Ho sempre pensato ai Django Django come a una sorta di laboratorio sperimentale, un curioso esperimento di 4 menti creative e artistoidi dove l'elttronica incontra le chitarre elettriche, i beat si sovrappongono ai power chord, il falsetto evanescente a ritmi tribali, l'arte incontra la musica e le colonne sonore di Sergio Leone si fondono ai vecchi giochi arcade ambientati nello spazio nell'era in cui un pixel era grande come un pollice. Non è un caso che Vincent, Tommy, Jimmy e David fondino le proprie radici all'Edinburgh College of Arts, la scuola d'arte, ambiente per antonomasia sinonimo di sperimentazione, avanguardia e libertà e che ha fatto sì che sotto il cappello Django Django confluissero svariate passioni tra cui quella per i dj set, per la video art, per le tastiere e per la vecchia cinematografia italiana.
Dopo una candidatura all'ambitissimo Mercury Prize con il loro omonimo debut, altri due dischi sulle spalle e quasi 10 anni di carriera la band metà scozzesce e metà inglese torna sulle scene con Glowing In The Dark, il loro nuovo album, ennesima riprova che essere incasellati in un solo genere ha lo stesso effetto di una camicia di forza. Sicuramente il marchio di fabbrica dei ragazzi rimane l'elettronica, che qui è emersa sin dal primo singolo, Spirals, un accattivante cavalcata in salsa western che ha settatto aspettattive piuttosto alte su questo nuovo lavoro. Affianco a sintetizzatori di ogni genere e tastiere sintetiche che caratterizzano brani come la title track, che strizza l'occhiolino al repetorio del gruppo, oppure a Headrush in cui l'elettronica e le sue percussioni cadenzate viene utlizzata in stile LDC Soundsytem, troviamo a sorpresa pezzi concisi e basici composti da una sola chitarra acustica come The World Will Turn, oppure giri di accordi dal classico sapore indie rock come quello di Waking Up, in compagnia di Charlotte Gainsbourg. L'album è estremamente vario e la prima cosa che mi è venuta in mente ascoltandolo è stata che ha un retrogusto molto americano, sarà per i costanti crescendo e per quelle note che sembrano rincorrersi, palese rimando alla cultura degli Spaghetti Western. Qui però le atmosfere vintage vengono distorte e sintetizzate in un risultato cibernetico e futuristico, in cui il tema dello spazio sembra essere più che un mero passatempo. Se Philip Dick fosse ancora vivo credo ascolterebbe i Django Django e li utilizzerebbe per qualche adattameno cinematografico di uno dei suoi libri.
È da un po' che seguo la band, nonostante siano passati anni ho ancora in loop loro vecchi brani come Default e First Light, perciò appena mi è stato proposto di fare una chiaccherata su Zoom con Tommy, a capo di sintetizzatori e tastiere, non mi sono tirata indietro e di seguito trovate il riassunto di un collegamento Milano - Glasgow in una fredda sera di febbraio.
Sei emozionato che l’album esca domani? (12 febbraio, ndr)
Sono molto emozionato, anche se mi sento un po’ spaventato per come lo accoglierà il pubblico, specialmente perché è una cosa su cui lavoriamo da così tanto tempo. Durante questa settimana sono uscite le prime recensioni e sono molto positive, quindi sono contentissimo e sollevato! Mi dispiace per la promozione dell’album e per il fatto che avremmo voluto suonarlo live, ma ovviamente non succederà. C’est la vie!
Com’è stato registrare l’album durante la pandemia? Avete avuto l’opportunità di registrare in studio tutti insieme?
A essere sincero, abbiamo finito di registrare la maggior parte del contenuto dell’album, praticamente il 90%, prima che il lockdown arrivasse in Inghilterra. Durante la pandemia lo abbiamo poi aggiustato mixandolo e sistemando alcuni suoni. Non è un “album da lockdown”, quindi. Certamente abbiamo dovuto prendere molte più decisioni rispetto agli album precedenti: avevamo davvero tante canzoni, fra le venti e le venticinque tracce, e quindi abbiamo dovuto capire quali sarebbero finite nell’album. Il processo di editing e la selezione delle tracce sono sicuramente stati influenzati dalla pandemia, ma avevamo già scritto i testi delle canzoni, quindi non ha avuto impatto su di noi. Siamo stati fortunati da questo punto di vista.
Ascoltando il nuovo album ho notato tantissime influenze diverse: c’è un po’ di musica elettronica, una canzone accompagnata unicamente dalla chitarra acustica e anche qualche riferimento agli Spaghetti Western. Quali sono state le vostre più grandi influenze durante la registrazione di Glowing In The Dark?
È un po’ difficile rispondere a questa domanda. A livello individuale abbiamo gusti molto diversi e molto ampi. Di sicuro Dave ha un background che viene più dalla musica dance ed elettronica, la prima volta che ci siamo incontrato stava producendo brani dance. Jimmy Dixon, invece, ha suonato in molte band indie prima che iniziassimo a suonare insieme. Io stesso sempre stato interessato a questo tipo di musica e agli album di colonne sonore. Mentre Vinny ha interessi di tutti i generi. Quindi penso che la difficoltà principale sia stata quella di mettere insieme tutte queste influenze che abbiamo e far sì che abbiano un senso. È stato compito di Dave, come producer, quello di provare a unire i gusti senza che cozzino fra di loro e di trattare ogni canzone come se fosse un piccolo universo a parte. Non lo so, è molto difficile da dire mentre lo stai facendo, non so proprio [ride].
Quindi a chi di voi piace particolarmente Sergio Leone?
So per certo che Jim ascolta parecchio quel genere, ma anche io. È come se facesse parte del tessuto della band in molti modi. Gli Spaghetti Western hanno avuto una profonda influenza su di noi. Per esempio, anche il film Django, non parlo di quello di Tarantino ma il primissimo Django, in qualche modo, ha influenzato il nome della nostra band. Penso che nel western sia un tutto molto cinematografico, come se ci fosse una sorta di espansione, sicuramente lo è con Sergio. Tutto sembra come se fosse in un cinemascope, così ampio ed esteso, e quello è quello che siamo sempre stati desiderosi di fare dal punto di vista sonoro: far sì che tutto trascenda l’ordinario e il qui e ora, rende tutto più vasto e cinematografico.

Una delle canzoni nell'album, Waking Up, ha come featuring Charlotte Gainsbourg. Come siete finiti a lavorare con lei?
Avevamo questa canzone, Waking Up, era carina però mi ricordo che a un certo punto pensavamo addirittura di non inserirla nell’album. Poi ci siamo tornati su e abbiamo detto: «possiamo fare qualcosa per migliorarla?». A quel punto Dave ha suggerito di incastrarci un'altra voce per creare un effetto in stile Bonnie e Clyde, per creare un’emozione simile a quella di una coppia che fugge. A quel punto, abbiamo fatto di tutto per capire chi potesse essere collaborare con noi. A un certo punto, abbiamo chiesto a Emmanuel, il direttore della nostra etichetta discografica, e lui ci ha suggerito di ingaggiare Charlotte. Condividiamo la stessa casa discografia in Francia, la Because. Sapevamo bene chi fosse, la sua heritage, che tipo di musica facesse, io per esempio ho adorato le cose che ha registrato insieme a Beck, è magnifica, e a essere sincero non ci aspettavamo molto che ci dicesse di sì , ma abbiamo tentato comunque di chiederglielo ed è stato incredibile scoprire che era molto interessata! Perciò siamo andati a Parigi e abbiamo trascorso un intero giorno con lei a registrare. È davvero brillante, ha donato una nuova dinamica alla canzone, gli ha dato una spinta, e noi della band ci siamo detti: «potrebbe essere un singolo, è fantastica». Le siamo davvero grati di averci dato una mano!
Questa non è l'unica collaborazione nel disco, uno dei remix di Spirals è stato fatto dagli MGMT, come avete lavorato con loro?
Questo è stato solo perchè glielo abbiamo chiesto. Gli MGMT sono fantastici e ci piaceva il loro lavoro, il loro approccio nel fare musica. Però i nostri percorsi non si sono mai incrociati: non siamo mai stati allo stesso festival, per esempio, o niente del genere. Pensavamo semplicemente che sarebbero stati perfetti per la canzone e così gli abbiamo chiesto un remix, ma non abbiamo lavorato insieme in studio, gli abbiamo solo dato gli stems e sono tornati da noi con il lavoro finito. Mi ricordo che ero un po’ titubante, perché non sapevo cosa avrebbero fatto. Ma quando mi hanno fatto ascoltare il remix, ero completamente esterrefatto dal lavoro che avevano fatto, è davvero ottimo. Adoro la loro ambiziosa, è piena di idee e inventiva, è figo, è venuto fuori un bel risultato. Non sai mai cosa aspettarti quando chiedi a qualcuno di fare un remix, ma è stata un’esperienza veramente positiva.

Questa potrebbe sembrare una domanda un po’ strana, ma ritengo che il tema dello spazio sia abbastanza presente nella vostra carriera, dal titolo di quest'album, a Marble Skies e Born Under Saturn, fino al nuovo singolo di Free From Gravity. Ho sempre pensato che la vostra musica sarebbe perfetta per un videogame sci-fi con navicelle spaziali e cose di questo tipo. Sono l’unica che lo pensa? C’è qualche membro della vostra band interessato a questo argomento?
No, credo che si torni un po' a quello che ho detto prima, sono sempre stato affascinato da un certo tipo di musica che possa elevare, portarti via, che possa permetterti di fuggire con essa, che si espanda, e la conclusione più logica è che porti verso lo spazio. Come band siamo sempre stati molto interessati a questo tema, guardiamo un sacco di film di questo genere, leggiamo autori di fantascienza, siamo abbastanza nerd. C’è una sorta di positività in questo genere. Ti ho detto siamo molto molto nerd...
So che vi siete incontrati all’ Edinburgh College of Art. Cosa avete studiato esattamente?
Io e Dave abbiamo studiando pittura all’università di Edimburgo, Vinny faceva architettura e Jim studiava pittura come noi, tecnicamente belle arti, però a Glasgow. Nonostante fosse in un’altra università, c’era questa unione fra i due college, quindi eravamo spesso a Glasgow perché c’erano tante belle serate, associazioni studentesche e tanti club in cui suonavano, per esempio andavamo spesso ai dj set all'Optimo. E lì abbiamo conosciuto Jim, che suonava in molte band a quei tempi. In realtà all'epoca viveva con uno dei Franz Ferdinand, e suonava con band di quel tipo. Quindi è così che abbiamo conosciuto Jim.
Pensi che quello che avete studiato ha in qualche modo influenzato la vostra musica? Ho letto una citazione molto divertente dall'NME che dice «una volta che sei uno studente di belle arti, rimani dannatamente per sempre uno studente di belle arti».
[ride] Assolutamente sì. Credo che uno degli insegnamenti chiave che ho imparato frequentando la scuola di arte è che puoi fare veramente tutto da solo. Ciò che ti serve è lo spazio, del tempo e uno studio tutto tuo. Fai tutto da te, non aspettare nessuno, non ascoltare i consigli di nessuno, fallo e basta. Ho passato così 4 anni, è stato fantastico, ci siamo davvero divertiti. Questo ti dà la libertà di commettere errori, sperimentare qualsiasi cosa e abbracciare questo concetto che alla fine è rimasto con noi. Ed è un po’ la stessa filosofia (non è la parola giusta, diciamo pensiero profondo) di quando fai la tua musica: essenzialmente, lasciati andare, prenditi il tuo tempo, lascia che tu commetta degli errori, che è molto importante.

E chi lavora alle copertine e ai video dei vostri singoli e dei vostri album? Li ho sempre trovati abbastanza artistici e concettuali.
Credo che trattiamo tutto quello che facciamo come se fosse una cosa unica. Per esempio la musica non è separata dalla parte grafica, è tutto in un unico mondo. Generalmente noi creiamo la maggior parte della grafica, o per lo meno i video, specialmente grazie a Dave, trova la gente giusta, suggerisce la storyline o viene fuori con il mood del video. Alla fine quando lavori su una canzone, quando sei tu a scriverla e a comporla, sviluppi anche un sentimento, delle immagini interne, può essere una palette di colori o qualsiasi altra cosa, ogni tanto è come se fosse una scena di un film: una canzone, per esempio, ti può dare l'idea di essere in mezzo ad un deserto oppure di raggiungere una oasi nel bel mezzo del deserto. Perciò hai questa idea fissa nella tua testa. Ed è strano, per me, che alcune band arrivino con una canzone e poi affidino a qualcun altro le idee per i video e si aspettino soddisfazione per un visual creato da esterni (persone che non hanno creato quella canzone, ndr). Noi, invece, creiamo i nostri design, le copertine e quando si deve girare un video musicale pensiamo a un’idea specifica, a cosa vogliamo. Per esempio, per il video di Free From Gravity, Dave stesso ha avuto l’idea di questo alieno, isolato, che vaga per negozi [ride]. Poi abbiamo trovato un director a cui andasse bene ciò a cui noi avevamo pensato e che ci permettesse di tenere le briglie del video.
Ultimissima domanda: il vostro album di debutto è uscito fuori ormai dieci anni fa. Come ricapitoleresti questi dieci anni passati insieme ai Django Django?
È stata una cosa folle, nessuno di noi avrebbe mai pensato che il primo album decollasse in questo modo, pensavamo uscisse e rimanesse una cosa di nicchia. Da quel giorno, ci siamo lentamente costruiti e da lì è stato semplicemente pazzesco, fantastico. Cerco di essere sempre umile. Non è facile essere in una band, non è facile far funzionare tutto dal punto di vista economico e nemmeno dal punto di vista dei rapporti fra i membri. In questi dieci anni abbiamo visto tante band piene di talento crollare perché litigavano fra loro o perché non riuscivano a sostenersi economicamente. Noi siamo davvero tanto tanto fortunati a poterci definire dei musicisti professionisti e poter vivere di questo. Sono grato di tutto.
Si ringrazia Matilde Gravili per la trascrizione e la traduzione.