25 agosto 2020

La redazione di noisyroad vi parla dei 12 album perfetti per l'estate (e che presto rimpiangeremo)

«Estate / Sei calda come i baci che ho perduto» cantava Bruno Martino o Giorgio Poi, nella versione più recente. L'estate: l'anguria e le ciliegie, le ferie, "Somewhere In Northern Italy", Ferragosto, le dita nella sabbia, le cicale, il caldo soffocante, l'acqua e menta, Riccione e Rimini, il mare cristallino, i locali dove nemmeno volevi mettere piede, la tintarella, le città d'arte immerse nel caldo e nei turisti, le cotte da una stagione e via, le grigliate infinite, la golden hour, le lentiggini per il sole, la pasta fredda, le giostre, i libri da recuperare sotto l'ombrellone, le partenze improvvisate, i vestiti corti e gli shorts, la musica tamarra, le giornate lunghissime, i finestrini abbassati, le stelle cadenti, le sagre, i ritorni all'alba, la condensa fresca dei bicchieri di birra, il ventilatore. L'estate può significare una marea di cose, c'è chi la ama c'è chi la odia, c'è chi non riesce a sopportare il caldo chi invece si crogiola al sole. Stiamo andando verso la fine di questa strana estate e in redazione ci è venuta l'idea di raccogliere i pensieri di alcuni di noi su questa stagione a cui spesso si dà molta importanza e dove sembrano concentrarsi così tante cose, sintetizzandoli con un album che ci ha accompagnato in questi mesi o che sempliceente ci sa particolarmente d'estate.

RENATO: Ben Howard - Every Kingdom (2011)

La Golden Hour è un momento particolare della giornata, corrispondente agli istanti successivi all'alba e precedenti il tramonto, nel quale il sole è molto basso all'orizzonte generando così delle particolari atmosfere e condizioni di luce. Questa risulta, infatti, essere una luce morbida e tenue dalle tinte pastello, caratterizzata da colori caldi e ombre lunghe che tendono quasi a sparire nell'orizzonte. Se dovessi scegliere una colonna sonora per questo momento della giornata tipicamente estivo sicuramente i miei pensieri andrebbero subito verso il cantautore inglese Ben Howard e il suo album di esordio Every Kingdom. Ricco di echi di John Martyn e Nick Drake, l’album si presenta quasi come una rielaborazione del folk verso nuovi orizzonti poetici che Ben Howard rinnova e contamina con elementi di blues, jazz e pop, consegnandoci così un insieme di canzoni al tempo stesso fragili ed irruente. Every Kingdom ha un essenza bucolica, essenziale, un'album in fondo estivo ma nell'accezione più triste e malinconica, proprio come un tramonto che segna la fine del giorno, stendendo un velo morbido sugli affanni della giornata. Debussy diceva che non c’è niente di più musicale che un tramonto, e sono certo che anche Ben Howard la pensi allo stesso modo.

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JACK: The Last Shadow Puppets - Everything You've Come to Expect (2016)

Il miraggio californiano di una bassa cornice a quattro corsie, che da un lato affronta la costa frastagliata, dall’altro l’ombra delle raggianti palme, non poteva che estendere la sua morsa  estiva verso Malibu, fino alle porte di uno studio di registrazione col mitico identificativo di Shangri La. Qui, una cerniera di archi si scontra con l’oceano, lasciando nella risacca il riff principale di Aviation ad illuminarne il fondale. Così si svela al mondo Everything You’ve Come To Expect, album che per tutta la sua durata respira aria di mare, shakerando le ruggenti note color tramonto di certe serate di fine luglio con le rispettive e malinconiche epifanie del successivo agosto. Una teatralità tipicamente da estate europea, eclissatasi volontariamente nell’immaginario degli anni settanta e presente in spiaggia solo quando, sul tardi, ne può essere l’unica padrona, nel mentre i silenzi vengono colmati dal canto delle cicale e dal vento fra gli aranci. Everything You’ve Come To Expect quindi sogna, nella sua sfrontatezza, di diventar parte di un jet-set che non esiste più, al punto da ricalibrare i propri versi con la modulazione delle onde, come se dovesse suonare al suo meglio a bordo di un Aquarama.

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MV: Dua Lipa - Dua Lipa (2017)

Estate per la sottoscritta significa leggerezza: leggerezza di spirito, leggerezza negli outfit e leggerezza negli ascolti. Nonostante gli sciami di tonnellate di zanzare in Pianura Padana, l'umidità che raggiunge percentuali da capogiro e la pressione bassa, la bella stagione mi porta una sorta di carica perpetura e un'innata serenità, d'estate io sto particolarmente bene, sarà che ci sono più ore di luce, le ferie si avvicinano, il numero di spritz aumenta in maniera vertiginosa, e questa mia leggerezza ha bisogno di una propria degna colonna sonora. Perciò in questo periodo, insieme alla malinconia grigio piombo milanese e gli skinny jeans, metto momentariamente nell'armadio anche i National e Nick Cave (non vogliatemene, sapete che rimanete sempre il mio porto sicuro, VVB) e mi do a sonorità più spensierate, allegre e energiche come quelle del debut di Dua Lipa.

Ho un'adorazione sfrenata per la cantante inglese, quello che inizialmente sembrava essere solo un guilty pleasure si è presto trasformato in una stima viscerale e un ascolto costante: quello di Dua Lipa è un pop travolgente e potente, un sound squisitamente prodotto nel minimo dettagliato, schietto e diretto, un po' sbruffone e un po' sfacciato, che parla all'orecchio delle ventenni e che si presta alla perfezione ad essere il sound dell'estate. Provate a tirare giù i finestrini della macchina dei vostri amici, il cielo arancione attorno a voi, in riproduzione New Rules e voi cantate tutti insieme: «One: Don't pick up the phone / You know he's only callin' 'cause he's drunk and alone» mentre la brezza accarezza le spalle nude, le cicale rumoreggiano all'esterno e l'atmosfera vi infonde una sensazione di benessere in tutto il corpo e vi stampa il sorriso sulle labbra. Oppure pensate a quelle volte in cui vi siete preparate per uscire con la nuova cottarella del momento ("flirt estivo o qualcosa di più serio?" pensi), le farfalle nello stomaco si fanno prepotentemente sentire, in cuffia non può che esserci Blow Your Mind o IDGAF, la carica giusta per affrontare la situazione e sentirsi in cima al mondo; poi rossetto, mascare, il vestitino appena preso e via a far le ore piccole e non accorgersene. Se non ne potete più dei ritmi reaggeton che ci assillano durante l'estate, Dua Lipa rappresenta l'alternativa ideale, che vogliate passare la notte della vostra vita andando a ballare in spiaggia o che stiate bellamente oziando sotto l'ombrellone e vogliate staccare la spina, il suo primo disco vi permetterà di farlo, ha l'energia di questa stagione, i toni caldi e le molteplici sfaccettature dell'estate.

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MARZIA: Carl Brave x Franco 126 - Polaroid (2017)

Da diversi anni ormai (da quando ho finito le superiori, più o meno)  per me estate non è più sinonimo di mare, gelati, cazzeggio con gli amici e spensieratezza. Nelle ultime estati mi sono sempre fermata in città (fumose, afose, soffocanti città) alle prese con la sessione estiva e/o con lavoretti massacranti. Il mio immaginario di estate, quindi, più che a quello cantato da Tommaso Paradiso in Riccione, si avvicina di più a quello urbano e afoso evocato da Franco 126 x Carl Brave nell'album d'esordio Polaroid, del 2017. L'asfalto rovente che brucia le suole, le chitarre in piazza che suonano sempre la stessa canzone, le sigarette a colazione, i tram affollati e sudati, le birre, gli spritz e le noccioline...
Ricordo calde serate di luglio, dopo aver staccato dal turno di lavoro, passate a sfrecciare tra le auto in coda al semaforo, verso una meritata nottata alcolica, con il mio migliore amico, in due su una bici, cantando a squarciagola stonatamente «e c'avrei scommesso su noi due, una vita intera sempre in due, -eh- invece ognuno per le sueee, a-aah» con le voci di Carlo e Franco che uscivano dal gracchiante altoparlante del telefono.

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GRETA: Vampire Weekend - Father of the Bride (2019)

Father of the Bride è l'album che ha accompagnato la mia estate del 2019. Parliamo di un disco che si è fatto attendere, ma che alla fine è arrivato a maggio dello scorso anno. L'ho ascoltato praticamente in loop per i tre mesi successivi. Mi piaceva mettermi al sole e lasciar scorrere le parole «Skin under sun/ Summer breeze, summer break/ Oh, I was young then/ Hadn't made my mistake» anche se nello specifico non avevo chissà quale errore da rimproverarmi, quindi non potevo pensare «oddio ma parla di me». Questo non significa che tutte le canzoni dell'album contengano riferimenti all'estate o abbiano un mood particolarmente estivo – qualcuna ce l'ha, ma non è una costante. Credo sia più una questione personale. È una cosa piuttosto comune, ma mi capita spesso di associare le canzoni a un momento della mia vita. E adesso ogni volta che casualmente parte Unbearably Whitenon è poi così difficile, l'avevo cacciata più o meno in ogni playlist quando è uscita – ripenso automaticamente alla scorsa estate. Ripenso a quella sera di luglio in cui ho visto per la prima volta dal vivo i Vampire Weekend dopo averli aspettati per anni. Uno dei concerti più belli a cui abbia mai assistito. Ripenso a come ho ascoltato ovunque quella canzone, in viaggio, in vacanza, a casa con il mio giradischi… Ripenso alla scorsa estate, punto.
Le canzoni di Father of the Bride hanno il potere di trasportarmi nell'estate del 2019. E siccome è stata bella, va bene così.

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SILVIA: Kacey Musgraves - Golden Hour (2018)

La brezza che accompagna il lento calare del sole, un ultimo bagno sull’acqua rosso fuoco. Una costa occidentale può offrire lo scenario giusto per mettere play sul quarto album di Kacey Musgraves sulla sabbia. Basta un semplice ascolto con gli occhi chiusi e i suoni sembrano replicare la natura: strimpellate di acustica che riproducono l’andamento delle onde, vocoder simili a dei richiami di lontane creature marine, banjo a ritmi scoppiettanti come i falò accesi nel buio.
Un pop nostalgico, quasi da inizio anni Duemila, svecchia - è incredibile - i tratti rustici della cantautrice texana, che in queste tracce trascura il country per la disco.
La voce melliflua di Musgraves, perfetta più in questa veste che in quella precedente, che rischiava di relegarla a cantante per matrimoni in saloon, racconta bilanci e confessioni, mentre si concede un ballo liberatore. Un album di una donna che non teme di mostrare la sua fragilità, che cerca di recuperare le poche forze per andare avanti nel mondo, una vita per nulla divertente come i film spaghetti western, dove i buoni vincono sempre.
Golden Hour è un disco della maturità che non è passato inosservato alla critica: ai Grammy Award 2019 la cantautrice ha vinto tutte le quattro nomination ricevute, tra le quali la più importante della kermesse: Album of the Year.

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SAMUELE: Blink-182 - Enema of the State (1999)

Il pop-punk ha rappresentato la colonna sonora della mia adolescenza e soprattutto delle estati con gli amici nel paesino di provincia, passate sognando mega party in piscina come nei video delle canzoni. Avrei potuto citare numerosi dischi, ho scelto Enema of the State dei Blink-182 perché è quello che meglio rappresenta quelle sensazioni agrodolci, a metà strada tra l’euforia dei na na na urlati a squarciagola in All the Small Things e la malinconia suscitata dal testo di Adam’s Song, che ancora oggi si provano con nostalgia riascoltandolo. Mi tornano in mente i miei sedici anni, i pomeriggi in spiaggia, le sere d’estate passate al buio su un prato a chiacchierare del nulla, con una birra in mano e gli occhi rivolti al cielo in cerca di una stella cadente. Sì, c’erano i tormentoni musicali del periodo, ma noi nati a metà degli anni Novanta eravamo e siamo ancora legati a quel mondo e a quelle atmosfere di fine secolo, vissute inevitabilmente di riflesso ed in differita di qualche anno perché troppo piccoli allora. Ormai giunto alla soglia dei venticinque anni, mi immedesimo a pieno nell’inadeguatezza espressa dalle parole di Mark Hoppus, perché quando penso all’estate sento ancora in sottofondo le chitarre distorte e mi rendo conto di emozionarmi come un adolescente a dispetto della mia età adulta: «What’s my age again?»

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GIOVANNI: Nic Cester - Sugar Rush (2017)

Estate 2019. Sono seduto sul pullman, di ritorno dalle vacanze, per Roma. Il 20 luglio dell'anno scorso, infatti, mi aspettavano i Muse allo Stadio Olimpico. Qualche mese prima lessi i due nomi delle band d'apertura: Mini Mansions e Nic Cester & The Milano Elettrica. Sono sobbalzato sulla sedia: i primi non li conoscevo poi fin troppo bene, il secondo artista non lo avevo mai sentito nominare. Ritornando a quel 19 luglio, a quel pullman nel quale mancava anche l'aria condizionata, posso dire di aver fatto la conoscenza del mio artista dell'estate mentre stavo andando ad ascoltare la mia band preferita. Un binomio pressoché perfetto. Proprio quel giorno, per 37 minuti e 58 secondi, le mie orecchie hanno fatto visita all'Olimpo della musica e si sono fatte cullare dal capolavoro Sugar Rush: Eyes On The Horizon, poi Psichebello, God Knows (la mia preferita di tutto il (capo)lavoro) per chiudere poi con l'energica Walk On. Nemmeno 24 ore dopo ero a cantare all'Olimpico assieme a Nic le sue canzoni, dopo averle imparate speditamente in un lasso di tempo molto esiguo. Un appunto lo fece mio padre, che quel Nic Cester lo conosceva come frontman dei Jet: «Ma questo io l'ho già sentito con te. Era ad un'altra apertura: Kasabian 2017». Aveva ragione. Lì, all'Ippodromo delle Capannelle, vedemmo di sfuggita Nic per la prima volta. Da quel momento non è passato giorno che non ascoltassi i suoi pezzi, che dal vivo sono ancora più coinvolgenti che in studio. Mi sono tolto pure uno sfizio: inviargli un video durante la quarantena che poi ha caricato come cover su Instagram assieme a tanti altri fan. Un insegnante di cosa vuol dire essere artisti a tutto tondo. Scrivo queste parole guardando il mare, proprio come la prima volta che schiacciai il tasto play su Spotify per far partire Sugar Rush.
Nic Cester, una scoperta che ha cambiato la prospettiva alla mia estate passata, presente e a quelle che verranno. Grazie.

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NAOMI: Thegiornalisti - Fuoricampo (2014)

Fregandomene (quasi) nulla delle diatribe che hanno coinvolto Tommaso Paradiso & Co di recente vi parlo dell’album che, per me, rappresenta i Thegiornalisti, o almeno la loro versione migliore.
L’estate è sempre stata la mia stagione fluida, libera, quella in cui si passa velocemente di canzone in canzone, di artista in artista, di genere in genere. Poi, però, ho pensato al mare. E pensando al mare riaffiora una canzone in particolare nella mia testa che fa:

Ragazze, vi prego, non lisciatevi i capelli
Lasciateli curare dal vento dalla salsedine del mare
Perché è lì che ci spogliamo bene e ci vestiamo male
Perché è lì che mostri la tua carne, la tua carne fresca
Perché è lì che siamo tutti uguali coi costumi a fiori
Perché è lì da cui veniamo tutti e ci vogliam tornare

Certo, l’anno di Mare Balotelli era il 2014, la mia estate in particolare era quella del 2016, la prima dopo il mio trasferimento a Roma, dopo l’avvento prepotente dell’indie italiano (e romano in particolare) che aveva tanto accompagnato le mie giornate nella grande città e che romanticamente provavo a spalmare pure nelle mie giornate al mare in Sicilia, posto da cui, appunto, vengo e in cui volevo tornare. Fuoricampo mi fa pensare al bianco delle case e all’azzurro di ogni cosa all’aria aperta, è l’equivalente sonoro delle grandi colazioni col latte di mandorla consumate di fretta, delle giornate piene di sudore e salsedine, del traffico prima di arrivare in spiaggia, di una leggerezza apparente che proviamo solo in estate, quando tutto è sospeso e quindi siamo autorizzati a prendere la vita così com’è.

Che siamo fuori si sa
Ma quanta bellezza, quanta promiscuità
Intorno a una sedia, un divano rosso
Sulle ali del sesso con il fiato addosso
Ci parliamo sul collo, vicino all'orecchio
Siamo dieci ma il gusto ci sembra lo stesso
Con le facce distese, l'espressione molesta
Si tira la corda
Le gambe abbronzate, le tette sudate, le mani sul culo
Gli sguardi che crepano persino il muro

Ecco, Promiscuità è forse la chiave dell’essenza estiva, la più fisica e spontanea. Socializzare è una riflessione a voce alta che diventa un invito:

Tu pensa a socializzare, a prender parte agli eventi
Non ti tirare indietro con le mani sui fianchi
E se ancora non ti senti pronto a fare parte del tempo
Pensa che è la nostra storia dall'inizio dei tempi
 

E da qui fino alla Fine dell’estate «E delle chiacchiere nel bar/ E delle occhiate dentro il bar», forse la parte preferita per alcuni di voi.  E poi, nel caso in cui non lo sapeste, la frase «la mia malinconia è tutta colpa tua e di qualche film anni ottanta» è figlia di questa canzone e di questo album.

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SELENE: Fast Animals And Slow Kids - Hỳbris (2013)

L’estate è un po’ come il tiramisù fatto in casa: lo aspetti sognante ma quando arriva finisce sempre troppo presto; ed eccomi a fine agosto a sentire quasi il bisogno di tornare all’ordinarietà per non navigare troppo in quella strana perdizione tra salsedine, canti sfrenati e uscite last-minute.

Sarà per quella irresistibile fregatura che sono le piattaforme streaming, ma non sono per niente brava con i dischi; vorrei poter citare una canzone diversa per ogni sensazione estiva: tra la leggerezza di Starry Night by Peggy Gou, la libertà dei Negrita in Rotolando verso Sud e la felicità tropicale di Me Gustas Tú, ho trovato nascosto nelle scartoffie nel cruscotto della fedele Panda il mio irrinunciabile Hybris dei Fast Animals and Slow Kids. Non propriamente spensierato, mi ha tenuto compagnia dalla sua uscita nel 2013, vissuto sottopalco e non ma sempre a voce alta nei momenti più goliardici o più nostalgici; come canta Lana del Rey in Summertime Sadness forse a volte vi è quel velo di amarezza nella stagione più calda, che ti riporta all’adolescenza e al vortice di emozioni in cui ti contorcevi.
Per me i Fask sono sinonimo di festival estivi e di quella sensazione catartica ma agrodolce della bella stagione, persa tra Combattere per l’incertezza di settembre, prendere consapevolezza che no, Non mi cercherai d’inverno e fregartene brindando felice al presente.

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MARTINA: Phoenix - Ti Amo (2017)

L'estate è la stagione che odio di più. Caldo, zanzare, più ore di luce... Non capisco proprio come si possa amare un inferno simile. La canzone che mi fa pensare di più all'estate è sempre stata Wasted, quinta traccia di For crying out loud dei Kasabian. Nonostante il chiaro riferimento ad un cuore spezzato in questa stagione, il sound non è dei più estivi. C'è bisogno di qualcosa di fresco e spensierato... Cosa fare allora quando si vuole entrare in questo mood?

Io attingo good vibes da Ti amo, l'ultimo album in studio dei Phoenix, con il quale la band francese ha voluto omaggiare le culture europee. Frasi in italiano, francese e spagnolo rendono il disco originale e variegato, alternandosi alla lingua franca nella quale canta di solito Thomas Mars, ovvero l'inglese. Pubblicato nell'estate in cui ho fatto la cameriera part time, Ti Amo è stato (e rimane tutt'ora) la colonna sonora perfetta per le giornate torride, nelle quali è d'obbligo mangiare un melted gelato. Un sentimento di allegria mista a malinconia, magari scaturito dalla vista di un paesaggio che toglie il fiato o dal ritorno alla terra natìa, è reso perfettamente da Tuttifrutti. Allo stesso modo, il brano Telefono mi fa pensare alle amicizie e alle relazioni a distanza, all'attesa che dura un anno per rivedersi durante le ferie.
L'italo-disco dei Phoenix per me rappresenta un ritorno ed una partenza contemporaneamente... una nostalgia che guarda al futuro, se mi concedete questo ossimoro.

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JACOPO: Catfish and The Bottlemen - The Balcony

Che ci vogliamo fare, il classico feel good indie rock, come lo definirebbe una playlist autogenerata, è uno dei generi musicali estivi per eccellenza, forse anche per il collegamento estate = stagione dei festival. Rientrano prepotentemente in questa categoria i ragazzi di Llanduno conosciuti come Catfish and The Bottlemen, ormai figure importanti nella scena. Mai discostatisi dallo spensierato rock alternativo britannico più amato dai fan di Strokes ed Arctic Monkeys, i loro pezzi suonano come un viaggio in macchina in una calda giornata di metà luglio, durante il quale sei tormentato da problemi sentimentali ma comunque felice.

Probabilmente, il loro lavoro più apprezzato resta ancora The Balcony, il loro album di debutto del 2014. Tracce catchy, veloci e subito memorizzabili per improvvisati sing along, compongono un disco assolutamente divertente, da ascoltare possibilmente in una giornata senza rovesci. 11 brani che raccontano i problemi, i dubbi, le paure e la cronaca della vita di giovani ragazzi gallesi, pronti per essere celebrati dai fan dell'indie rock britannico, che vive in simbiosi con i più importanti festival britannici ed europei, dove i Catfish già dono diventati pezzi grossi.

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