vicino alle sue esperienze e al suo tempo e mi ricordo che anche lei viene dalla provincia, da Lucca, cresciuta come me col mito della grande città:
Vivo a Roma ormai da sei anni. Sono cresciuta coi racconti di mamma sulla Roma degli anni settanta, interessante e super politicizzata, e una volta arrivata lì mi si è aperto un mondo. C’era chi andava in università e nel frattempo dipingeva, chi scriveva e ho pensato di volerci provare anche io; l’arte era giovane, a Lucca la gente si trasferisce in età adulta, come i miei genitori, è un luogo in cui la tranquillità è più potente della movida. Non avevo mai pensato prima che il mio futuro avrebbe potuto avere a che fare con qualcosa di artistico.
Lo so molto bene, sei stimolata di continuo, vuoi dare il tuo contributo. Penso che il trasferimento sia stato fondamentale, un po’ per questo, un po’ perché coincideva con quegli anni in qui le cose «succedono intensamente». Arrivata in città hai iniziato a studiare scienze naturali, adesso studi storia dell’arte e hai pubblicato un disco. Tutto questo era, in qualche modo, nei tuoi piani? Il contesto in cui vivi inevitabilmente decide chi diventerai, no?
Assolutamente, io prima volevo fare la fioraia (ride, ndr). Nella realtà in cui vivevo non avevo proprio mai avuto lo stimolo. Scrivere dei miei pensieri mi è sempre piaciuto, magari sul diario, e avevo già preso qualche lezione di canto, ma come una di quelle mille cose che fai da piccolo senza crederci davvero, più per gioco e perché sei costretto. Poi ho iniziato a prendere lezioni di chitarra e di canto (questa volta sul serio) e da lì è nato tutto. Credo anche che vivere da sola e lontana da casa, dalla vita (fortunatamente) comoda e felice, abbia fatto nascere in me quelle sensazioni di malinconia e solitudine e quindi la voglia di esprimerle.
Per l’ennesima volta il dolore è la spinta creativa di tutte le cose, qualcosa che poi con il tempo impari a guardare sotto un’altra luce e a ringraziare, perché ti ha permesso di rendere concreta la tua interiorità, dandogli voce. Quanto ti rispecchi ancora in quei sentimenti? Le canzoni che hai scritto appartengono solo a quel periodo o sono anche recenti?
In realtà alcune le ho scritte recentemente, sette, otto mesi fa. In Controcorrente mi ritrovo molto ancora, nel fatto di non riuscire a capire bene cosa fai e perche lo fai e sentirti disorientata ma avere fiducia e perseverare, perché solo così troverai la tua strada. In altre non mi ritrovo più, le ascolto e penso «non era niente, erano cose piccole, povera cucciola» (ride, ndr). Alcune le ho superate emotivamente.
In effetti in Controcorrente si sente la contemporaneità («ed è per questo che scrive sopra a un muro, dove cazzo è il mio futuro, non riesce a immaginarlo, ma ci vorrebbe andare») , si sente che c’è un’irrequietezza di fondo, penso che però quest’anno l’irrequietezza abbia riguardato un po’ tutti. Nel tuo caso però, dai, possiamo dire che un posticino nel mondo lo hai trovato…
Eh..(ride, ndr), mi commuovo quando sento queste cose, perché in realtà non è così! Ho trovato di sicuro un ruolo, posso definirmi qualcosa, ma rimane tutto complicato, sento di averlo vissuto per una serie di motivi al 70%, come se avessi percorso metà della strada. Forse più di metà, dai, tre quarti. In ogni caso sono felice di aver realizzato questo disco, mi ripeto «Dada, (che sarei io, è come chiamo me stessa) questo disco l’hai fatto e sei te» e mi ci posso identificare.

Credo di capirne l’insoddisfazione, in un certo senso. Penso che «insoddisfazione» sia, però, una delle parole chiave della nostra generazione, siamo perennemente insoddisfatti per un motivo o un altro…
Sì, non è vero?! C’è sempre quel qualcosa in più che avresti potuto fare!
Forse è qualcosa che storicamente ci appartiene e dovremmo imparare a conviverci, no?
Sì, poi io sono stata ultimamente la persona più felice del mondo per aver realizzato questo disco, anche se il momento storico non è dei migliori, non mi sono ancora esibita live, per dirne una. C’è tanta strada da fare anche se c’è tanta incertezza intorno a noi, ma prima o poi riuscirò a colmare anche quel 30% restante.
Certo, penso che sia il desiderio o comunque l’ambizione di molti riuscire a rendere l’interiorità concreta, non limitarsi a viverla ma fissarla da qualche parte e riuscire a condividerla con gli altri, come hai fatto tu. In Acqua tu dici «ne è passata davvero tanta di acqua sotto i ponti» ma anche «non me ne ricordo neanche un po'». Forse perché i vent’anni sono un periodo un po’ dilatato, in cui non viviamo dentro quel tempo, ma esasperando le cose. A proposito, ho notato che hai inserito il mare un po’ in tutto il disco, anche in Passato Remoto o Umido!
Sì, ne sono proprio innamorata! E sì, è completamente così durante i vent’anni, ma sai che non ricordo precisamente a cosa mi riferivo in quella frase?! Nel momento di scrittura dai un’accezione alle cose e non sempre dopo la riconosci. Io comunque penso intendessi che le mille cose che mi sono successe le ho sempre vissute come delle prime volte, gli errori così come le cose che mi entusiasmavano. Poi, lo dico liberamente, alcune cose vengono fuori nel momento in cui viene prodotta la canzone, si sceglie una parola rispetto a un’altra per modificare una certa sonorità e una cosa influenza l’altra. Il senso generale dalla canzone viene fuori anche da questo.
(Dopo la telefonata ci ripenso e realizzo la bellezza di queste ultime due affermazioni ).

Paradossalmente non ti ho chiesto nulla sulle mie preferite del disco e cioè Aliena e Meglio soli, ma forse perché le ho capite benissimo già solo ascoltandole. Vorrei sapere, però, che storie vivono dietro queste canzoni, se ce ne sono di specifiche o se nascono più da una situazione che c’era in sottofondo.
Aliena l’ho scritta per delle amiche che in passato soffrivano di attacchi di panico. Io, specialmente a una di loro, ero stata molto accanto e ne ho vissuto la sofferenza quasi in prima persona, quindi ci ho voluto scrivere una canzone, un po’ per comprendere meglio il suo malessere.
Quindi quando dici «solo il braccio tenuto sotto alla testa come fosse un cuscino ha il permesso di starti vicino» non è qualcosa di autobiografico, parli a una seconda persona in maniera giustificata..
Esatto, quando vedevo che aveva delle difficoltà a interagire con le altre persone ho proprio pensato a questa immagine. Meglio soli, invece, parla solamente di me che in amore sono una sfigata (ride, ndr). Parla di un vecchio amore non completamente corrisposto, di cui mi prendevo le briciole. Te l’eri immaginata così la storia? Purtroppo era abbastanza chiara (ride, di nuovo, ndr).

Beh sì, la storia più vecchia del mondo. Parliamo di Valerio, invece, la canzone dedicata a Valerio Verbano, giovane militante di sinistra ucciso a Roma nel 1980: tu in primis nel testo della canzone fai una sorta di denuncia sociale e dici «come mai il tuo nome non mi suona, come mai?»
Io mi sento spesso, insieme ai miei coetanei, una vittima della disinformazione scolastica che concerne il passato più recente. Di certe cose spesso a scuola non si parla. Hai anche tu la stessa sensazione? E, soprattutto, pensi che nonostante questo problema ci sia qualcosa di romantico nell’approfondire queste vicende in maniera completamente autonoma?
Io penso che ci siano delle storie che andrebbero raccontate a prescindere, per stimolare la curiosità dei ragazzi. Molti ragazzi sono stati uccisi negli anni di quella che era una guerra civile, in pratica, e a prescindere dalla loro fazione politica empatizzi più col fatto che avessero la tua età. È una parte di storia che viene omessa scolasticamente, poi ovviamente ci sono dei professori che ne parlano, per fortuna. Ci insegnano e impariamo un sacco di cose noiose che, certamente, sono importanti ma sono lontanissime da noi e poi tralasciano dei fatti essenziali per capire un determinato periodo storico vicino a noi, cose che avrebbero potuto educarci, anche. Poi credo sia anche bellissimo arrivare a queste vicende da soli al momento giusto, però un minimo di curiosità dovrebbe esserti proprio trasmessa.

Ti faccio due ultime domande. Pietro Paroletti è uno dei nomi legati al tuo album, noi lo conosciamo già per il lavoro con Post Nebbia; che rapporto hai con l’indie contemporaneo? Il regista Xavier Dolan ha affermato spesso di non aver visto molti film nella sua vita, ma di avere comunque molto da dire e dare come regista. Penso che questo discorso valga molto anche nella musica, soprattutto quando un artista è molto giovane e si lancia e basta, come succede ultimamente. Chi sono le figure artistiche che hanno ispirato Adelasia, sia italiane e recenti che internazionali ed evergreen?
Sì, io non sono un dio della musica ma la amo, pur non avendo mangiato i dischi dei Pink Floyd e dei Rolling Stones a colazione (ride, ndr). Sicuramente I Cani mi hanno formata. Poi mi piace molto Calcutta, Giorgio Poi, Colombre, e parlando del passato sicuramente i Verdena. Nella piramide dell’amore troviamo però Bon Iver, Big Thief, De Andrè e sono team Beatles tutta la vita.
Speriamo di vederci live allora il prima possibile. Ti lascio al tuo studio universitario, è stato bello chiacchierare con te, buona fortuna!
Lo è stato per me! Buon rientro in patria e buona Sicilia!