Perché se qualsiasi artista ti dice che quel gruppo spacca, ti devi fidare. O la storia di come ho conosciuto i Post Nebbia. Era un pomeriggio di inizio settembre, di quelli avvolti da una foschia che a Roma non ti permette di vedere il bellissimo panorama dal Belvedere del Gianicolo. Dovevo fare quattro chiacchiere pre-concerto con Dutch Nazari e, tra una domanda e l'altra, il rapper padovano mi parla di questo gruppo di giovanissimi (classe '99) che fanno musica stile Tame Impala, Arctic Monkeys e MGMT. Da amante del genere, non posso che occupare le settimane successive ad ascoltare tutto della loro (per adesso) esigua produzione. Rimango impressionato dalla facilità melodica che posseggono e la fortuna vuole che vado a sentirli dal vivo solamente qualche giorno dopo aver sentito Dutch, sempre nella meravigliosa cornice della Terrazza del Gianicolo. Ad accompagnarmi all'ingresso della venue ci sono gli amici di sempre e una leggera brezza di fine estate. A spazzare ogni velo di nebbia (e di dubbi) ci pensano Carlo e soci dopo sei secondi e mezzo dall'inizio del concerto: distorsioni, synth e una tagliente ironia. A fine spettacolo ho ammirato il fatto che a staccare tutti i cavi e compagnia bella fossero loro stessi, come se stessero in sala prove, da soli; nessuna differenza.
Carlo rinfodera la chitarra, Andrea il suo Hofner, Niccolò smonta le due tastiere (tra cui una Korg che guardavo estasiato da inizio concerto, ma questa è un'altra storia) e Riccardo sistema le bacchette. Ripeto tra me e me che devo approfondirli, ma non mi accontento nemmeno di ascoltare e comprendere i testi di Canale Paesaggi, il loro nuovo album uscito giusto qualche settimana fa. Perciò, per capirli più in profondità, mi attivo, sento chi di dovere e mando queste domande. Il risultato è presentato di seguito: un approfondimento social-distopico con implicite citazioni a Carpenter, Dick, Cronenberg e Orwell. La colonna sonora della società dello spettacolo tanto acclamata da Guy Debord l'hanno riesumata Carlo e i suoi compagni musicisti, perché i Post Nebbia sono quanto di più attuale possa esistere sulla scena musicale alternativa italiana e questa intervista ne è l'esempio lampante.
Il 23 ottobre è uscito il vostro nuovo album: Canale Paesaggi. Puoi parlarmi un po’ della genesi generale del disco, com’è nato e quali sono le ispirazioni che ti hanno portato a scriverlo? Possiamo parlare di un vero e proprio concept album?
In generale il disco è nato in un momento in cui mi sono reso conto che tutto quello che stavo assorbendo a livello di libri film e affini puntava al tema della televisione e dell’intrattenimento. Penso sia un concept ma non in senso narrativo, quasi più come un flusso di coscienza costellato da intrusioni esterne.
Rispetto a Prima stagione del 2018, cosa pensi sia cambiato nel vostro modo di intendere e realizzare musica? Denoti una crescita?
Prima stagione è un disco che faccio molta fatica ad ascoltare oggi! Ogni cosa che ha a che fare con i suoni mi fa venire i brividi. Se non si può parlare di crescita, penso si possa parlare di un modo di approcciarsi al mix e agli arrangiamenti un pelo più asciutto, ma molto più bassotto e ritmato. L’intenzione e le influenze di entrambi i dischi sono state abbastanza simili, semplicemente Prima stagione è nato in un periodo in cui mi stavo orientando e stavo scoprendo la produzione: di conseguenza è molto più grezzo e sincero, forse quello è il suo punto di forza.
Televendite di quadri è nella mia playlist in rotazione su Spotify oramai da mesi: qual è il significato della canzone?
Più che di significato penso si possa parlare di immagine: mi faceva ridere l’idea di essere sul divano a guardare una televendita e a un certo punto ti rendi conto che stanno vendendo te. Ho scritto quel testo nel modo più letterale possibile senza pensare alle conseguenze a livello di senso, cercando di lasciare uno spazio in cui ognuno potesse trovarne il senso.

Parlavo di questa traccia a metà settembre con Dutch Nazari, con il quale avete collaborato: lui vi ha definiti «dei ragazzi che spaccano». Pongo la domanda inversa: come definiresti Dutch?
Dutch é un King di Padova. Penso che quattro anni fa tre quarti degli adolescenti di Padova ascoltasse il disco della Massima Tackenza: io ero uno di quelli, quando ci ha proposto l’idea di fare una strofa su Televendite di quadri è stata una cosa emozionante.
In Canale Paesaggi sono frequenti gli intermezzi che ricordano delle trasmissioni radio «sporcate»: mi avete fatto tornare alla memoria un’associazione con 21st Century Breakdown dei Green Day, i quali fecero un lavoro molto simile nel lontano 2009 per introdurre alcuni dei loro brani: come mai questa scelta, c’è una ragione particolare?
La cosa dei campioni l’ho presa principalmente dai dischi di Madlib: mi piace che ci sia uno svolgimento interrotto e frammentario in un album, secondo me aggiunge molta più profondità all’esperienza in generale. Per questo disco il senso forse è quello di un elemento esterno, intrusivo rispetto al viaggio interiore attorno al quale girano i brani.
Da appassionato studente di comunicazione, in La mia bolla o Streaming ho riscontrato molti collegamenti con ciò che ho imparato all'università: vivere celati dietro un filtro, vedere appunto «solo ciò che vede lei». Credi che gli algoritmi (per esempio quelli dei social network) ci determino in quanto esseri umani? Posseggano intrinsecamente una volontà atta a controllare le emozioni di tutti noi?
Penso che il modo in cui accediamo all’intrattenimento e all’informazione oggi tenda a consolidare i nostri gusti e i nostri pregiudizi invece di farci vedere oltre. In generale trovo di stare diventando insieme al resto dell’umanità sempre più pigro quando si parla di queste cose. Ho scritto il pezzo per comunicare la mia insofferenza riguardo a questa condizione da cui vedo poche vie d’uscita.

È un periodo delicato per la musica e la cultura in generale: senza dover per forza scadere nel politico, come avete affrontato la recente decisione di chiudere nuovamente teatri, cinema e sale concerti?
Con rammarico e delusione: chiaramente questo ci rende la vita più difficile, però c’è anche la coscienza della gravità della situazione sanitaria. Io non penso esistano soluzioni efficaci alla crisi che è arrivata in questo settore: bisogna parlare del dopo, di quanto in Italia l’ignoranza dello Stato nei confronti della dimensione, della realtà e del potenziale a livello sociale ed economico della musica (non solo quella dell’800) che abbiamo visto in questi mesi sia inaccettabile in un paese che ha una forte esigenza di aprirsi e guardare avanti. Sono scaduto nel politico.
Oltre ad aver associato il tuo gruppo e la vostra musica a serie tv come Black Mirror o a documentari stile The Social Dilemma, anche in Dark è presente un velo accentuato di distopia che collego molto alla vostra musica e personalità: partendo dalla trama della serie tv omonima, mi piacerebbe chiedervi se vi sentite a vostro agio a vivere in questo periodo di tempo o se aveste preferito (anche e soprattutto per la musica che producete) vivere in un altro arco temporale, magari entro il quale vi foste sentiti più compresi o capiti.
Penso che in questo momento piacerebbe a tutti! Scherzi a parte, credo che ogni atto creativo, per quanto possa presentare dei tratti un po' nostalgici, sia figlio del suo tempo, e sento che questo sia il nostro tempo. Ci sono sicuramente dinamiche nell’industria di oggi che non ci fanno impazzire: combatteremo per cambiarle!
Parlaci un po’ di un libro che stai leggendo/hai letto ultimamente.
La peste di Camus. Devo dire che non mi è piaciuto tanto, ma ho pensato che fosse arrivato il momento di leggerlo.
Consigliaci una canzone che ascoltavi a ripetizione quando eri bambino.
Arctic Monkeys - D Is For Dangerous. In realtà non ho mai smesso di ascoltarla per più di tre mesi.
