Ha ragione Joachim Liebens quando dice che il nome della sua band parla da solo. The Haunted Youth: la gioventù tormentata, o forse sarebbe meglio dire infestata, osservando la cover del loro album d’esordio. Un paesaggio innevato a tinte blu e un bambino incappucciato sulla sinistra. Dawn of the Freak, uscito alla fine del 2022, è un disco che trasuda di emozioni intime, la maggior parte di esse provenienti dal passato. Elettronica, chitarre shoegaze e basso anni Ottanta sono i caratteri essenziali della band belga. Il frontman e autore Joachim si definisce semplicemente anti-pop. Dopo aver conquistato il pubblico del Belgio e dei Paesi Bassi gli Haunted Youth sono pronti a suonare la prima volta in Italia all’ARCI Bellezza di Milano l'8 aprile.
Il vostro singolo d’esordio Teen Rebel è stato quello che vi ha fatto conoscere in tutta Europa e, casualità, parla proprio di adolescenza e gioventù. È stata la prima canzone che hai scritto?
No, assolutamente. In realtà prima di arrivare a quel risultato ho scritto un sacco di schifezze inascoltabili. C’è voluto del tempo per trovare il tipo di suono che desideravo. Sai, io di solito mi baso sulle mie sensazioni. Sia nel momento in cui ascolto musica che quando scrivo, sono sempre alla ricerca di un'atmosfera che corrisponda a qualcosa che sento dentro.
Il modo di cantare in Teen Rebel mi ha ricordato gli MGMT. Hai ascoltato qualche artista in particolare durante la scrittura e la registrazione del disco?
È stato proprio cantando su un certo genere di musica, cose come David Bowie, MGMT, DIIV, Empire Of The Sun, Tame Impala, che ho scoperto cosa mi piacesse di più della mia voce. Poi non posso negare che anche il punk mi abbia in parte influenzato. Soprattutto i Sex Pistols e John Lydon: la sua voce e il suo modo di cantare simile al rantolo di un gatto rappresentano proprio come mi sento dentro. Proprio per questo motivo quando mi esibisco dal vivo propendo un po' di più verso questa vibrazione e tento di rendere il mio tono più tagliente rispetto al disco dove invece la mia voce suona abbastanza liscia. Quasi fredda.

Come scrivi le tue canzoni? Nascono chitarra e voce come Fist My Pocket, o sono già elettroniche?
Ogni volta è diverso. Durante il processo creativo cambio le carte in tavola di solito, esco dallo studio e mi siedo da qualche parte con solo la chitarra per vedere come suona la canzone in un ambiente o una configurazione differenti. A volte mi vengono idee del tipo “voglio provare questo”. Qualche volta funziona, altre no. Spesso il risultato è diverso da come lo immaginavo, ma è proprio delle cose inaspettate che sono più soddisfatto.
Dawn of the Freak è uscito dopo alcuni singoli di grande successo. È cambiato il tuo approccio alla scrittura dopo la notorietà?
Ad essere sincero, quasi l’intero album era in gran parte scritto quando abbiamo ho iniziato a pubblicare le prime canzoni. Certo molti brani erano diversi da come poi sono stati registrati. Ogni canzone ha avuto una sua gestazione differente, su alcune di esse ho lavorato per anni, su altre è stata questione di minuti. Per esempio, I Feel Like Shit and I Wanna Die è nata da una linea vocale che avevo in testa. Quel verso è comparso e rimasto nella mia mente per anni finché un giorno non ho deciso di utilizzarlo. È diventato il titolo e il resto del brano è nato da lì.
I Feel Like Shit and I Wanna Die è una traccia molto emozionante. Mescola testi oscuri e un suono dream pop. Perché questa scelta?
Avevo voglia di fare un inno alla depressione che risultasse semplice. Dopo aver trasformato quelle parole che avevo in testa in melodia, volevo che l’accompagnamento strumentale trasmettesse una sensazione opposta a quella della depressione. Una sensazione calda e accogliente. Il che lo rende quasi ironico e mi piace. A volte la cura migliore per una brutta giornata è non prendere troppo sul serio te stesso e ciò che ti passa per la testa.

Quindi l’ispirazione per le canzoni non proviene solo dal tuo passato.
No, viene da un sacco di cose. Tuttavia, alla fine sono solo io che mi connetto con qualcosa: che sia un ricordo o una sensazione che provo vedendo un film, ha sempre un freak come personaggio principale. È l'archetipo a cui mi sono sempre relazionato. In pratica sto documentando la storia dei freaks.
Hai più volte raccontato di come la tua adolescenza sia stata piuttosto particolare e di come fossi una sorta di ribelle. Dawn of the Freak è un album notturno con un suono quasi nostalgico.
Non la definirei nostalgia, soprattutto perché non rimpiango quei tempi. Rispetto il mio passato, ma sento anche che il modo in cui sono cresciuto, in molte circostanze, non mi ha permesso di essere bambino. Più che nostalgia, direi che è un modo per sentirmi bambino nel corpo di qualcuno che invece è un po’ più avanti negli anni.
Molte tracce, come Gone e Shadows, raccontano dell’urgenza di scappare. Un’ombra costante è la morte, insieme al tempo che passa. Quindi, la musica è un modo per fermare il tempo e affrontare la tristezza?
Quando ero un adolescente sono scappato molte volte, fumavo erba e faceva molte altre cose spericolate (ride n.d.r.). Non lo so, di sicuro è un modo per rendere belle le cose dolorose. È un modo per guardare dentro di te, come la classica pagina di diario che tutti hanno scritto almeno una volta da piccoli. In un certo senso sento come se questi temi interessino chiunque, perché ci rendono ciò che siamo.
A tal proposito, hai mai notato durante uno dei tuoi concerti qualcuno che è rimasto così tanto colpito da una tua canzone che si è creata una connessione emotiva?
Mi è successo un paio di volte ed è qualcosa di pazzesco. La scorsa primavera siamo stati in tour in Spagna e c’era chi cantava il testo di Shadows a memoria, prima ancora che fosse stata pubblicata. Quello è stato veramente speciale. In generale, provo una forte connessione anche quando semplicemente vedo dal palco un tizio a caso con una maglietta figa, da adolescente ribelle, fare head-banging o agitarsi. È lì che percepisci che quella canzone l’ha sentita in profondità tanto quanto te che l’hai scritta. Credo che questa sia la ricompensa più bella quando suoni dal vivo.
Qual è la canzone che ti piace di più suonare dal vivo?
Direi Coming Home, perché posso scatenarmi con la chitarra e soprattutto per le vibes pop punk. Mi fanno sentire di colpo come Tom DeLonge negli anni Novanta (ride n.d.r).