06 aprile 2020

Capire qual è il tuo posto e cosa vuoi veramente fare: intervista a Bartolini

Una voce dal riverbero malinconico, che mi ricorda un po’ quella di Calcutta, un sound che mischia i sintetizzatori alla chitarra acustica da cameretta, questo è Bartolini, uno dei nuovi ragazzi della popolarissima e popolosa scena indie romana. Con un’EP alle spalle, finalmente è giunta l’ora per Giuseppe di pubblicare il suo debut, Penisola, un lavoro personale, nato da chilometri macinati tra Calabria, Roma e Manchester, e il coraggio di intraprendere una volta per tutte la strada della musica come professione. A me personalmente ricorda tantissimo la wave americana super chill, che spazia da Day Wave ai Wild Nothing, quegli artisti che fondono basici accordi di una chitarra elettrica dalle tinte pastello a tappeti di sintetizzatori soffusi e che nelle press pic sembrano sempre appena alzati dal letto, con il cappellino costantemente sulla testa e le magliette larghe acquistate ad un vecchio vintage shop.

Penisola è proprio il connubio di questi elementi, basti passare da Millenials a Roma, un album dal sound allegro ma dalle venature amare nei testi, da ascoltare sullo sdraio, al sole in queste giornate meravigliose, con però un pizzico di broncio accennato sul viso. Il ragazzo mi aveva incuriosito già con i primi singoli (Non dirmi mai e Luna Park) perciò ho deciso di farmi una lunga chiacchierata per parlare del disco e per conoscerlo meglio, interrotta però da un paio di divertenti “parentesi casalinghe”: lui che mi dice che sembra che stia piangendo ma in realtà si sta solo grattando la faccia, suona un corriere al citofono per un pacco e mi parla del nuovo portiere piuttosto antipatico. Il risultato è un’ora di telefonata profondamente sincera, a cuore aperto, da cui emerge il dettagliato profilo di un ventenne un po’ introverso, a cui è sempre stata stretta la provincia e che ha sempre avuto un pallino per il buon vecchio indie made in England.

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Come stai? Tutto bene?

Io bene… Questi ultimi giorni sono stati un po’ stani, perché comunque sono quasi 20 giorni, non so quanti giorni sono, che stiamo a casa, però ho iniziato un po’ ad accusare questa quarantena ultimamente. Prima ero abbastanza tranquillo, ma non mi piace tanto stare a casa…

Immagino, ti capisco… Diciamo che dopo un po’ l’assenza di persone si fa sentire.

Eh sì, perché comunque è da settembre, ottobre più o meno che siamo a casa, perché abbiamo fatto il tour quest’estate, poi da settembre ci siamo chiusi in casa per fare il disco, per fare praticamente la pre-produzione a casa, perché uno dei produttori del disco vive con me. Quindi siamo stati da settembre a dicembre a casa per lavorare all'album, uscendo veramente poco, e poi da gennaio siamo stati in studio fino a metà febbraio per finalizzarlo, quindi per noi è come se avessimo fatto 5 mesi di quarantena, e adesso è tutto forzato in casa.

Quindi adesso dove sei? A Roma?

Sì, io sono a Roma a casa mia, sempre con Andrea (ndr, il produttore), e niente, stiamo un po’ sclerando [ride].

Oltre a sclerare, come passate le giornate?

Allora, dipende, ci sono dei giorni in cui ci svegliamo tardissimo, tipo all’una e mezza, io almeno, parlo per me, perché Andrea mi pare si svegli presto, io non ce la faccio, cioè la mattina è davvero pesante. Tra l’altro c’è un silenzio devastante. Ci sono dei giorni in cui mi sveglio relativamente presto per il periodo, mangiamo… stiamo cucinando tanto, ci stiamo sfogando sulla cucina, tipo ieri sera abbiamo fatto la pasta, le tagliatelle fatte in casa, stanotte fino alle 2. Poi suoniamo, sto recuperando tanti film, gioco alla Play, per fortuna ultimamente sto impegnando le giornate con la promozione del disco, con le interviste, sto facendo anche dei live su Instagram per alcuni festival, quindi alla fine c’è sempre qualcosa da fare, cioè paradossalmente stiamo lavorando forse di più adesso. Poi col fatto che si sta tutti a casa non sai con chi parlare per primo, sono tutti che vogliono fare le videochiamate o giocare alla Play, quindi stai sempre connesso con gli altri in qualche modo, alla fine la giornata vola.

Lasciando da parte per attimo la situazione attuale, vorrei iniziare l’intervista dandoti un po’ carta bianca, presentandoti ai nostri lettori. Quindi chi è Giuseppe Bartolini?

Ok, Giuseppe è… che ha iniziato a suonare all’età di 12/13 anni, non è mai riuscito a suonare con una band. Non ho mai considerato questa cosa della musica come qualcosa che potessi fare a livello lavorativo, anche perché in Calabria tra i ragazzi della mia età ero uno dei pochi che suonava e che ascoltava un certo tipo di musica, quindi per un certo senso ero anche preso di mira, bullizzato. È il motivo per cui intorno ai 16/17 anni ho deciso di cambiare completamente stile di vita, nel senso che ero proprio un rocker da piccolo, tipo a 13/14 anni suonavo, stavo sempre ad ascoltare i dischi, anche perché ho avuto la fortuna di avere delle figure come mio zio e mio papà mi hanno fatto scoprire dei dischi che poi mi hanno influenzato molto anche in questa cosa che sto facendo adesso.

Ero molto affascinato da questo mondo musicale, ecco, solo che non avendo nessuno con cui farlo mi sono un po’ demoralizzato, tendo molto a demoralizzarmi purtroppo, specialmente prima, adesso me ne frego, però prima mi buttavo giù facilmente. Quindi ho smesso di suonare per 3 anni finché poi non ho finito il liceo e mi sono trasferito qui a Roma, 6 anni fa. A Roma ho ricominciato a suonare, ho iniziato a cantare, cosa che prima non facevo perché mi vergognavo molto, per esempio a casa, anche dei miei, mi vergognavo a far sentire la mia voce se c’era qualcun altro in casa con me, quindi stare a casa da solo mi ha un po’ fatto sbloccare da quel punto di vista. Ho iniziato a cantare, ho scoperto questa cosa, poi ho iniziato a fare musica con un mio amico, e dopo un’esperienza in Inghilterra, a Manchester, ho iniziato a suonare in giro, a scrivere in italiano, quattro anni fa. Poi sono tornato dall’Inghilterra e ho avviato questo collettivo, Talenti Digital, con il quale ho iniziato a pubblicare i miei primi lavori, e dopodiché dall’anno scorso ho preso la mia strada, ed è uscito l’EP.

Diciamo che è da tanto tempo che suono e che sono affascinato da questa cosa, voglio farlo, però nel concreto suono da due anni scarsi, nel senso che il mio vero concerto vero e proprio è stato due anni fa con una band, su un palco vero, quest’estate ho fatto il mio primo tour, i miei primi concerti, le mie prime esperienze fuori, ed è stato bellissimo, è stato molto figo, infatti proprio per questo sto soffrendo questa quarantena perché abbiamo fatto il tour quest’estate. In generale da quando è iniziata questa cosa, quindi da marzo 2018, nel periodo in cui sono usciti i primi pezzi, contando il tour di quest’estate, le comparsate, le date romane iniziali, avrò fatto forse una sessantina di concerti in due anni. Ad oggi dovevamo stare già in tour per promuovere il disco, e stare a casa è veramente pesante. “Non vedo l’ora che arrivi fine marzo” dicevo, invece siamo a casa.

Visto che hai citato Manchester, volevo chiederti come mai la scelta a Manchester? Hai voluto anche tu inseguire il sogno di sfondare in quello che è a tutti gli effetti IL Paese della musica? E come mai Manchester e non Londra?

Allora, questa è divertente, perché ci sono diverse storie. Intanto io odio Londra [ride], cioè non è un odio negativo, nel senso che non riesco a starci, è solo troppo grande, costa troppo la vita, quindi non potevo permettermi quella vita lì. Io sono andato a Manchester, non avevo intenzione di fare musica o di sfondare, semplicemente sono un grande fan della città e della musica proveniente da lì, perché i primi dischi che ho ascoltato erano di band che venivano da Manchester o da Salford, come i Joy Division, gli Oasis, gli Happy Mondays, tutti questi gruppi della scena di Manchester. Ovviamente non ascolto solo questa roba, mi piace qualsiasi tipo di musica, anzi mi piace molto il rap, sono abbastanza aperto. Ci tengo a precisarlo perché dalle interviste pare che ascolto solo quello, solo New Wave.

Insomma, sono andato per motivi di studio fondamentalmente, era l’unico modo per lasciare l’Italia. L’unico modo di lasciare il paese era vincere questa borsa di studio e mi ricordo che feci un casino perché arrivai tipo undicesimo in graduatoria e c’erano solo due posti per andare, quindi ho detto “vabbè è finita, non ci andrò mai, figurati se lasciano Manchester a me, stronzo, che sono arrivato decimo”. Poi ho avuto il culo che due persone hanno rinunciato alla borsa di studio per motivi personali e io ho praticamente fatto un casino nella riunione Erasmus, ho detto “se non vado qua io non vado in Erasmus, vi faccio perdere dei soldi”, quindi alla fine in qualche modo sono riuscito. Nessuno ci voleva andare tra l’altro, cioè io non lo so, assurdo, ho avuto questa fortuna, sono andati tutti a Malta, a Praga, e quindi alla fine sono stato il primo a scegliere Manchester e sono stato un anno lì.

È stato strano quell’anno, non è stato un bellissimo anno, cioè i primi due mesi sono stati molto belli. Era un periodo molto strano per me, in cui non stavo particolarmente bene psicologicamente, e poi andare lì da solo mi ha alimentato ancora di più questi pensieri negativi che avevo in testa, insomma stavo sempre a casa. Ho avuto un periodo in cui non uscivo, novembre/dicembre è stato veramente pesante, essendo meteoropatico lì ho avuto dei periodi in cui non riuscivo a dormire, stavo veramente preso male ad un certo punto, poi mi sono ripreso, è stato l’anno più bello, però inizialmente non è stato facile ecco.

Poi ero da solo, non ero ben inserito, non avevo conosciuto tantissima gente, però poi ho incontrato bellissime persone con cui sono ancora in contatto, ci sentiamo spesso, anzi sono stato a novembre di nuovo a Manchester e ci siamo visti. E ho iniziato a suonare, così, negli open mic, sai, quelle cose che fanno settimanali in cui vai lì con la chitarra, fai 2/3 canzoni, la gente ti ascolta perché lì stanno in fissa con qualsiasi cosa, io facevo già le canzoni in italiano. Guarda, avevo queste due canzoni, una sta anche nel disco, si chiama Roma, è tipo la primissima canzone che ho scritto, e io la suonavo sempre a ripetizione nei live, cioè andavo, facevo quel pezzo, poi facevo una cover e poi rifacevo quella canzone, poi facevo 3 cover e poi di nuovo quella canzone. Facevo sempre la stessa canzone in italiano, la gente stava lì e “è bello! Non ho capito niente, però sei bravo, si vede che ce l’hai, sei bravo, sei bravo” questo era quello che mi dicevano.

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Invece il tuo album si chiama Penisola e appena ho letto il titolo mi ha fatto pensare al nostro paese. Come mai hai scelto questa parola? Può essere visto come una sorta di omaggio alle proprie origini visto che anche nel comunicato stampa c’è scritto che volevi vivere nel Regno Unito però poi ti sei reso conto che volevi stare vicino ai tuoi amici, ai tuoi famigliari?

Sì, guarda ha avuto molteplici significati nel tempo questo concetto di penisola, perché viene da una canzone che sta nell’album scritta 3 anni fa, ed è anche un concetto nato quando ero in Inghilterra, lì mi sono reso conto, appunto su un’isola, veramente delle mie origini, cioè lì ho realizzato di venire dall’Italia. Prima (è assurda questa cosa che dico) non mi sentivo italiano al 100%, non so come dire, ero sempre nel mio mondo, tra le nuvole; andando a vivere in Inghilterra è uscita questa italianità, questo mio modo d’essere italiano, cioè ho detto “cazzo ma io sono italiano” nei modi, era una cosa che prima quasi ripudiavo inconsciamente, non so per quale motivo.

Poi il pezzo è stato scritto 3 anni fa quando ero in Calabria ed è stato l’unico pezzo scritto nel mio paese, un po’ è un’immagine, perché ci sono delle frasi che vengono dall'idea che ho del mio luogo di nascita. E nel tempo ho anche realizzato che anche io mi sento un po’ come una penisola, nel senso che ho bisogno di stare da solo però anche di essere collegato agli altri, a qualcun altro. Questo è il concetto che ho sviluppato. Poi a livello testuale è un pezzo dedicato alle persone che amiamo, alle persone che non possiamo più vedere, a chi non c’è più. Da 3 anni non riesco più ad ascoltarla quella canzone, perché, come ben sai, ci stanchiamo facilmente dei nostri figli, purtroppo [ride]. Però sì, è nata come una canzone d’amicizia, come una canzone d’amore, che parla anche del mio luogo di nascita. Ho scelto questo titolo anche perché mi è sembrato giusto, mi è sembrato la sintesi giusta di tutto l’album, che comunque è stato scritto durante il 2019, ci sono 11 tracce, 8/9 tracce sono state scritte l’anno scorso, quindi sono scandite in un periodo ben preciso, e poi ci sono queste due tracce (ndr Penisola e Roma) che ho inserito che sono di 3/4 anni fa, sono comunque attuali, uniscono quest’ultimo anno agli ultimi 4 anni.

Visto che mi hai detto che questa canzone e questo album sono dedicati ai tuoi amici, a chi ti sta vicino, c’è stato qualcuno in particolare che ti è stato vicino e che ti ha dato una mano nella stesura di questo album?

Sicuramente ho avuto la fortuna di avere dei collaboratori che sono anche i miei migliori amici. C’è Andre, che è il ragazzo che vive con me che suona la chitarra, i synth, con cui già avevo prodotto delle tracce dell’EP. Lui è stato per forza di cose la persona che mi è stata più vicina perché vivendo insieme e facendo il disco insieme praticamente gli ultimi 6 mesi sono stati praticamente: ci svegliamo, lavoriamo al disco e poi andiamo a dormire. Questa è stata la nostra vita [ride], quindi sicuramente Andrea e i ragazzi della band con cui abbiamo suonato. E poi anche Alberto, che è il mio manager. Quest’anno si è creato un bel gruppo di persone che hanno iniziato a prendere questa cosa a cuore, tra amici e collaboratori.

Ma anche la mia famiglia, cioè quest’anno ho sentito la mia famiglia molto più vicina in questa cosa, mi sostengono fortemente adesso. Prima magari mi prendevano in giro .

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Invece tornando a parlare di Roma, oltre al fatto che è la città dove ti sei trasferito, cosa ti ha dato Roma? È stata d’ispirazione? Perché comunque nell’ambiente musicale si sente spesso parlare di questa città come la “capitale dell’indie”, poi nell’album c’è anche una canzone che si chiama Roma, come mi hai detto prima.

Sì sì, guarda sicuramente Roma è stata fondamentale, perché se non mi fossi trasferito qui non avrei fatto nulla di tutto questo, a partire dall’università, che comunque mi ha dato delle opportunità di conoscere tanta gente, tanti amici. Lì ho ricominciato a suonare. Roma mi ha fatto sbloccare sotto tanti punti di vista, prima ero veramente chiuso, venendo comunque da un contesto, un ambiente che tende ad isolarti, abbandonato a se stesso quasi, ovviamente ero il riflesso di quell’ambiente lì, quindi non vedevo l’ora di scappare, perché non mi sentivo in quel modo, e Roma mi ha dato l’opportunità di emergere in qualche modo al 100% a livello umano.

Quindi poi la musica è stata una cosa che è uscita fuori, perché era un mio sogno, una mia necessità, una mia esigenza, e sicuramente l’ambiente romano a livello musicale è stato fondamentale, perché ho vissuto quegli anni del boom dell’indie, che era il 2015/2016 e poi ho avuto la fortuna di andare a tantissimi concerti, non solo italiani eh. Insomma ho iniziato a vivere, ho iniziato a scrivere, ho iniziato a conoscere gente che era più simile a me, dopo anni in cui mi sono sentito sempre quello inadeguato, capito? Passando da un paesino di 10,000 abitanti dove ero uno dei pochi con una situazione famigliare di quel genere, uno dei pochi che ascoltava quel tipo di musica però che però non riusciva a condividerla con gli altri. Essendo stato catapultato in una città così grande, sono impazzito, ho visto persone come me finalmente, ho detto “ah cazzo, vedi però, allora non solo io c’ho l’ansia per questa cosa qua? C’è anche lui” quindi questo è stato fondamentale.

Poi in Inghilterra ho avuto la testa che mi si è aperta, qualcuno mi ha proprio fatto in due il cervello, un Supersayan, come si dice! [ride] Roma è sempre stata il cuore di tutto questo, l’inizio di tutto, infatti ancora vivo qui e non penso riuscirò a lasciarla. Ogni anno voglio lasciare Roma, perché sono 6 anni, sono un po’ stanco effettivamente di alcune cose, non funziona poi granché in questa città, a livello di trasporti, a livello di traffico, è insopportabile, la gente è fuori di testa, però alla fine non riesco perché è un po’ quella cosa romantica, ti affezioni anche, quindi vivo in questo loop di “quest’anno è l’ultimo anno” poi finisce l’anno e dico “vabbè dai quest’anno è l’ultimo anno” però nel frattempo sono sicuro che non abbandonerò mai casa e questa città, il mio quartier generale.

Da turista è incredibile, viverci è strano, perché è enorme però vivi in un villaggio, cioè il tuo quartiere è un paese a parte, quindi è come se vivessi nel paese comunque però sei nella città. Poi specialmente nella parte dove vivo io, non è una zona che mi fa impazzire, però alla fine ci sta, non si capisce niente, cioè il mio quartiere è quello con più gente, forse ci saranno 300mila abitanti solo qua. Tipo il parcheggio è un incubo, ci metto sempre dai 15 ai 30 minuti per trovarne uno. Mi leva la vita. Però dai alla fine ci sta, alla fine mi va bene, ci sono abituato. Un’ansia quando devo andare tipo in centro, a Roma Nord, quella zona mi mette un’ansia, non riesco a descriverla, probabilmente scriverò qualcosa perché divento stupido, entro in quella zona lì, supero la linea immaginaria e io divento un deficiente, cioè non riesco a ragionare, me ne vado in paranoia e ho difficoltà a trovare parcheggio eccetera, mi viene un’ansia indescrivibile.

Hai materiale per il prossimo album!

Guarda in realtà mi sono lasciato dei pezzi vecchi chissà, vediamo… perché comunque avendo scritto tanto in questi 4 anni ho detto “io per come sono fatto avrò sicuramente un periodo (spero di no) in cui non sarò più in grado di scrivere, cioè mi bloccherò, quindi ho detto “mi dovrò lasciare più canzoni possibili per il post-disco”, però per fortuna sto scrivendo un po’ in questo periodo. Adesso sono fritto, probabilmente ci metterò 2 o 3 anni per fare un altro disco così, specialmente dopo questo anno; è uscito l’EP l’anno scorso, poi c’è stato il tour, poi c’è stato il disco, sempre a casa, lo studio, ho scritto anche dei pezzi mentre facevamo il disco , è stata una cosa nuova per me, io di solito scrivo molto prima della data di uscita.

Molte canzoni, appunto come vedi, sono state scritte tre anni fa. Quindi ora come ora non riesco proprio, c’ho un blocco. Voglio solo suonare in giro il più possibile, cioè volevo suonare, e suonerò, chissà quando però. Cazzo io sono curiosissimo di andare ad un concerto, ma non solo di suonare, proprio di vedere la gente dopo questa cosa ai concerti. Secondo me sarà il primo luogo di aggregazione, penso dovremmo organizzare un cazzo di festival enorme, tipo Woodstock, Woodstock italiano, capito? Sarebbe incredibile!

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Tornando al disco, se dovessi prendere tre canzoni dell’album che lo sintetizzino a pieno, quali sceglieresti?

Questa è una bella domanda. Allora: Sanguisuga, che è il primo pezzo, in cui parlo di come sono fatto io, di una condizione che ho vissuto quest’anno, poi Penisola, e Iceberg, che è il secondo pezzo. Sono quelli a cui sono più legato, in realtà sono legato un po’ a tutti, però va a periodi, c’ho il periodo in cui sto in fissa per una, il periodo in cui ne odio un’altra. Tipo Roma non l’ho mai ascoltata da quando l’abbiamo finita in studio, mai. La skippo, sai quando arriva il pezzo che odi, la skippo proprio, non la ascolto mai. Per me sto disco so’ dieci tracce, quella non c’è [ride].

E invece a livello di ascolti, cos’è che ti ha ispirato di più per questo disco? Perché personalmente mi ricordi tanto degli artisti americani come Day Wave oppure i Drums.

Ah grazie! Io li conosco, mi piacciono pure parecchio. Allora nel corso degli anni sicuramente un gruppo che è stato fondamentale, si sente anche in alcune canzoni, sono i Beach Fossils. Però diciamo che ci sono state tante influenze in questi ultimi anni, anche roba italiana, tipo Dalla, Vasco di Bollicine, che non c’entra un cazzo magari con il disco, con il sound, ma in un qualche modo ha influenzato il mio modo di scrivere, riscoprire quella roba. Anche tanta roba americana sicuramente, come appunto Day Wave, Beach Fossils, i War On Drugs sicuramente, sono stati un gruppo fondamentale a livello sonoro, a livello di ricerca, i The Drums anche.

Anche se questo è diverso, ti sto parlando più forse dell’EP, l’EP era un po’ ispirato a questa roba qui, tipo la drum machine, perché io mi ascolto molto i DIIV, gli Arcade Fire mi piacciono tanto. Quest’anno nella stesura del disco, nel senso da quando abbiamo iniziato a lavorare al disco, non abbiamo iniziato ad ascoltare più niente, se non dei dischi che sono usciti quest’anno con cui siamo andati in fissa, io c’ho una fissa clamorosa per i Fontaines D.C., non so se li conosci, c’ho 3 magliette, 2 vinili che ho comprato uguali non so perché, sono veramente impazzito, gli Idles, Shame, tutta questa nuova scena inglese, questa è stata la roba che abbiamo ascoltato di più. Anche gruppi come Protomartyr.

Però in questi anni sono stato influenzato anche da tantissima roba italiana, come appunto Dalla, Battisti: Anima Latina è stato un disco fondamentale secondo me per la scrittura di Penisola. Anche Loredana Bertè mi piace molto. Poi, vabbè, la roba che ascolto di solito non so quanto possa sentirsi nel disco, però anche Mac DeMarco, però mi sono un po’ staccato da quella roba perché mi ha un po’ rotto il cazzo sinceramente, non che Mac DeMarco mi abbia rotto il cazzo, la chitarrina col chorus secondo me è una roba stra superata, infatti nel disco non c’è, magari nell’EP sì.

C’è stata un po’ più di ricerca personale, in questo disco ho cercato di staccarmi dalle mie influenze per cercare qualcosa di me, infatti ci sono dei pezzi che sono stati fatti proprio alla cieca, per esempio Profilo falso, è la canzone di cui sono più contento perché non assomiglia a niente di quello che ascolto, è la roba forse più mia del disco, dico “boh, questa roba è strana”, non so da dove venga. Anche Millenials, c’è tanta roba con sintetizzatori, un po’ più di elettronica, più ricerca ecco. Ovviamente poi le altre influenze sono classiche: Radiohead, King Krule, oddio quando devo parlare di queste cose vado nel panico perché vorrei dire 3000 band poi ne dico 3. Poi finisce e dico “cazzo dovevo dire questo, è stata una cosa fondamentale e non l’ho detta”. Fammi pensare… io ascoltavo tanto anche i Death Cab, Bright Eyes, Elliot Smith, poi a me piace molto Porches, Tayler, The Creator.

Comunque tanto di cappello, perché mi hai nominato degli artisti, tipo Porches, gli Idles, che in Inghilterra vanno molto, mentre in Italia secondo me fanno fatica ad attecchire, cioè rimangono sempre di nicchia e non è facile persone che te li nominino.

Ti ringrazio e purtroppo è vero. In italia è veramente strana questa cosa, nel senso che abbiamo questi grandissimi gruppi nel mondo. Tipo, l’altra notte ho ascoltato tutto il disco nuovo di Porches e spacca secondo me, l’altra notte ha fatto una diretta e c’erano 200 persone, ma come è possibile? Cioè è veramente strana questa roba.

Questa è un po’ una curiosità, però ascoltando il disco sembra quasi che alleggi in molte canzoni una figura femminile a cui non viene dato un nome (Iceberg, Luna Park…) e questa è una caratteristica che c’è in molti singoli dell’indie italiano. Ti ci rivedi in questa cosa?

Ti svelo una cosa, scrivo sempre pensando ad una persona, è un mio famigliare, anche quando sembra che parlo di una ragazza, parlo di mio papà. Poi è chiaro che ci sono delle canzoni che sono proprio dedicate a delle persone precise, però parto sempre dal nostro rapporto, dal rapporto che avevo con lui, è il motore da cui parte tutto. Prima questa cosa non la dicevo, adesso sto iniziando ad aprirmi, perché comunque penso che sia una cosa bella, no? Lui non lo ha mai saputo, non c’è più da un paio d’anni, per quello scrivo di lui, è anche una sorta di terapia, devo dire che questa cosa mi aiuta molto.

Quello è il motore principali dei testi ed è il motivo per cui faccio quello che sto facendo, qui c’è un’altra storia a parte diciamo, lui non voleva che io facessi musica però è stato quello che mi ha fatto scoprire la musica, mi ha fatto andare in fissa con i gruppi che poi mi hanno accompagnato per tutta la vita, però non accettava questa cosa, perché comunque sai in Calabria questa cosa non è mai arrivata fondamentalmente, sei la pecora nera, il musicista, quello che vive appeso ad un filo, quindi ho avuto sempre difficoltà. Purtroppo lui è venuto a mancare proprio quando io ho iniziato, cioè sono usciti i primi pezzi, all’inizio di questa mia avventura musicale, lui ha ascoltato solo le prime canzoni, e la cosa che mi fa stare male è il fatto che lui non ascolterà mai questo disco. Vivo tutti i giorni pensando a questo fondamentalmente, però penso anche che in qualche modo lui lo sappia, questo disco è anche per lui, c’è lui dentro questo disco quindi è come se vivesse in un certo senso.

Anche perché certe canzoni sono state una sorta di premonizione, si sono quasi avverate delle cose che sapevo, che prima mi immaginavo attraverso altri, per esempio in Penisola c’è una frase che dice «vorrei abbassare la musica e sentirti parlare» e praticamente io pensavo a mia nonna [ride]. Mio nonno non c’è più da tantissimi anni, da quasi vent’anni, e lei vive da sola in questa casa sul mare e io sono cresciuto con lei anche, ho passato tanto tempo con lei, quindi ho vissuto con lei questa sorta di solitudine. Ho immaginato in generale una situazione così, cioè se fossi qui farei di tutto per ascoltarti un minuto. Mi sono sempre messo nei panni degli altri in queste situazioni e da quando ho iniziato a viverla in prima persona questa cosa ho detto “cazzo tutto quello che avevo scritto adesso lo sto vivendo, cioè è assurdo”. Anche per quello il titolo dell’album è Penisola. Questo è il vero motivo per cui è nato tutto e faccio questo, soprattutto per una sorta di autoterapia.

Ma, in quanti ti chiedono se c’entri qualcosa con il corriere?

Eh, tante persone… l’ho iniziata io questa cosa, ho iniziato io a mettere le foto del corriere come LOL, però la cosa che mi fa ridere è che tipo sulla pagina Facebook mi arrivano un sacco di messaggi da tipo persone di cinquant’anni che mi chiedono “eh ho ordinato questo pacco e l’ordine non è ancora arrivato che devo fare?”, si lamentano, “ma che modo è questo di lavorare?”, e io “guardi sono un cantante, non sono il corriere”, “ahah spiritoso ahah”, ma cosa?!