Joyce Cisse sprizza energia a profusione. Ha 17 anni e un miliardo di ricci scuri che formano una chioma di proporzioni notevoli. Parlare con lei però cambia le carte in tavola: si ha l’impressione di avere davanti un’artista matura e consapevole. Si genera così un curioso e colorato contrasto con la cameretta di casa sua a Londra dalla quale è collegata via Zoom in compagnia del suo cane. Lo stupore non dovrebbe esserci se si tiene conto che la sua carriera è iniziata già da qualche tempo: prima nel mondo della moda, poi nella musica con l’EP d’esordio Think Flower del 2021. NME a gennaio l’ha inserita tra i 100 artisti emergenti da tenere d’occhio, soprattutto dopo il successo riscosso dal suo secondo lavoro A Mosh Pit in the Cloud.
flowerovlove è uno di quei rari casi in cui il nome offre un quadro completo dell’artista e coincide perfettamente con lo stile e il genere della sua musica: alternative pop solare e rilassante, testi personali e storytelling con l’esuberanza tipica di chi ancora riesce a stupirsi di ciò che la circonda e le accade intorno. In questo caso la sorpresa è giustificata perché da qualche anno siamo abituati a vedere i giovani inglesi arrabbiati e arroccati su suoni metallici, rumori elettronici e immaginari post-punk.

Noi siamo soliti associare Londra e l’Inghilterra alla pioggia e al maltempo. Tu invece hai adottato un nome d’arte luminoso e solare.
Non ho mai pensato a questa cosa del tempo, il nome l’ho scelto per un altro motivo. flowerovlove rappresenta me stessa come persona e come mi piace essere percepita dagli altri. Perché proprio i fiori e l’amore? Gli esseri umani sono paragonabili a dei fiori, nel modo in cui sbocciano e si aprono agli altri. I fiori appassiscono con l’arrivo dell’autunno e la fine dell’anno e rinascono sempre a primavera. Anche le persone muoiono e rinascono continuamente. Cadi e ti rialzi. E invece quando parlo di amore mi riferisco soprattutto all’amore verso se stessi che poi automaticamente si trasmette a tutti coloro che ti circondano.
Non è un caso che l’ultima canzone che hai pubblicato due settimane fa, Love You, parli proprio di amore in senso universale. Amore per le persone, per gli animali e la natura. È una sorta di manifesto poetico quindi.
Sì decisamente. Sono molto legata a Love You. Credo di poterla definire come la prima canzone che ho scritto che suona proprio come il tipo di musica che vorrei fare in futuro. È molto speciale per me, in particolare per il modo in cui mi fa sentire quando la canto o la ascolto. Spero che possa arrivare al pubblico in maniera diretta così da poter essere compresa da tutti.
E invece quanti anni avevi quando hai scritto la tua prima canzone?
Credo che avessi sei o sette anni. Non mi ricordo il titolo, ma consisteva in un solo verso che io ripetevo e cantavo all’infinito. La prima canzone vera e propria, completa diciamo, l’ho invece scritta quando ne avevo tredici. Era un brano rap che non ho mai pubblicato e probabilmente non pubblicherò mai.
Con il tuo primo EP Think Flower hai subito attirato l’attenzione dei critici, come ricordi il tuo esordio?
Penso che il 2021 sia stato un anno molto importante per me. Era un periodo particolare della mia vita, facevo ancora la modella a tempo pieno, ero molto concentrata sulla moda, ma già avevo l'idea in testa di voler fare musica. Mentre il 2022 è stato l’anno della consapevolezza, quello in cui mi sono focalizzata sulla scrittura. Quando abbiamo registrato il primo EP con mio fratello è stato molto divertente. Pensandoci ora, è stato uno dei momenti più belli della mia vita. Non l’ho vissuto come un lavoro, una sensazione che invece percepisco qualche volta adesso che è diventata una cosa più seria. Think Flower credo che sia un buon EP e paragonandolo all’ultimo (A Mosh Pit in the Clouds, 2022) si possono notare i progressi a livello di produzione e nel mio modo di scrivere.
Hai nominato tuo fratello Wilfred con cui collabori da sempre. Immagino abbiate una relazione speciale. Come funziona tra di voi?
É come se fossimo migliori amici, sono certa che lui direbbe la stessa identica cosa. Il fatto di essere fratelli ci aiuta perché ci permette di avere una relazione più diretta e senza filtri, qualcosa che è rara quando lavori con qualcuno che non conosci così nel profondo. Possiamo essere veramente onesti l’uno con l’altro, magari in altri contesti invece certe cose devi tenerle per te. Entrambi abbiamo due personalità forti, ci piace avere ragione e qualche volta ovviamente litighiamo. Mi piace molto lavorare con lui, si crea un ambiente sano e affidabile, una dinamica non così comune nell’industria musicale.
Da dove prendi l’ispirazione quando scrivi?
Per tutte le mie canzoni traggo ispirazione dalla mia esperienza personale. Quindi, qualunque cosa succeda nella mia vita in un dato momento, è probabile che ne scriverò. Non scrivo mai di nient'altro. Tuttavia, mi piacerebbe immedesimarmi in un personaggio prima o poi, scrivere da un altro punto di vista, raccontare una storia.
Hai degli artisti di riferimento, che musica ascolti?
Non ne ho di specifici. Sento che in molte interviste le persone sono molto fuorviate quando dico che mi piacciono i Tame Impala. Amo i Tame Impala, li ascolto a ripetizione, ma come fan, non come qualcuno da cui trarre ispirazione. Non ne sono ispirata musicalmente, sono la mia band preferita e mi piace parlarne. Anzi, ne parlo continuamente (ride n.d.r.). Io di solito lavoro partendo da un sentimento, è come so ogni volta mi chiedessi: “quale sensazione voglio trasmettere con questa canzone?” La sensazione principale che cerco più spesso è la nostalgia, utilizzo gli accordi che mi fanno sentire nostalgica.

Una delle tue canzoni più ascoltate è Malibu: anche quella è autobiografica, giusto?
Sì lo è. Ho registrato Malibu quando avevo quindici anni e quando è stata pubblicata ne avevo sedici. A volte riascoltandola sembra quasi che stia inventando e improvvisando quello che canto, ma ogni cosa che ho scritto in quei versi è vera e parla di me. All’inizio, in fase di lavorazione e produzione non mi convinceva, soprattutto per come suonava la mia voce: sembravo quasi disinteressata. Poi mio fratello mi ha convinto a lasciarla così com’era. Posso dire che ha avuto ragione.
A novembre è uscito il tuo secondo lavoro A Mosh Pit in the Clouds, un bel nome per un EP.
Devo rivelarti una cosa, A Moshpit in the Clouds doveva essere il titolo del mio primo album e quindi io non volevo utilizzarlo. In realtà, lo stesso EP è stato un progetto improvviso: i singoli che stavo pubblicando da tempo riscuotevano successo, per cui abbiamo deciso di sfruttare il momento. Io dissi subito al mio manager che volevo risparmiarmi quel titolo per il mio disco di debutto, ma lui mi ha fatto capire che è meglio non aggrapparsi troppo a qualcosa: se senti che funziona, utilizzala subito. D’altronde posso sempre trovarne un altro titolo migliore per l’album.
In A Mosh Pit in the Clouds ho notato un’evoluzione nel tuo stile. Ci sono le chitarre e il tuo modo di cantare sembra più libero, mescoli l’R&B e il rap.
Penso che dal mio primo EP fino ad adesso il mio modo di fare musica sia cambiato molto. In Think Flower eravamo solo io e mio fratello Wilfred seduti in una stanza, mentre in A Mosh Pit in the Clouds siamo stati assistiti da altre persone nella produzione. Poi c’è da dire che ora mi sento molto più sicura nella scrittura e chiedo sempre meno consigli. Quindi, piuttosto che il mio stile, si è evoluto il mio modo di fare musica. È cresciuto con me.
La mia canzone preferita è I Gotta I Gotta. Mi fa pensare all'audacia delle Wet Leg mescolata alla spensieratezza di una canzone pop. Come è nato?
Ad essere sincera non ricordo molto bene tutto il processo creativo, però mi è rimasta impressa una cosa. Non riuscivo a venire a capo del ritornello, non mi veniva in mente nulla. In quel periodo io e mio fratello eravamo in fissa con una canzone di cui non ricordo il nome adesso. Il ritornello era una cosa tipo “tip tip”. (ride n.d.r). Lo cantavamo di continuo e alla fine ha influenzato quello della nostra canzone che ha un ritmo e uno stile simili. Quando l’abbiamo ascoltato per la prima volta ci siamo detti: “caspita, è figo”. Suona molto diverso dagli altri che ho cantato finora, è molto catchy e quando lo senti non puoi fare a meno di canticchiarlo.
Un'altra cosa interessante del tuo ultimo EP è l'alternanza tra brani semiacustici come Gone e brani elettronici come All the Same.
Durante quel periodo ho ascoltato molte canzoni, anzi, ad essere onesti ascolto in continuazione musica. Voglio sperimentare e variare. Scrivo di continuo e mi piace che un EP o un disco finiscano con una canzone più lenta. È come dire: “questo è il finale, sei arrivato alla conclusione”. Gone è la traccia perfetta da questo punto di vista. Segna la chiusura di un cerchio, dopo una canzone del genere sei libero di pubblicare qualsiasi altra cosa, perché è come se fosse finito un capitolo. Suona come un arrivederci.
Come riesci a coniugare la tua passione per la moda e la musica? In quale contesto ti senti più a tuo agio?
Penso che mi venga molto naturale. Mi piace la moda, anche se amo molto di più la musica. E sono sempre state entrambe una parte di me, mi sento a mio agio in entrambi i casi. Ciò che è davvero eccitante è che quando sei a una sfilata di moda sei entusiasta per i vestiti ma anche per le persone che sono lì. Quando ho sfilato a Parigi c’era Anna Wintour tra il pubblico. Ero molto tesa e mi chiedevo: ma sta guardando me o è solo una mia impressione? Che poi lei indossa sempre gli occhiali da sole e non riesci a capire dove sia effettivamente diretto il suo sguardo. Un concerto invece è qualcosa di più intimo. Mi concentro sulla performance, su come debba suonare, sulla struttura dei brani nel passaggio dallo studio al live. Ripensandoci forse mi sento più sicura su un palco piuttosto che su una passerella. Ti diverti, sei solo tu, la musica e i tuoi amici. Cosa c’è di più bello?
Sei una persona emotiva? Hai qualche rito prima di salire sul palco?
Direi che più che una persona emotiva sono una persona che accetta le proprie emozioni. Mi piace provarle e non sopprimerle Quando sono arrabbiata per qualcosa, per esempio, mi concedo un po 'di tempo per esserlo perché ho il diritto di provare le mie emozioni. Non ho alcun rituale, il che è pazzesco perché tutti lo hanno. Non faccio mai quel tipo di cose che fanno le band, che contano fino a tre. Al massimo ci incoraggiamo a vicenda con mio fratello, altre volte restiamo in silenzio.
Venerdi sarai all’Arci Bellezza per la tua prima data italiana. È la tua prima volta nel nostro Paese?
No, ci sono già stata due volte. La prima molto tempo fa, durante una vacanza in famiglia sul Lago di Como e poi siamo passati anche a Milano. Una cosa molto breve e turistica. Invece la seconda volta è stata l’anno scorso per la Fashion Week. Trovo molto più piacevole però visitare una città per un concerto rispetto alle gite o alle sfilate: la gente arriva lì per me e io faccio la mia cosa preferita. Cantare.

flowerovlove si esibirà a Milano venerdì 3 marzo all'Arci Bellezza (opening di Claudym, da non perdere), biglietti disponibili qui.