Quando ho intervistato James Smith e Ryan Needham degli Yard Act, rispettivamente voce e basso della band di Leeds, ho giurato a tutto me stesso di non far loro domande politiche. Per una volta, mi sono detto tra me e me: "Cerca di parlare a cuor leggero dei loro progetti musicali evitando pipponi politici". Dentro di me sentivo di essere liberissimo di parlare perfino delle influenze e dei consigli che gli ha spifferato un colosso come Elton John (figura chiave per il loro processo di crescita e con il quale hanno collaborato in una meravigliosa versione alternativa di 100% Endurance) e del loro amore sconfinato per l'Italia (l'unica data italiana del loro tour estivo sarà il 20 giugno a Lido di Camaiore per La Prima Estate e vi consigliamo caldamente di non perderli) ma per una volta non volevo mettere in mezzo la politica.
Insomma, come potrete ben vedere, non ce l'ho fatta.

Il legame tra gli Yard Act e le loro forti prese di posizione su molte tematiche contemporanee è indissolubile. E questo, di certo, lo si può dire di tanti gruppi musicali della scena alternativa. Che siano britannici o meno. Quello che però rende unici James e soci è il fatto che accennare agli Yard Act senza prima avere almeno una qualche infarinatura sull'universo politico britannico (che è il paradigma che però vale un po' per tutti gli altri Stati a guida capitalistica) è molto complesso. Descriverli musicalmente in un contesto in cui si cerca di esulare dalla feroce e sarcastica critica al consumismo e alla disuguaglianza economica tipica dei loro testi non soltanto è sbagliato ma taglia le gambe, di netto, a molti dei loro pezzi.
È uno di quei pochi gruppi dei quali riesci facilmente a invaghirti prima di ciò che scrivono e poi, anche successivamente, delle note che suonano. Prendiamo un brano come Rich, che rivela con sarcasmo le contraddizioni del sistema politico nel quale siamo inseriti: "Almost by accident, I have become rich".
In questo incipit, che sembra banalissimo, è condensato tutto il loro pensiero. Non mi sono sorpreso, quindi, che avessero una posizione ben chiara anche in merito al caso di Mo Chara dei Kneecap (accusato formalmente di un reato di terrorismo durante un concerto). James e Ryan annuivano ancor prima che avessi terminato la domanda.
In un momento storico in cui prendere posizione può essere tanto necessario quanto pericoloso per la propria carriera, come Yard Act ci sentiamo di essere all'interno di un sistema in cui la libertà di schierarsi pubblicamente è vista più come un privilegio, che come un rischio. Abbiamo firmato la petizione per essere al fianco di Mo Chara perché crediamo che come artisti sia giusto condividere dei messaggi di pace.
Quando si è su un palco è sempre difficile intonare messaggi senza rischiare di far storcere il naso a qualcuno ma gli Yard Act non hanno avuto timore ad esprimere il loro dissenso:
Se non ti senti sufficientemente a tuo agio quando si dice che i crimini di guerra di Israele perpetrati allo Stato palestinese si definiscono genocidari, allora non abbiamo dubbi a dire che sei indirettamente favorevole alla strage dei palestinesi.
Per sottolineare come il loro impegno politico sia costante, gli Yard Act sono anche tra i firmatari della petizione e del joint album Is This What We Want? 12 tracce silenziose, una per ogni parola della frase The British Government Must Not Legalise Music Theft To Benefit AI Companies. Un’opera di denuncia che, nel suo silenzio, urla l’indignazione di un settore intero. Al centro del dibattito c’è la proposta di riforma del governo britannico in merito alle norme sul diritto d’autore, che potrebbe consentire alle aziende di intelligenza artificiale di accedere liberamente a opere protette (tra cui, per l'appunto, anche la musica) per addestrare i propri modelli, senza il consenso esplicito degli autori.
Crediamo che la tecnologia debba evolvere, così come l'essere umano che trova nell'intelligenza artificiale una possibilità positiva. Non siamo preoccupati di questo. Ma sappiamo bene che viviamo in questo incubo capitalistico neo-liberale dove spesso affidiamo la nostra creatività ad una macchina. Il nostro timore è che il governo britannico non stia comprendendo il rischio di allenare queste macchine con artefatti realizzati dalla creatività umana. Diventerebbero pura e semplice merce.

La musica come merce inquadrerebbe la fine della creatività melodica per come l'abbiamo interpretata fino ad oggi. Non c'è da essere catastrofisti ma, ci dicono, il pericolo è lampante secondo il frontman: "C'è il rischio che l'essere umano non abbia più voce in capitolo sulle questioni inventive, che si deleghi la fantasia sempre di più ad una macchina".
Il problema alla base della questione, comunque, è un evidente buco legislativo al cui interno stanno cercando di inserirsi con veemenza gli stakeholder e chi raccoglie dati per favorire il machine learning delle intelligenze artificiali:
C'è soltanto grande caos. Non abbiamo delle leggi restrittive in materia, è tutto alla portata di tutti e ciò non può che essere dannoso. Per non scollarci tra di noi, dobbiamo concentrarci di più nelle reti sociali che creiamo, che vengono prima di ogni tipo di profitto.

Ryan Needham, il bassista, è ancora più perentorio:
Ogni volta che accettiamo un cookie, stiamo dando via un piccolo pezzo della nostra vita. Concediamo che i nostri dati fluttuino online. Non siamo i soli ad essere preoccupati e, soprattutto, non lo diciamo da artisti, che con la creatività ci lavorano, ma come rappresentanti di un certo tipo di umanità.
La musica degli Yard Act è il suono di un’epoca stanca ma ancora capace di ribellarsi, in cui il gesto artistico diventa atto politico e la canzone uno spazio di resistenza. La verità è che non si possono raccontare i quattro di Leeds ignorandone il contesto politico. Sarebbe come togliere loro la voce. E quella, per fortuna, non hanno alcuna intenzione di abbassarla.
