30 novembre 2021

Femminuccia a chi? Intervista a Galea

Normalmente, passati un paio di giorni da un'intervista, un po' ci rimugini sopra e pensi: "Vedi che dovevo farla questa domanda..." oppure "Ma perché me la sono dimenticata questa?" e simili. Con Galea tutto questo non è accaduto, perché l'interessante chiacchierata che ci siamo fatti ha spalancato fin da subito le porte alla cristallinità e sincerità che permeano non solo le canzoni ma anche (e, oserei dire, soprattutto) la personalità di Claudia stessa.

Le canzoni di Galea sono delle piccole finestre ed esperienze, alle volte dai toni leggeri (ma non per questo banali) altre volte con un retroterra importante (vedi Femminuccia, l'ultimo singolo).

La cantautrice pugliese ha una particolarità che in pochi posseggono: trasmetterti immediatamente sicurezza e questo lo si denota anche nei suoi singoli finora pubblicati, per adesso non ha sbagliato un colpo.

Vent'anni, ancora tutto da dimostrare, ma con un bagaglio di esperienze già importanti e in fase di continua maturazione sia artistica che umana. È proprio dalle ultime esperienze che abbiamo dato il via al nostro botta e risposta, che, per il sottoscritto, si è rivelato uno dei più sorprendenti dell'ultimo periodo.

Lo scorso novembre hai presentato a Sanremo Giovani “I nostri 20”: come hai vissuto questa esperienza?

Ti dirò, più positivamente di quanto pensassi. Sono una persona molto ansiosa e la mia ansia consiste nel preoccuparmi per come mi sentirò al momento dell'esibizione. Ho cantato anche all'ultima puntata e questa l'ho vissuta un po' come un'agonia, perché ogni sera mi ripetevano che ci fossi io e puntualmente non ero mai in scaletta. C'è stato questo mese e mezzo assurdo in cui facevo Barletta-Roma in pieno Covid: sere in cui stavo da sola nella stanza d'albergo, chiamavo la reception per ordinare con il delivery e mi arrivava questa pasta al sugo dentro i contenitori di plastica... È stato un periodo un po' allucinante, però devo dire che anche questo mi è servito, perché la solitudine la soffro fino ad un certo punto e quindi si è rivelato anche un periodo per scrivere e non è stato così male, anzi. Bellissimo anche il fatto di aver conosciuto altri miei coetanei, con i quali mi sono confrontata. In ultimo, ma non per importanza, sono rimasta soddisfatta anche di come ho cantato, che non è una cosa per niente scontata.

Ti senti diversa dalla pubblicazione di… Diverso?

Sì, molto. Ripensandoci avrei fatto quella canzone molto diversamente, mentre se penso a , il sound mi piace ancora tantissimo. Dal punto di vista testuale non mi giudico negativamente, perché non sarebbe giusto, ma non scrivo più in quel modo. Invece, dal punto di vista dell'appartenenza, comunque, le sento sempre mie, perché sono pur sempre le prime canzoni che ho pubblicato, con loro ho un legame affettivo molto forte, quasi come se fossero persone. Quando mi riascolto più che sentirmi diversa, mi sento cresciuta, capisco e riconosco che sono io anche in quelle canzoni di qualche anno fa, ma oggi mi sento più evoluta.

Femminuccia è il tuo ultimo singolo e nel brano sottolinei molto il tuo punto di vista da ragazza di vent’anni: cosa significa crescere e, al contempo, anche allontanarsi da alcuni stereotipi legati al racconto di genere?

Per me Femminuccia rappresenta uno step in più nell'allontanamento di questi stereotipi. L'ho scritta proprio come simbolo di riappropriazione di tali stereotipi: da piccole cresciamo sempre con l'idea che non dobbiamo assomigliare troppo alla donna femminile e questa cosa ci è stata anche rafforzata dai film di animazione visti durante l'arco della nostra infanzia.
In questi film c'era un po' la stessa trama, con più o meno gli stessi personaggi: la protagonista che non si curava molto dell'aspetto, un po' secchiona, molto semplice e le cattive che, invece, erano sempre ragazze super femminili, molto curate, tacchi, vestite di rosa... questo ti mette in testa a livello inconscio il fatto che tu non debba essere come loro perché sono le cattive della situazione! Può sembrare una cazzata ma assieme alle altre mille cose che oggi sentiamo e percepiamo, che arrivano inconsciamente vivendo entro la società, questo influisce (e non poco) sull'idea di doversi distinguere dalle altre che in partenza sono giudicate come frivole e stupide. Come se la leggerezza non fosse a noi permessa: le ragazze devono essere serie. Se quindi associamo la frivolezza alla femminilità, anche quest'ultima diviene sbagliata e questo è un problema. Confrontandomi anche con le mie amiche, abbiamo evitato alcuni di questi stereotipi, alle volte anche giudicando (che è la cosa più sbagliata che possa esserci), ma adesso, essendo un po' più adulta entri nei meccanismi e capisci anche meglio certe dinamiche, le rivendichi. Femminuccia è in sintesi riappropriarmi di certi spazi: vivere una vita senza condizionamenti, cosa che dovrebbero fare tutti, a prescindere dalla condizione di genere, ma perché primariamente sono una persona ed è una cosa che auspico possa accadere.

Quale percorso di studi hai affrontato? 

Questa domanda non me l'ha mai fatta nessuno, ma in realtà ne voglio parlare! La scuola secondo me ha un ruolo essenziale: ho fatto lo scientifico tradizionale, ma forse non ce lo si aspetterebbe... Quando mi sono diplomata, poi, mi sono iscritta ad ingegneria informatica al Politecnico di Milano che ho seguito per ben tre settimane. Ero oggettivamente in un periodo confusionario della mia vita, ero a 800 chilometri di distanza dalla mia casa natale, senza alcun amico, ero spaesata. Le cose che studiavo, poi, non mi piacevano abbastanza e mi annoiavo parecchio. L'altro fattore determinante del mio spaesamento era che vivevo con dei coinquilini e non mi piaceva molto il fatto di dover suonare in casa con estranei: non cantavo, non suonavo e ciò mi ha portato ad una sofferenza estrema. Così ho abbandonato tutto e mi sono iscritta a metà anno a lettere a Bari, ma lì mi sono sentita sopraffatta dal carico di lavoro e ho rinunciato agli studi... ti sto effettivamente descrivendo il mio fallimento! . Ad ogni modo, è stato un po' come abbandonare una mia caratteristica perché a scuola ero veramente molto brava e questo mi ha destabilizzato ma, al contempo, è stata una liberazione perché mi ha fatto spostare lo sguardo dal punto di vista delle priorità e ho deciso di concentrarmi per due anni in ciò che mi piaceva fare. Soltanto quest'anno mi sono iscritta di nuovo a lettere, perché effettivamente mi piace molto.

Nonostante gli ultimi anni di studio siano stati un po' turbolenti, ti hanno comunque aiutato nel tuo percorso di crescita e maturazione a livello musicale?

Nonostante abbia avuto un percorso prettamente più scientifico mi sento di aver studiato molto bene anche le discipline umanistiche, soprattutto latino perché mia madre è professoressa ed è come se avessi avuto una sorta di imprinting che si è riversato effettivamente nei testi che scrivo, che sono una componente fondamentale della mia musica.

Siccome ne abbiamo smussato i contorni ma non ne abbiamo ancora mai parlato direttamente, vuoi dirmi come è nata la tua passione per la scrittura?

Da piccola ho sempre scritto. Ancora oggi, magari, mi ritrovo testi di canzoni di cui non mi ricordo assolutamente nulla di come fossero stati musicati e che melodia avessero. Avevo anche tanti diari, dove scrivevo ciò che facevo mentre ero in gita fuori porta con la famiglia. Non ricordo di un momento specifico in cui sono entrata in contatto con la scrittura, perché ho testimonianze di me che scrivo mentre imparavo a farlo. Così come anche la lettura. Entrambe le ho abbandonate durante il periodo scolastico, perché studiando molto tralasciavo questi due hobby, che poi sono ritornati a galla sottoforma di canzoni e non più di prosa.

Tra dicembre e gennaio uscirà il tuo primo EP: cosa dovremmo aspettarci?

Non lo so effettivamente, non sta a me dirlo. Saranno brani sulla stessa linea che ho già fatto uscire, ci sarà un filo rosso, non solo dal punto di vista del suono che sto curando assieme ad Antonio Filippelli e Daniel Bestonzo, ma anche dal punto di vista delle tematiche. È stato molto istintivo parlare di certe cose invece che altre: di crescita personale, soprattutto. Non ho molto la pretesa di scrivere del passaggio tra l'età adolescenziale e quella adulta, quanto più riflettere sugli sviluppi interni di questa età di passaggio. Poi ovviamente sono anche molto contenta se qualcuno ci si ritrova in quello che scrivo. Principalmente parlo di cose che provo (più che di accadimenti che mi succedono), legate alla mia età.

A quali influenze ti sei ispirata per comporre i brani?

Non so bene se ci sia qualcosa di musicale che direttamente mi abbia influenzato: non mi capita di guardare un film o leggere un libro e dire che mi ha influenzato totalmente. Magari è successo a livello inconscio: mi viene in mente Italo Calvino, di cui ho letto molto e occupa un posto nel mio cuore (avendoci fatto anche la tesina di maturità!). A livello musicale ti direi, almeno nell'ultimo periodo, Lana Del Rey, mia grandissima influenza a livello testuale: la pop star americana, a mio parere, con una profondità superiore agli altri. In generale mi piace molto anche l'indie rock: gli Arctic Monkeys, con AM, segnarono la mia adolescenza. L'album perfetto, all'età perfetta e impazzii per Alex Turner. Da lì mi sono appassionata all'indie rock inglese e quello delle cantautrici americane, come Lucy Dacus, Phoebe Bridgers e Clairo.

Nel 2017 sei passata anche per X Factor: parlandone con Ariete, mi diceva che non era rimasta troppo soddisfatta dall’esperienza, tu che idea ti sei fatta del periodo trascorso in quel programma?

Alla fine sono arrivata soltanto fino ai bootcamp e posso raccontarti un'esperienza più limitata, ma mi sono fatta comunque un'idea, soprattutto poi quando sono andata anche a Sanremo Giovani, che, anche se sono due cose diverse, il paragone può esserci. X Factor contempla la presenza di molte più persone, è una competizione musicale però è anche un programma televisivo e ci sono molte più cose in gioco, anche perché dura molto di più in termini di puntate. Tu, telespettatore, a differenza di Sanremo Giovani, che è prettamente più musicale, devi entrare in confidenza con il cantautore, deve assumere un ruolo.
Come esperienza l'ho trovata molto difficile, anche se avevo tre anni in meno rispetto a Sanremo Giovani, era un'età già complicata di suo. Se penso alla mia identità artistica a diciassette anni era pressoché inesistente. In generale è stata un'esperienza che non rifarei, che un po' mi pento di aver fatto perché non mi sentivo pronta e mi sono sentita un po' buttata in mezzo ad un mondo forse troppo più grande del mio. Devi avere le spalle molto larghe, perché come programma ti coinvolge come persona e non solo come artista: lo consiglio come vetrina, però per chi sa bene qual è il suo posto nel mondo.