Prendere la musica tradizionale di una regione, unirla all’elettronica e alla sinergia umana e concludere il tutto con un arrangiamento orchestrale: questo è ciò che propone l’Open Sound Festival di Matera, svoltosi nella città lucana lo scorso 26 settembre. L’evento si è tenuto nel suggestivo scenario della Terrazza di Palazzo Lanfranchi, costruzione seicentesca, attuale sede del Museo Nazionale d’Arte Medievale e Moderna della Basilicata.
L’anteprima della performance finale è stata affidata ad una suite live in cui tre giovani producers - Mala Femmina, Enrico Lillo Dadone e Angelo Rosato Fanelli - selezionati con #OSA, la call internazionale di Open Sound Festival in collaborazione con Sugar Music - si sono esibiti insieme agli ospiti Stabber, Clap! Clap! e Yakamoto Kotzuga, accompagnati da un ensemble di archi e pianoforte e con la partecipazione degli artisti lucani Alberico Larato, alla zampogna, alla chitarra e alla lira calabrese, e Agostino Cortese alla guida del collettivo Agotrance, composto da suonatori di percussioni e cupa-cupa, uno degli strumenti più identificativi della tradizione lucana. La direzione creativa è di Nico Ferri con direzione artistica affidata ad Alioscia Bisceglia dei Casino Royale e la direzione musicale a Giorgio Mirto, compositore e docente del Conservatorio di Livorno.

L’esibizione ha visto la presentazione dei tre pezzi inediti a cui i producers hanno lavorato nelle settimane precedenti, per una commistione musicale di rara intensità. Le sessions live non sono però terminate: proseguiranno fino a novembre, culminando nel Linecheck Festival in occasione della Milano Music Week. Ciascuno dei tre guests ha poi presentato un proprio brano completamente nuovo e ispirato al mood del luogo e sfruttando la possibilità di proporre campionamenti quantomeno inusuali ma di grande impatto.
Abbiamo così fatto quattro chiacchiere con Yakamoto Kotzuga, parlando del pezzo, dell’esperienza complessiva legata al Festival e dei suoi progetti futuri.
Quali sono le principali sensazioni che ti ha lasciato la tua partecipazione all'Open Sound Festival di quest'anno?
Era la mia prima volta al festival e ne sono rimasto piacevolmente sorpreso. Oltre alla cornice magica di Matera, la sinergia e la chimica che si è creata tra noi produttori guest, i produttori vincitori del contest e tutto il personale del festival è stata davvero notevole. Non capitano molto spesso occasioni in cui si creano questi presupposti fin da subito, e il fatto che per me questa sia stata la prima attività dal vivo dopo il periodo del lockdown ha sicuramente reso tutto ancora più emozionante. Direi un’esperienza molto piacevole sia dal punto di vista lavorativo che umano.
Parlaci un po' del tuo brano inedito presentato nell'occasione.
Il brano inedito che ho presentato è un brano che unisce un po’ le mie ultime influenze. È un brano “ibrido”, con un intro molto ambient pensato per dar spazio all’intervento di archi del Maestro Giorgio Mirto e un drop da dancefloor e di matrice jersey club, figlio della ricerca sonora che ho fatto nell’ultimo anno. Incorpora vari elementi della library di suoni lucani: i canti, i campanacci, i cupa-cupa e la zampogna. Concettualmente l’immagine che mi ha ispirato e che il brano vuole richiamare è quella della Madonna Della Bruna, una festa patronale di Matera per cui ad un certo punto si assale violentemente un carro trionfale. Un misto di sacro e profano, calma ed energia.
E invece come hai lavorato con Angelo Rosato Fanelli alla co-produzione del brano in collaborazione con lui?
Con Angelo mi son trovato ottimamene. Il suo brano era molto evocativo e perfetto per il concept del festival. Funzionava già molto bene, quindi principalmente il mio apporto è stato su alcuni lati del mix, della struttura su alcuni piccoli interventi creativi e di tecniche che ho condiviso con lui. Abbiamo passato due giorni in studio insieme e abbiamo avuto modo di rifinire il tutto fin già da subito.

Com'è essere in studio con un altro produttore? Come avviene il flusso di idee e il conseguente scambio reciproco di stimoli?
Credo dipenda molto dalla persona che ci si ritrova di fronte. In questo caso Angelo era una persona molto ricettiva e ha ascoltato con piacere e con voglia di imparare le mie considerazioni ed i miei consigli. Direi che non ci sono regole riguardo il flusso di idee, solitamente se si è persone comunicative e empatiche le cose accadono molto naturalmente e in modo piacevole. Sicuramente è utile lasciare l’ego fuori dallo studio e avere la voglia di fare semplicemente qualcosa di bello. Credo a questo proposito sia anche utile essere consapevoli dei propri punti di forza e dei propri punti deboli, e allo stesso modo di quelli dell’altra persona, in modo tale da bilanciare le competenze e avere in un certo senso un ruolo, una specializzazione, nel lavoro comune.
Come avete lavorato per trovare un punto di incontro tra elettronica e musica tradizionale della Basilicata?
La parte compositiva vera e propria è stata svolta prima del festival. Avevamo a disposizione questa library di suoni lucani che il festival offriva e personalmente sono partito da questo. La musica tradizionale in generale spesso ruota attorno alle stesse soluzioni musicali e non è stato facile tirare fuori qualcosa di interessante nell’immediato. Sono partito dagli elementi che utilizzo solitamente anche nella mie produzioni (le voci e le percussioni) per poi aggiungere qualcosa di più moderno, cercando di non far sembrare fuori luogo nessuna delle due cose. Un esperimento per alcuni versi per nulla facile ma molto piacevole.
Raccontaci la sinergia creatasi con gli altri membri dell'ensemble nella creazione della suite. Come vi siete approcciati a tale tipo di arrangiamento?
L’arrangiamento per il sestetto - archi più piano - è stato realizzato ad opera del Maestro Giorgio Mirto. Noi abbiamo fornito degli spunti sulla quale lui ha svolto un ottimo lavoro. Devo dire che ho apprezzato davvero molto il suo lavoro nel mio brano, l’ha portato esattamente nella direzione che speravo senza gli dessi molte indicazioni. Ammetto di esser stato un po’ dubbioso nella buona riuscita dell’unione tra musica tradizione, elettronica e parte cameristica, ma devo dire che l’idea ha funzionato davvero bene, merito anche dell’ottimo lavoro di Giorgio e dei musicisti molto bravi che hanno suonato le parti. Siamo già d’accordo sullo sviluppare altri interventi sui brani alla prossima occasione!

Sei famoso per aver lavorato molto nel mondo delle colonne sonore, grazie a una grande cura applicata al sound design e ai landscapes sonori. Come ti sei avvicinato a questo mondo e quali sono gli ascolti che ti hanno maggiormente segnato?
Diciamo che non son stato io ad avvicinarmi a lui quanto piuttosto lui a me. Scherzi a parte ho sempre pensato anche alla componente visiva nella mia musica, sia come mezzo di ispirazione sia come mezzo di fruizione. Di ogni mio brano solitamente mi piace immaginare un’ambientazione visiva, credo che sia utile e mi viene naturale. Allo stesso tempo mi è sempre stato detto che nella mia musica era presente una certa componente cinematica, così, appena si sono presentate le prime occasioni, ho deciso di sperimentare anche in quel mondo. Devo dire che è un ambito totalmente diverso da quello “intimo” della produzione e della musica in generale: ci sono molte più persone coinvolte, bisogna considerare molti più parametri, bisogna accettare il fatto di essere al servizio di qualcosa. Non per questo però è un ambito meno stimolante o piacevole. In questo ambito i miei artisti preferiti sono, tra i vari, Cliff Martinez, Trent Reznor, Ludwig Göransson, Olafur Arnalds e molti molti altri. Ovviamente la mia ispirazione in questo campo arriva anche da molti altri generi.

Quali sono le principali differenze tra il collaborare per la riuscita di un progetto altrui e la composizione di un proprio album solista?
Il lavoro sul materiale altrui può avvenire in modo molto diverso, ma quasi sempre si è nella posizione di riuscire a fare una valutazione critica e funzionale. Nel progetto solista, almeno per quella che è la mia esperienza, questa cosa è molto più difficile. Dipende da che tipo di carattere hai, ma a volte valutare se stessi può esser molto difficile. Sarà anche per questo che è uscita solo una piccola parte del materiale che ho prodotto negli ultimi anni!
Domanda un po' nerd: quanto c'è di digitale e quanto di analogico nella tua strumentazione di base?
Di strettamente analogico devo dire poco, almeno in fase di produzione. Ad esclusione di qualche synth e qualche effetto, il mio modo di produrre si sviluppa in digitale. Questo sicuramente per una questione di velocità e comodità, non amo “perdere tempo” mentre sono in fase creativa. Per la fase di mix e master invece solitamente la persona a cui mi rivolgo lavora molto in analogico. Non escludo niente però, il bello di questo campo è anche quello di scoprire nuovi strumenti e trucchi, ne sono molto affascinato e reputo che qualsiasi mezzo sia quello giusto se si ottiene un buon risultato. Diciamo che però il mio strumento principalmente ad ora è il computer e le infinite possibilità di manipolazione sonora che offre.
Cosa ci dobbiamo aspettare dal tuo futuro? Cos'hai in programma nei prossimi mesi?
Al momento ho appena concluso la colonna sonora di un film e sto lavorando alla musica di un’altra serie. Finito questo progetto, tempo permettendo, vorrei dedicarmi di più a produzioni e ad un nuovo lavoro personale, ne sento il bisogno. Vedremo, non escludo di far uscire comunque qualcosa anche prima!

Di Filippo Duò
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