C’è un luogo senza tempo a pochi chilometri da New York in cui allo stesso numero civico corrispondono Laurel Canyon e Abbey Road: è la casa di due giovani fratelli musicisti, Brian (27 anni) e Michael (25 anni) D’Addario, i Lemon Twigs. Nel loro posto più caro, le idee prendono forma e diventano album. L’ultimo, A Dream Is All We Know, è uscito lo scorso maggio e ha portato con sé una novità: l’autoproduzione in analogico.
Si è parlato abbastanza della musica dei Lemon Twigs come omaggio agli anni Settanta, ora si può dire che è un vero prodotto di quella decade. La vecchia strumentazione di famiglia – il padre dei musicisti è il cantautore Ronnie D’Addario – è stata indispensabile per registrare e mixare le tracce. Il risultato è un disco di suoni corposi, armonici, prevalentemente soft-rock, che arrivano dopo cinque album tutti diversi, in cui i Lemon Twigs hanno giocato a impersonare generi differenti.
Ogni album dei “Twigs” ha la sua storia a sé. Il primo risale a dieci anni fa, il debutto psichedelico e acerbo What We Know. Il successo della band è arrivato due anni dopo, nel 2016, quando le tracce di Do Hollywood erano nelle orecchie di tutti, conquistati dal lo-fi e dal baroque pop cantati con spirito fiero e irriverente. Il passaggio in sordina di alcuni EP e di un azzardato musical, Go To School (2018), sembrava che li avesse messi in ginocchio, quando è avvenuta l’ennesima svolta, l’arrivo del quarto album Songs for the General Public (2020), puramente glam. Il quinto lavoro della coppia, uscito lo scorso anno, è invece un piccolo passo verso le atmosfere armoniche: non è un caso che si chiami Everything Armony.
Abbiamo incontrato Brian D’Addario in videochiamata, alle prese con le valige e con una scarsa connessione internet, in direzione Pionnertown, California, a promuovere Everything Armony e A Dream is All We Know. Con lui e Michael c’erano anche il bassista e tastierista amico di vecchia data Danny Ayala e il batterista new entry Reza Matin.

Ricordo benissimo il vostro primo concerto in Italia, a Milano nel 2017. C’era anche Danny, è stato uno show divertente. A breve inizierà il tour europeo, farete tappa all’Estragon di Bologna l’11 dicembre, in occasione del festival Astrale. Che cosa ci aspetteremo questa volta?
Sarà un’occasione per conoscere le nostre nuove canzoni, non mancheranno i nostri vecchi pezzi di successo e qualche cover che darà un’energia in più alla setlist, ripeteremo l’atmosfera del nostro primo concerto italiano!
Come sta andando il tour nord-americano? Quali sono i pezzi di A Dream Is All We Know che stanno catturando il pubblico?
Da sei mesi stiamo facendo concerti quasi ogni giorno e ci stiamo ancora divertendo, ora manca solo una tappa alla sua conclusione. Stanno avendo successo My Golden Years, che tra l’altro è la canzone che apre i nostri show, Rock On (Over and Over) e They Don’t Know How to Fall In Place. Le canzoni non sono sempre le stesse, le cambiamo, ciò non significa che ci piace stravolgere la scaletta.
Parliamo di A Dream Is All We Know, registrato completamente in analogico. Qual è il motivo dietro a questa scelta?
Ammetto che finora è il nostro album preferito perché ha un sound naturalmente compresso ed esportato. Per noi è stato il modo più gradevole di fare musica.
Mi sembra che stiate seguendo la scia di Pet Sounds.
La grossa differenza è che noi abbiamo fatto più sovraincisioni dei Beach Boys. Anche noi vorremmo avere la possibilità di avere tanti musicisti in una sola stanza, ma per noi è più semplice registrare gli strumenti uno per volta. Le voci sono state registrate dallo stesso microfono, messe insieme successivamente.
Per la prima volta nella vostra carriera, avete autoprodotto un album: è stato facile per voi oppure è stata una vera e propria sfida?
È stato impegnativo, ma non abbiamo sentito alcuna difficoltà. Quando si tratta di fare musica, io e Michael siamo sempre sulla stessa lunghezza d’onda. Insieme, abbiamo capito quando il disco era pronto. Il momento più difficile è stato registrare i violoncelli e le trombe, sono strumenti che conosciamo ma di cui non siamo esperti, perché non abbiamo fatto abbastanza pratica.
Possiamo dire che A Dream Is All We Know è il sequel di Everything Armony?
Non è un sequel vero e proprio. Nonostante le canzoni dei due album siano state scritte e registrate nello stesso momento, penso che l’atmosfera di Everything Armony sia tenue. È un album emotivo. A Dream Is All We Know è invece puro divertimento, l’energia che è emana è diversa.

Avete vissuto molte fasi musicali. Vorrei elencare alcuni generi che avete affrontato: rock psichedelico, lo-fi, glam rock, baroque rock, folk, soft-rock. Avete anche scritto un musical. Pensi che abbiate trovato un equilibrio e il vostro posto nell’industria musicale?
Sì, credo che ci siamo riusciti. Siamo orgogliosi degli album usciti di recente, mentre oggi avremmo fatto diversamente i lavori passati, soprattutto nel momento della registrazione.
Quindi siete soddisfatti di ciò che avete realizzato oppure siete ancora alla ricerca di nuove influenze?
Entrambe le cose. Siamo abbastanza soddisfatti di Everything Armony e di A Dream Is All We Know, ma al momento stiamo trovando nuovi modi di arrangiare gli strumenti.
Quando arriverà il prossimo album?
Lo registreremo presto! Attendiamo prima la fine del tour, per poi andare in studio a gennaio.

Vostro padre, Ronnie, è un cantante ma anche un cantautore. Qual è il tuo ricordo d’infanzia legato a lui?
Quando eravamo piccoli nostro padre andava in tour con la sua band e noi lo seguivamo. La sua band faceva anche cover, ricordo ancora quella volta in cui cantai All I have To Do Is Dream degli Every Brothers, avevo 5 o 6 anni. Ancora oggi, sono un grande sostenitore della musica di mio padre.
Quando avete capito che la musica non era più un gioco ma un lavoro vero e proprio?
Da sempre volevamo diventare professionisti, ma il momento in cui abbiamo realizzato che forse era il caso di proseguire a fare canzoni è stato nel 2014, quando abbiamo aperto i Foxygen del nostro amico Jonathan Rado (produttore degli album dei Lemon Twigs, a eccezione del primo e di A Dream Is All We Know, ndr.) a Webster Hall di New York.
Un’altra domanda personale: il tuo cognome è italiano, mi incuriosisce sapere se hai qualche lontano parente nella Penisola.
Non di cui ne siamo al corrente, perché mio padre proviene da una famiglia ristretta, con pochi parenti, quindi no! Sfortunatamente la mia famiglia ha perso i contatti con l’Italia.
Forse Brian e Michael non ritroveranno le loro origini perdute neanche in questo tour ma senza dubbio verranno accolti da un’atmosfera immersa in una cultura multisensoriale. La rassegna bolognese Astrale è infatti un appuntamento che combina musica e arte nei due spazi concepiti dalla direzione artistica di Pasquale Pezzillo (JoyCut) all’interno dell’Estragon. Prima di scatenarsi sottopalco, si potranno ammirare infatti installazioni artistiche e mostre fotografiche. I Lemon Twigs saranno anticipati da un set di _BLU_ , nome d’arte della percussionista, dj e produttrice Matilde Benvenuti. L’ambient, l’IDM, il deep minimal e la techno coinvolgeranno il pubblico prima e dopo il viaggio verso il nostalgico passato dei D’Addario.