08 agosto 2022

"Voglio che il pubblico non dia nulla per scontato": intervista a Cosmo

Prima di chiacchierare con Cosmo avevo un certo timore: non essere all'altezza di un artista così poliedrico e profondo, non comprenderlo fino in fondo, avere il rischio concreto di fare domande banali e... è andata proprio così. Però, in qualche modo, o ha fatto finta di non accorgersene oppure se n'è accorto e a lui andava incredibilmente bene così. Perché con Marco si è instaurata una sana chiacchierata a base di musica, risate e politica, perché, si sa, così come per la musica che vuole far ascoltare, lui non riesce a tenersi tutto dentro e ti schiaffa in faccia la realtà politica odierna con una schiettezza dura ma assolutamente necessaria.
Ci siamo confrontati su cosa voglia dire ripartire con i concerti dopo due anni, lui, che ha tanto combattuto con la burocrazia italiana nel post-lockdown e che, ancora oggi, è un punto di riferimento per chi cerca qualcuno che lo possa rappresentare anche in un universo che prescinda la musica.
Però di musica abbiamo parlato, eccome: ormai il suo ultimo album, La Terza Estate Dell'Amore, ha un anno e una manciata di mesi, perciò siamo partiti dal disco, su come è stato digerito nel tempo e su quali siano adesso le sue sensazioni; se è pronto a tornare in gioco suonando dal vivo, se è ancora il suo habitat naturale, quello di essere circondato da una tipologia di esseri umani che ci ha confessato ama alla follia: le persone che ballano e si scatenano a ritmo della sua musica.
È cosa buona e giusta.

Un anno fa, per presentare La Terza Estate dell’Amore dicevi che fosse “il manifesto di qualcosa che ancora non ha un nome”. Ad oggi, un anno dopo, ti senti di definire meglio questi confini o sono ancora molto fumosi?

Sono ancora fumosi. Penso che ci sia, tra l’altro, una domanda crescente ma insoddisfatta di queste richieste, guarda banalmente la situazione politica italiana attuale. Purtroppo non ci sono discorsi radicali: problemi profondi hanno bisogno di risposte outside the box, mentre qui in Italia si cerca soltanto di tappare buchi. Non c’è mai visione anche soltanto del futuro non immediato, quindi un cambiamento di visione serve ancora e c’è una crescente richiesta di questo. È crescente anche il fatto che si stia spostando verso gli estremi la politica europea un po’ in tutti i paesi. Questa esigenza rimane, ma ancora non c’è stata l’esplosione sperata…

E secondo te potrà mai avvenire in futuro?

Non ne ho idea. Credo che bisognerà comprimere ancora di più la situazione, di modo che diventi ancora più invivibile vivere così. Bisogna tenere una fiammella accesa, dirle le cose per anche cambiare un minimo, per chi ha a cuore il voler cambiare le cose.

Sui social, soprattutto durante il periodo pandemico o post-lockdown hai fatto valere la tua voce e le tue posizioni. Volevo sapere la tua opinione sui social network, credi siano ormai fondamentali per far emergere le proprie idee e per un artista, di conseguenza, farsi notare a livello musicale? Mi riferisco soprattutto al fatto che molti artisti sono stati “forzati” a postare su TikTok dalle loro case discografiche…

Credo che sia semplicemente sempre un mezzo, perciò... perché no? Il problema è quando tali mezzi diventano fini e il pericolo è lasciarsi fagocitare da essi. Io come mentalità sono restio a queste novità. Ti faccio un esempio: la percentuale di streaming è maggiore quando il brano è più breve perché lo si riascolta più volte. Queste cose qui non rientrano mai nei miei calcoli, come il fatto che la lunghezza di un brano deve entrare nelle convenienze radiofoniche. I social sono strumenti potenti comunque, hanno cambiato il mondo con la loro produzione enorme e spontanea di contenuti. Siamo diventati tutti lavoratori producendo contenuti gratis. Siamo in mano a dei social media americani o cinesi, che hanno questo atteggiamento puritano con i loro algoritmi che paradossalmente bloccano un sacco di cose… ad esempio quello di Instagram privilegia certi contenuti, preclude ad alcuni fan di seguire un artista: è svilente. L’importante è la musica che si tira fuori, al massimo i video. Basta andare ad inseguire i social.

Parliamo di musica: ho visto che hai pubblicato qualche giorno fa LaLaLaa nella compilation Ciao Italia vol. 2: mi vuoi spiegare l’intento di questa compilation?

Rebirth, l’etichetta che ha coperto questa uscita, aveva già fatto un anno fa una cosa molto simile con tutti artisti italiani: è andata bene e quest'anno ha chiamato anche produttori recenti, tra cui me. Mi sento un novello, perché vengo dall’undergorund rock-indie e nell’underground elettronico ci sto da “poco”. È una nicchia abbastanza a parte, a volte anche diffidente.

Allora ti chiedo: ormai, avendo acquisito una certa visibilità, come ti rapporti al mondo underground attuale?

Quell’underground di cui si parla è quella specifica dance anni ‘90 che riempiva le sale-after, le feste, ma quelle un po’ secondarie. Qualcuno lo chiama dream house, riscoperto oggi anche all’estero. È oggi deflagrata in mille altri generi, adesso non esiste più, c’è molta varietà. Per risponderti, oggi, sempre più, mi sono avvicinato all’underground internazionale: a breve partirò per Amsterdam per seguire un festival molto simile: mi piace scoprire così roba nuova, fuori dagli schemi, che nessuno conosce. È la mia dimensione. Essere invitato a questa compilation quindi mi ha fatto molto piacere.

Domanda molto personale e siccome non ho mai avuto l’occasione di parlarti te la faccio, pur non essendo una roba molto recente: sono grande fan dei Subsonica e hai collaborato con loro a Microchip Temporale con Disco Labirinto. Com’è stato e in che modo ti hanno contattato?

Ci conosciamo da anni ovviamente, anche personalmente. Avevo fatto cose con Casacci e Boosta e hanno stima del mio lavoro anche come produttore. Volevano finalmente affidarmi qualcosa con carta bianca, stravolgere un loro pezzo e allora mi sono sentito libero. Ho preso Disco Labirinto con ansia da prestazione, sono andato nel loro studio, ho fatto registrare la voce anche a Samuel e loro si sono completamente lasciati andare. Il gioco è stato quello e alla fine è uscita una figata.

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Il 9 agosto sarai al festival Acieloaperto a Cesena, un eco-festival, attento alle dinamiche ambientali: quanto spesso hai a cuore queste tematiche quando si parla di mettersi al tavolino e preparare un tour? Pensando anche al fatto che sul palco di Sanremo hai cantato “stop greenwashing”...

Siamo ripartiti con grosse difficoltà solo quest’anno e devo dirti che non c’è stata una grande attenzione per questo. Mi rendo conto che questo è un grosso lavoro in più e, almeno quest'anno, non siamo riusciti: abbiamo lottato con la burocrazia per la tre giorni a Bologna e un lavoro serio su quello, con tutte le incognite del caso, purtroppo, non siamo riusciti a farlo. Anche se la sostenibilità economica c’era di base, non c’è stata questa attenzione soltanto perché siamo stati travolti dal caos della ripartenza.
È un sistema complesso ma sta proprio lì la sfida: io non voglio più vedere bottigliette d’acqua ad esempio, mi fa incazzare. Non ne abbiamo più bisogno: o i distributori con refill dell’acqua o portiamo tutti le nostre borracce.

Senti siccome hai citato i famosi concerti a Bologna, volevo chiederti cosa fosse cambiato nella tua carriera. O meglio, sono stati un punto di svolta?

Quelli sono stati per me, con tutti il rispetto del Forum 2019, la cosa più bella mai fatta in tutta la mia carriera. Abbiamo creato una nostra ambientazione, questo tendone del circo sparito il giorno dopo. Abbiamo fatto una lineup tutta noi, ballato in mezzo alla gente prima di salire sul palco, circondato da musicisti. Si è creato un mood bellissimo, che vorrei riuscire a replicare. Abbiamo iniziato a confrontarci con chi organizza i Festival e mi piacerebbe replicarlo anche altrove. Non sempre in Italia si crea questa atmosfera: ad esempio ad Acieloaperto suonerà Hugo Sanchez prima di me e mi sento tranquillo quando c’è lui. Bisogna replicare questo clima così. 

A giugno hai mandato in scena ad Ivrea un concerto itinerante per le strade della città…

Aspetta non era proprio un concerto itinerante ma ora che mi ci fai pensare come idea per il futuro non è male… ci vogliono i tir enormi proprio... però ci potrei fare un pensierino.

Allora cambio la domanda in corso d'opera: avevo letto che erano state mosse forti critiche all’evento…

La polemica che è scattata ad Ivrea l’ho fatta partire io un po’ dopo Ivreatronic, perché al Consiglio Comunale, in sede privata, c’è stato qualcuno che storceva il naso e si è messo di traverso per la presenza di una drag queen a libro paga come performer. Io ho minacciato la defezione e da lì sono uscite le risposte infantili e di livello basso in cui dicevano che l’evento non c’entrava nulla con Ivrea come Capitale del Libro. Le polemiche erano attorno a qualcosa riguardante la discriminazione di genere…

Allora mi dai il la per atterrare su un terreno un po’ scivoloso: volevo sapere la tua posizione riguardo la schwa, dal momento che giustamente dici che “l’inclusione è la premessa di ogni cultura democratica”.

Son sincero: all’inizio ho storto il naso, pensavo fosse una cazzata. Poi mi sono reso conto che scrivendo e parlando iniziava a darmi fastidio questa dominanza del genere maschile a livello linguistico. Io la vedo come una transizione, certi atteggiamenti e pretese paiono esagerate dal punto di vista femminista e LGBTQ, ma penso sia necessario combattere su più fronti. Non è una tradizione poco radicata il voler cambiare queste cose: siamo in fase iniziale, perciò non mi dà fastidio. È difficile trovare una soluzione.

A ottobre partirai fuori dall’Italia, per una tre date a Londra, Barcellona e Madrid: quali differenze incontri rispetto all’Italia e cosa ti piace di più dei tour europei?

Ho fatto poca roba in giro per l’Europa. Ma rispetto a quello che pensavo una volta, credo che l’Italia abbia raggiunto un buono standard. Nei paesi scandinavi la differenza è che ci sono diversi interventi statali, di aiuti ne trovi anche in Francia. Dell’Inghilterra invidio soltanto che il senso della musica sia più radicata e presente, ma per il resto l’Italia mi offre buone aspettative: non siamo messi così male da questo punto di vista.


E dal punto di vista dei fan invece? È diversa l’aria che si respira?

Guarda, quando sono andato l’ultima volta nel 2018, l’80% erano italiani! Però non posso assolutamente lamentarmi del pubblico, mi trovo veramente bene, sono in sintonia con loro.

Ma allora qual è precisamente il ruolo che esercitano i tuoi fan nei live: ossia che elemento rappresentano per te? Vanno oltre il mero ruolo di coloro che assistono ad un concerto e ballano?

Io penso che banalmente metà del concerto lo fanno loro. Quando sono veramente presenti cambia tutto: mi sostengono. Mi fa impazzire anche quando guardo il video di qualcuno al parterre e la gente è di spalle, interessata soltanto a ballare. Mi piace che se la godano proprio loro, senza per forza puntarmi sempre. Per me il pubblico è importante, ma non me ne prendo tanto cura, almeno delle loro aspettative forse…

Però, almeno, con le pizze che gli lanci, li sfami…

Eh. Comunque apprezzano anche le novità: ho troncato il ritornello di Turbo e comunque le persone restano un attimo confuse, in contropiede. Di quello non mi interessa, voglio che si sorprendano, che non diano nulla per scontato. Io non sono il loro cameriere, ma ci tengo a creare dentro di loro una sovraeccitazione, mi piace che stiano bene, che vadano fuori di testa, che sentano l’energia che li invade. Da un lato amo questi fattori, dall’altro non penso troppo in questa chiave. 

Senti ultimissima curiosità: ho notato che ai concerti estivi hai una chitarra particolare e disegnata da Ermenegildo Nilson: Miami. Com’è nata l’idea di farti creare una chitarra su misura e perché proprio con quel sound?

Quella chitarra è solo dipinta. Costa al massimo 50€, è solo per estetica.  Però non la spacco, anche se suona di merda, perché ne ho spaccate una a sera a Bologna e adesso devo rientrare nei costi…

Ph. MISERIA NERA

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