“I pomeriggi passati a pensare. A soffiare sul vento. Che se non cambio si mette male. Che sta arrivando l'inverno. Non torneremo mai più”. La nostalgia per l’estate che volge al termine, la fantasia di figure riflesse sui marciapiedi e la vicinanza al freddo che ci fa dimenticare quello che siamo stati, con l’arrivo di un inverno dalle giornate sempre più corte e dalle ombre sempre più lunghe, nonostante gli sforzi per contrastare l’incontrastabile. In fondo per me Giorgio Poi è sempre stato questo, con la sua voce malinconica e in bilico tra nostalgia e ironia, con gli arrangiamenti raffinati e le reminiscenze di un cantautorato tipicamente anni ’80, con le stoccate al cuore e la catarsi che ne deriva subito dopo.
A volte si chiudono dei cerchi e per qualche strano scherzo del destino con Giorgio ci siamo sentiti al telefono proprio in una di quelle calde mattinate che lasciano invece intuire come l’inverno stia pian piano volgendo al termine e che ci lascia intravedere la strada verso i primi soli primaverili. Ne è nata una lunga chiacchierata in cui abbiamo parlato del suo ultimo lavoro (Gommapiuma) e delle sue esperienze, e in cui ci siamo piacevolmente ricordati dei nostri incontri casuali al Locomotiv Club di Bologna, in quella che sembra quasi una vita passata e che nel frattempo ci ha investito di nuove forme di solitudini e di inediti colpi da parare, gli stessi che Giorgio Poi ha scelto di attutire con la gommapiuma della sua musica. Perché per citare Moai che chiude il suo ultimo disco, dopotutto “Basta allentare le dite, e la notte è finita, e la notte è finita”.

Ogni volta che inizio un libro io ho un mezzo disturbo che mi porta sempre a leggere come prima cosa la prima e l’ultima pagina. Usando lo stesso approccio sul tuo ultimo album Gommapiuma ho notato come inizi con “Davanti a noi ci sono giorni affilati come rasoi” (Rococò) e termini con “La notte è finita” (Moai), chiudendo un cerchio. Come è stato per te questo periodo? Siamo all’alba di un nuovo giorno secondo te?
Siamo sempre all’alba di un nuovo giorno in realtà, nel senso che nulla si ripete identico, ogni giorno è diverso e ogni nuova fase è diversa, soprattutto in questo momento di rapidi mutamenti. Direi che non sappiamo adesso cosa ci aspetta, c’è un po’ la speranza che tutto stia ritornando ad essere accettabile quantomeno, almeno per le nostre vite, cose che negli ultimi anni non è successa. Quindi speriamo che sia un nuovo inizio, soprattutto per la musica. Non ci sono concerti come li conoscevamo prima ormai da troppo tempo. E ci sono generazioni che avrebbero fatto queste esperienze in questo periodo e le hanno completamente saltate. Chissà se riusciranno a recuperarle. Chi oggi ad esempio ha 16 anni magari non è mai stato ad un concerto perché ci sarebbe andato a 14 o 15 anni e non ha mai avuto quel tipo di esperienza. Quindi speriamo davvero che si possa recuperare.
Sin dalla traccia strumentale che come sempre dà titolo all’intero disco, si nota come il mood di questo ultimo disco sia etereo e sognante, quasi leggero, come appunto la gommapiuma e le nuvole in copertina. Dai colori delle grafiche alle musiche tutto rimanda a quell’idea. Che rapporto hai con i sogni?
Guarda, devo dire, la mia parte preferita della vita è il dormiveglia. È il momento in cui mi sento sinceramente più completo. È l’unico momento di consapevolezza del sogno, perché io ad esempio il giorno dopo non me li ricordo quasi mai, dipende da dove dormo ma è molto raro. E quindi quello è l’unico momento in cui me li posso godere veramente. Che poi non sono proprio sogni, magari stai leggendo mentre ti addormenti e ad un certo punto inizi ad entrare nella storia che stai leggendo. O magari stai vedendo un film e ci finisci proprio dentro per quei brevi istanti prima di abbandonarti completamente al sogno. Quindi è questo il mio rapporto con i sogni, anche se poi non me li ricordo.
Sai, ne parlo spesso con una mia amica perché anche io non mi ricordo quasi mai i sogni e in realtà proprio per questo c’è molta gente che si tiene un diario accanto al comodino per appuntarseli. Qualche volta ci ho provato anche io e la cosa interessante è che poi ti rendi conto di aver sognato roba malatissima.
Ma pare che sognare roba malatissima sia una cosa molto sana in realtà, perché in questo modo hai l’occasione di sfogare tutti quegli aspetti della tua personalità direttamente nel sogno e chi ti sta vicino nella vita è al sicuro. Quindi possiamo dire che più sono pazzi i tuoi sogni e più sono fortunati i tuoi amici (ride, ndr).
Ottimo, mi hai risparmiato una seduta di terapia con questa analisi, grazie! Tra l’altro una novità di Gommapiuma rispetto ai precedenti lavori è sicuramente la presenza degli archi negli arrangiamenti, che contribuisce molto a creare questa atmosfera. Da dove nasce questa scelta?
Io penso che il suono degli archi sia qualcosa di talmente antico e perfezionato dai secoli che risulta ancora molto efficace sulla nostra emotività. Quando questo viene utilizzato nel modo giusto riesce sempre a toccare delle corde della nostra anima difficili da raggiungere. La possibilità di sfruttare questo mezzo per arrivare a queste profondità mi ha dato un colore in più. Ha dato all’intero disco un colore in più.
Niccolò Paganini stesso diceva che “per riuscire a commuovere gli altri devo prima essere commosso”.
Sicuramente. E poi anche poterselo portare in giro è meraviglioso, fa un grande effetto anche a me mentre suono, mentre li ascolto anche soltanto provare delle cose.
Passando alla tua scrittura, una cosa che mi ha sempre colpito è la capacità di far coesistere il sorriso e la commozione. Penso ad esempio a Stella che è uno dei miei brani preferiti proprio per questo. Per fare un paragone cinematografico mi vengono in mente le commedie agrodolci di Mario Monicelli, che avevano come tratto distintivo proprio questa capacità di divertire ed emozionare allo stesso tempo. Ti ci rivedi un po’?
Sì, lo apprezzo molto e mi fa piacere, ed è una cosa che adoro quando mi succede da spettatore o ascoltatore, mi piace moltissimo, divertirmi ed emozionarmi. Succede anche mentre sto scrivendo: magari ti viene improvvisamente in mente una cosa che ti fa sorridere e la scrivo. Molto spesso poi subito dopo penso “vabbè non è che ci lascio questa cosa”, e invece alla fine succede proprio questo, perché continua a divertirmi. Tu hai fatto l’esempio di Stella che calza a pennello. È una canzone chiaramente tutta molto scherzosa da un certo punto di vista, ma da un altro è molto seria. Parla di delusioni sul non capire, però presentata attraverso dei fraintendimenti surreali.

Quando ripenso alla tua vita e alla tua carriera musicale ripenso a tanti posti diversi: Londra, Berlino, Roma. Hai girato molto ma ad un certo punto hai deciso di stabilirti proprio a Bologna, che è la città dove sono cresciuto. Cosa ti ha attratto in particolare di Bologna? E cosa ci hai trovato in questi anni?
In realtà la scelta di Bologna l’ho fatta proprio sulla carta perché inizialmente non avevo alcun tipo di legame qui, niente famiglia o amici stretti. Dovendo tornare in Italia, Roma mi sembrava troppo complicata come città e allora ho pensato a Bologna, che è una città un po’ più piccola ma è anche una città molto viva, offre molto, ed è ben collegata alle altre città come Roma e Milano. È molto bella, mi stanno simpatici i bolognesi e si mangia bene. Poi ho trovato qui gli elementi che mi aspettavo di trovare ed è una città che in qualche modo ti trattiene, è molto difficile andarsene da qui. O perlomeno io non ci sto pensando, e sono molto contento della mia scelta e di stare qui.
Proprio tra le tue esperienze in ambito internazionale spicca senz’altro anche il tour con i Phoenix. Cosa ti sei portato a casa da questa esperienza?
L’esperienza in sé è stata incredibile. Siamo andati in America in quattro: io, Matteo e Francesco, che suonano con me, e Daniele Gennaretti, il nostro fonico. Siamo partiti come una piccola comitiva e in ogni momento ci siamo divertiti un sacco. Poi guardando i Phoenix, parlando con loro, stando insieme a loro, ho imparato davvero l’importanza dell’equilibrio, dell’educazione. Ho scovato gli elementi ed i segreti della loro longevità, lo riuscire a godersi ancora lo stare insieme, il fare musica insieme ancora dopo moltissimo tempo, perché loro hanno iniziato a suonare insieme da ragazzini.
Alla luce di questa tua esperienza credi che la nuova musica italiana possa ritagliarsi uno spazio anche fuori dai nostri confini o siamo ancora vincolati ad un certo tipo di immaginario tipicamente latino?
Mi sembra che ci possa essere uno spazio per la musica italiana all’estero, l’America nello specifico. Ma parliamo di una nicchia, non credo che possa diventare una cosa enorme, anche se poi spero di essere smentito dai fatti. Credo che ci sia un interesse anche perché noi abbiamo una nostra musicalità che è molto specifica e che credo sia molto interessante per un ascoltatore che non è abituato a quel tipo di sonorità che è legato alla nostra lingua e al modo in cui suona. Quindi penso sicuramente che ci possano essere delle sacche di interesse per la nostra musica.
Tra l’altro nella tua carriera ti sei ritrovato a cantare sia in italiano che in inglese. Pensi che tra le due sia più difficile approcciarsi all’italiano?
Credo che l’italiano sia istintivamente più musicale, ogni parola ha già una sua musicalità molto forte. È questa forse la difficoltà nell’adattarlo ad una canzone figlia di un’altra lingua. C’è già troppa musica di per sé nella nostra lingua. È difficile reinventarla seguendo dei canovacci che sono costruiti intorno ad un'altra lingua. Come si fa la musica pop nell’ultimo mezzo secolo è figlio della rima inglese, è normale che si presti meglio a quel tipo di adattamento. Però ad esempio il melodramma, l’opera, funziona molto di più in italiano perché nasce qui. La lingua con cui nasce un certo genere probabilmente sarà istintivamente più semplice ma non vuol dire che l’italiano non abbia un enorme ricchezza che si possa applicare a queste canzoni.
Chiudendo, sei pronto a ripartire con queste tre date nei teatri? Forse “Scusa non mi piace viaggiare” non la riscriveresti dopo questi ultimi due anni di pandemia e di stop obbligato, immagino che tu possa aver cambiato idea con tutto quello che è successo.
Non mi piace viaggiare nel momento in cui lo devo fare costantemente, e questa è stata la mia vita per tantissimo tempo. In questo momento forse un bel viaggetto me lo farei. Sono felicissimo di tornare a suonare ed il primo concerto è stato molto divertente. È bello tornare a fare una cosa che mi mancava così tanto e che non facevo da tanto tempo. Arrivare a fare il soundcheck a stare con gli altri, tutto quello che è anche intorno al concerto. Che poi spesso in un lungo tour risulta essere la parte più stancante e che uno si gode un po’ meno rispetto al concerto che è sempre bello e divertente. Questa volta invece mi sto godendo anche i momenti in tour, quelli di preparazione per il concerto. Non vedo l’ora di fare anche i prossimi!