Caratterizzati da uno stile unico ed eclettico, i Management (ex Del Dolore Post-Operatorio) tornano sulla scena musicale con l'ultimo album intitolato Ansia Capitale. Tra algoritmi che ci controllano sui social network, spaesamento dell'individuo e alienazione, i Management hanno creato un animale (il disco, ndr.) molto cattivo, che ti schiaffa in faccia la verità per come la pensano loro: cioè quella oggettiva. Con Luca dei Management siamo stati a chiacchierare al telefono una mezz'ora buona e, oltre a presentare l'ultima nuova fatica, si è spaziato su temi molto complessi con una velata ironia che da sempre contraddistingue il gruppo di Lanciano.
Come si dice in questi casi? Buona intervista?
Per questo nuovo disco, siete tornati sotto l’ala protettrice del produttore Manuele Fusaroli, dopo le due esperienze del 2012 e del 2014: come mai questo ritorno alle origini?
Semplicemente perché dopo il periodo dell’isolamento... ah, non mi piace usare quel termine però…
Aspetta, ti fermo subito: come mai?
Perché credo che ormai abbiamo parlato praticamente di solo questo per due anni ed è diventato talmente ridondante che non lo sopporto più. Mi sembra che tutto sia una moda siccome alla gente piace, capito? Uguale anche per il discorso sulla guerra in Ucraina, molti pensano al giochino e conta l’audience, quando in realtà l’unica cosa che porta è la morte. Riprendendo la domanda, abbiamo pensato di rincorrere la rottura, la polemica. Raccontare il cinismo delle mode, il discorso più sociale, con atteggiamento e pensiero sfacciatamente critico. Siccome Fusaroli è matto come noi e ci spinge sempre all'estremo, volevamo ripercorrere questo nostro lato sociale più al limite e abbiamo lavorato assieme così su questa parte marginale.
La prima cosa che mi sono chiesto di Ansia Capitale è se fosse stato il solo nome a cui avevate pensato…
Allora quando dobbiamo decidere per un titolo ne abbiamo veramente una miriade, impazzisco io e le persone che mi circondano, che finiscono per odiarmi. Però non te li posso dire gli altri perché, magari, li utilizzerò per altri album!
E perché lo avete descritto come “figlio del tormento e della noia”?
Perché è nato e si è sviluppato durante l’isolamento e per come siamo fatti noi non è stato un bel periodo. Dall’“ok, ora un po’ di relax” è diventato tutto troppo. Non fare il nostro mestiere ci ha un po’ distrutto, ma in tutto questo, in questo periodo, ho vissuto un rapporto conflittuale con la società in toto. Il pensiero dell’ansia è quello della competizione.
Quindi mi stai dicendo che la vivi molto la competizione?
In realtà no, ma qui purtroppo tutto si basa su questioni numeriche nel nostro lavoro. Ascolti, persone ai concerti… a me non frega un cazzo, però la società è così ormai, disumanizzata praticamente. Non c’è pensiero critico perché se non hai i numeri non puoi parlare. Ci viviamo dentro ormai e ciò influisce sulla mia vita. La musica è la musica, unica e inscindibile, e se competo con uno, competo con tutti.
Mi ha colpito la frase “Eri buono davanti e sporco dentro con i preti” e per questo volevo chiederti quale fosse il tuo rapporto con la Fede...
La mia è un’eterna lotta contro quello che mi hanno insegnato. Come la maggior parte degli italiani nasco da una famiglia religiosa e il mio intento giornaliero è il voler togliere definitivamente giorno dopo giorno questo qui, ossia eliminare la parte spirituale. So che è difficile, perché da ateo convincersi che dopo non esiste nulla è complesso rispetto all’accontentarsi del “Paradiso”. Il “non finisce qui” non esiste. Non ho nessun tipo di fede, ritualità. Figurati, non credo nemmeno nella bontà della natura, basta andare nelle giungla per vederlo con i propri occhi.
E allora della bontà delle persone, che mi dici?
Beh siamo animali. Siamo crudeli perché siamo naturali. Non abbiamo più fame, ma quella di potere è rimasta. È nel nostro naturale istinto. Però, se ci pensi, la direzione che sta prendendo l’uomo è quella di un arrivare pian piano alla bontà. Se ci pensi uccidiamo molte meno persone rispetto a prima, molti meno animali (prima o poi diverremo tutti vegani e vegetariani… purtroppo). Le guerre si fanno sempre, ma ci stiamo mettendo nell'ordine di idee di diventare buoni, o quantomeno provare ad esserlo. Io ad esempio abito in campagna e ci consideriamo moderni come esseri umani, ma questo cambio moderno è nato da pochissimo se ci pensiamo. Miglioreremo vistosamente, magari, tra cento o duecento anni, a meno che non ci autodistruggiamo per le questioni ambientali. Peccato, mi sarebbe un po’ piaciuto vivere nel futuro per vedere come sarebbe potuto diventare…
Torniamo all'album: com’è nata l’idea per scrivere Multiculti Supermarket?
Allora questo non l’ho mai detto a nessuno, possiamo chiamarlo un segreto. Molti dicono che le canzoni non vadano spiegate, ma a me non frega più di tanto. Insomma, a Berlino c’è questo fruttivendolo che vendeva roba da tutto il mondo e mi piaceva tantissimo questo titolo. Mi sembra la metafora corretta che rispecchia come sia ormai diventato tutto un supermercato di esseri umani, come fosse un gioco, mosso dall’alto, come a Risiko, da persone più potenti e invisibili. Noi esseri umani pensavamo di dominare il mercato, invece ora siamo noi i prodotti, i nostri dati sono venduti. Siamo noi sullo scaffale dove l’umanità non esiste e tutto questo nella canzone viene delineato, anche se a grandi linee, ma è presente. Ecco, un altro esempio che ti faccio della disumanizzazione è guardare il telegiornale mentre si mangia: ma come cazzo si può mangiare senza problemi quando arrivano i numeri di catastrofi naturali o attacchi terroristici. Dovresti un minimo sentirti uno stronzo se nemmeno ti commuovi, ma non succede. È tutto un grande numero.
C’è un libro che potrebbe essere parallelo al vostro lavoro: si chiama "Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social" di Jaron Lanier: questo totalitarismo cibernetico ci distruggerà. Internet non è il male, ma va ripensato profondamente. Secondo te, in che modo?
Ho una visione molto negativa di tutto ciò. Non so come vada ripensato perché non lo utilizzo molto né con piacere, ma per tanti motivi nonostante le opportunità, o presunte tali, che il web fornisce, esse sono irreali, un po’ stupide, che non ci fanno vivere appieno altre cose della vita per me più importanti. La lentezza, soprattutto. Guardare altro da sé o pretendere di conoscere persone lontanissime da te ti rende paradossalmente più sconnesso, questo altro è lontano: è reale? Si tratta di una persona simpatica dal vivo? Questo manca totalmente in qualsiasi tipo di rapporto a distanza. Di base quando sono contento di fare una cosa, la faccio, senza aver bisogno di mostrarla per forza di cose agli altri. C’è un mio amico che dice: “Se sei andato in quel posto ma non l’hai fotografato e postato online sui social, non ci sei andato davvero”. Non lo hai fatto perché non l’hai mostrato e secondo me questo ci farà molto molto male col passare del tempo.
Ritieni allora che, purtroppo, sia fondamentale avere i social per emergere nel mondo della musica oggigiorno?
Ora sono costretto a dirti di sì, ma ti dico una cosa: è nato prima il social o la musica? Adesso nel contemporaneo è abbastanza fondamentale, ma molti eretici o profeti son diventati famosi, anche magari nel Medioevo, senza avere i… social! La loro popolarità cresceva tantissimo col passaparola ad esempio. Però siamo abituati che siccome quella è la strada da percorrere nel XXI secolo, allora dobbiamo adattarci e omologarci perché sembra essere “l’unica cosa possibile”. Ovviamente i social sono fondamentali, ma non credo sia l’unico modo assoluto possibile e tale consapevolezza porta, magari, ad un uso più consapevole del social stesso in questione.
Chiudo chiedendoti una particolarità: come vi è venuta in mente un artwork di questo tipo in relazione al concept del disco?
Bennet Pimpinella, l’autore, è innanzitutto un nostro caro amico. Lui lavora sempre fotografando volti di persone, molto particolari. In questo lavoro, trovandosi spesso in camere d’albergo per lavoro, ha inquadrato dei salti sul letto, ma a me sembravano più persone che precipitavano su essi. Questo disco si è sviluppato nel periodo dell’isolamento e mi fa impazzire questo rapporto che le persone instauravano in un periodo così all’interno di una stanza, all’interno del proprio io. Noi, precipitati dentro le nostre case senza la possibilità di uscire. Il rapporto che si crea con l’esterno è mediante la tecnologia e tutte le idee che ci facciamo sono filtrate attraverso questi mezzi. È questo il modello della società: ci fa male o bene? Le persone aspirano a questo, per me, senza senso, con un’omologazione totale. Tornando alla domanda, mi ha fatto impressione guardare le foto poiché avevo questa impressione opposta rispetto alla naturale visione dell'immagine a prima vista.