Gli esseri umani non nascono sempre il giorno in cui le loro madri li danno alla luce, ma la vita li costringe ancora molte volte a partorirsi da sé
Tratta da L’amore ai tempi del colera di Gabriel García Márquez, questa frase decontestualizzata può assumere numerosi significati, uno dei quali è quello che il sottoscritto predilige: qualsiasi forma d’arte o creazione, è una nuova nascita per l’autore, un figlio che cresce e si evolve insieme al mondo che lo circonda. Il vantaggio di un disco, un libro o un quadro, risiede nel fatto che non conosce morte, può sbiadire, divenire meno rilevante per via della società che è cambiata, ma avrà sempre la possibilità, grazie a congiunzioni e contesti favorevoli, di tornare a essere importante, di essere riletto e rivisto da un nuovo punto di vista.
Questa rubrica nasce con l’intento di ricordare, riscoprire, o perché no ascoltare per la prima volta, album che hanno lasciato un segno indelebile quando sono stati rilasciati e che ancora oggi in qualche modo risultano attuali. Come sceglierli? Di solito si stilano a inizio anno delle liste che preannunciano gli anniversari e le ricorrenze, ma inevitabilmente esse sono costrette a tagliare fuori qualche elemento a causa della troppa lunghezza; per questo motivo la mia scelta si è riversata su una rubrica mensile che possa ridurre il numero delle esclusioni. Il criterio adottato è quello di festeggiare i compleanni «tondi» con cinque sezioni (50, 40, 30, 20 e 10 anni) dove si parlerà delle principali uscite mensili di quell’anno, approfondendo nello specifico un disco tra quelli citati. Trovandoci nel 2021 gli anni di riferimento saranno 1971, 1981, 1991, 2001 e 2011.
Happy B-day Record nasce dal presupposto che uno dei piaceri umani derivi dalla scoperta e dalla ripetizione. Come avviene per i remake o meglio ancora per gli adattamenti: la riproposizione con differenza. Vi terrà compagnia ogni mese e, se vorrete, potrete trasformarla in una playlist attingendo da tutti gli album citati.
Happy B-day 50 (aprile 1971)
L’inizio degli anni Settanta è fortemente influenzato dalla rivoluzione controculturale esplosa nel decennio precedente: l’uomo è sbarcato sulla luna e gli USA hanno intrapreso la loro seconda guerra nell’arco di poco tempo, prima la Corea, ora il Vietnam. Se c’è un genere musicale che più di ogni altro in quel periodo ha rappresentato la controcultura e il fronte antibellico, quello è il folk/country. Il 7 aprile 1971 esce 4 Way Street, album live di Crosby, Stills, Nash e Young che si apre con Chicago, brano che parla della vicenda dei Chicago Seven tornata sotto i riflettori quest’anno grazie alla trasposizione cinematografica realizzata da Aaron Sorkin, fresca candidata agli Oscar. Il 12 aprile Stevie Wonder pubblica uno dei suoi album più politici Where I’m coming from. Tuttavia, è il rock a farla da padrone e in questo senso l’aprile del 1971 ci regala due pietre miliari tra le quali è stata durissima scegliere.
Il 19 aprile compirà cinquant’anni L.A. Woman dei The Doors, disco che tra l’altro è ricordato anche per essere l’ultimo con la voce di Jim Morrison. Il cambio di stile lasciò sconcertato persino il producer storico della band Paul Rothchild che abbandonò il progetto in itinere definendo la svolta blues/commerciale come «musica da cocktail». La leggenda più volte smentita, ma comunque affascinante, narra che a far traboccare il vaso sia stata l’ultima traccia del disco: Riders on the Storm. L’album scelto per rappresentare la sezione «cinquantenni» uscì quattro giorni dopo.
Sticky Fingers – The Rolling Stones (23 aprile 1971)
L’aprile del 1971 è a tutti gli effetti il mese degli Stones: firmano un nuovo contratto con la Atlantic, inaugurano la loro etichetta, iniziano a utilizzare il fortunatissimo logo della linguaccia e pubblicano il disco che li consacra definitivamente. Sticky Fingers, già dalla copertina con tanto di cerniera apribile realizzata da Andy Wharol e considerata una delle cover più iconiche della storia della musica, rompe qualsiasi barriera sdoganando ancora di più le tematiche erotiche. La prima traccia Brown Sugar è la più emblematica per l’ambiguità del testo che può essere interpretato in senso sessuale o come un riferimento al particolare tipo di eroina che porta lo stesso nome. Il disco è un compendio di tutti i caratteri essenziali degli Stones, si passa dal rock classico di Sway e Can’t You Hear Me Knocking, quest’ultima sorprendente per la durata e per le influenze jazz che la fanno sembrare una jam, al country di Wild Horses, decisamente uno dei pezzi migliori del disco, passando per il blues. Fare una selezione dei brani risulta impossibile, dato che tutti o quasi rientrano tra i più grandi successi della band, le uniche eccezioni sono rappresentate dalla ballad finale Moonlight Male e soprattutto da Dead Flowers, quest’ultima tornata in auge negli anni Novanta grazie alla cover di Van Zandt utilizzata nel finale del celebre film dei fratelli Coen Il Grande Lebowski.
Happy B-day 40 (aprile 1981)
L’aprile del 1981 è stato un mese triste per gli amanti del progressive rock dato l’improvviso annuncio dello scioglimento degli Yes. Fortunatamente torneranno dopo appena due anni. I fan dell’R&B, invece, hanno il privilegio di ascoltare uno degli album più importanti del genere, Street Songs (7 aprile) di Rick James, rimasto al top delle classifiche grazie al successo del singolo Superfreak. In Italia esce Siamo solo noi di Vasco Rossi e Lucio Dalla pubblica il suo mini-album Q disc. Nel campo del rock internazionale i Van Halen pubblicano il loro quarto album Fair Warning (29 aprile), ma è nel mondo del post-punk che si hanno il maggior numero di pubblicazioni: la band inglese The Fall pubblica l’EP Slates (27 aprile), disco di sei tracce caratterizzato da testi polemici e rabbiosi e da un’alternanza perfetta di sperimentalismo e classicità A tratti cupo e paranoico, ma allo stesso tempo ritmicamente irresistibile. L’album scelto per questa categoria è una particolare declinazione dello stesso genere musicale.
Faith – The Cure (10 aprile 1981)
Il terzo album dei The Cure è un disco complesso, oscuro e che ha estremamente bisogno di una grande componente empatica per essere compreso e goduto al meglio. A suo tempo divise la critica ma ottenne un buon riscontro commerciale, i suoni lamentosi e il mood funereo ne rappresentavano il pregio da lodare o il difetto dal quale partire per smontare il disco. Le linee di ispirazione sono due, da un lato il post-punk, dall’altro il gothic che da qui in poi diverrà il marchio di fabbrica della band. Doubt e soprattutto Primary, primo singolo estratto, risentono fortemente dell’influenza dei Joy Division: quest’ultimo in origine era dedicato proprio a Ian Curtis, ma a seguito del suo improvviso suicidio, vennero cambiati testo e titolo.
La componente gotica del disco la si nota, invece, nei temi trattati e nell’utilizzo preponderante del synth in alcune tracce. The Funeral Party è l’emblema di questo aspetto, canzone scritta da Robert Smith alla tastiera per ricordare la morte dei suoi nonni, idealmente descritti mentre si tengono per mano il giorno del loro funerale. Other Voices è un brano quasi strumentale, dove le parole del cantato risultano quasi indistinguibili nella foschia dei suoni. Nebbia che avvolge tutte le tracce dell’album, così come ne è avvolta la cattedrale in copertina: è la continua ricerca della fede il filo conduttore dell’intero disco e la prima e l’ultima traccia ne delimitano i confini. The Holy Hour mescola il post-punk del riff ossessivo del basso con il carattere gotico del testo ambientato in una chiesa, i quasi sette minuti di Faith invece sono l’ultima invocazione di speranza, non meno dolorosa e malinconica. Faith è un album troppo spesso sottovalutato all’interno della discografia dei The Cure e mai come in questo periodo storico in cui sta risorgendo il genere post-punk, dalla Gran Bretagna soprattutto, è necessario riascoltarlo per tornarne alle radici.
Happy B-day 30 (aprile 1991)
Il quarto mese del 1991 è molto più importante per le premesse che offre piuttosto che per quanto in effetti proponga, eccezion fatta per due dischi in particolare. Il 6 aprile c’è l’esordio pop, poi rinnegato e oggi introvabile in ogni qualsivoglia piattaforma, di Alanis Morrissette, Alanis. Il 17 aprile i Nirvana suonano per la prima volta una demo di Smell Like a Teen Spirit e il 30 dello stesso mese nasce Travis Scott. Qua si concludono le premesse di tre grandi carriere.
Il resto è riassumibile in due album, il primo dei quali, in ordine cronologico e non di importanza, è Mama Said (2 aprile) di Lenny Kravitz. Il secondo disco del rocker americano è un conglomerato di tutte le sue influenze musicali e rispetto all’esordio 1989 appare molto più vario anche grazie alla produzione in stile anni Novanta. Il riferimento in questo senso non può che essere al fortunatissimo singolo It Ain’t Over ‘Til It’s Over, divenuto una delle colonne sonore di quegli anni. Tra le altre sono da segnalare le prime due canzoni, Fields of Joy e Always on the Run, quest’ultima scritta per i Guns da Slash e poi donata a Lenny.
Blue Lines – Massive Attack (8 aprile 1991)
Quando si parla dei Massive Attack si fa spesso uso del termine «collettivo musicale» e ciò deriva dal fatto che accanto ai tre membri fondatori del gruppo (oggi divenuto un duo) si sono alternati nel corso degli anni svariati artisti. Blue Lines è il disco d’esordio della band di Bristol e può essere descritto attraverso uno dei generi musicali cardine degli anni Novanta che lo stesso debut ha in qualche modo creato e definito: il Trip Hop. Il nome è un chiaro riferimento al ben più noto Hip Pop che qui è stravolto attraverso beat rallentati, un utilizzo saltuario di chitarra e basso, suoni ovattati ed elettronici e testi che il più delle volte non sono rappati ma cantati.
Sono i ritornelli a farla da padrone in questo lavoro d’esordio, affidati nella maggior parte dei casi alla radiofonica voce di Shara Nelson, indimenticabile nell’opening track Safe from Harm e in quella che è a tutti gli effetti considerata il manifesto del Trip Hop e uno dei capolavori della band, Unfinished Sympathy: l’atmosfera da viaggio mentale qui è ricreata in maniera geniale grazie alla presenza degli archi e del pianoforte. One Love, titolo che procura reminiscenze inequivocabili, invece è un brano crossover che si inserisce nel genere reggae, interpretato dalla voce di Horace Andy, altro grande protagonista del disco. Stesso discorso vale per Five Man Army, traccia nella quale le strofe sono prevalentemente rap. Ultima menzione speciale per la canzone conclusiva: Hymn of the Big Wheel. Il sound sintetico e il beat minimale contribuiscono alla creazione di quella nostalgia ambigua per qualcosa che non si è mai vissuto, il resto lo fanno le parole del testo che descrivono il ciclo infinito della vita alternando immagini dello spazio e riferimenti alla fisica e all’astronomia. A cantarle è il solito Horace Andy, a pronunciarle potrebbe essere idealmente un padre nei confronti del figlio mentre sono entrambi con i nasi all’insù e lo sguardo rivolto verso il cielo notturno.
Happy B-day 20 (aprile 2001)
Il 2001 è stato l’anno che ha visto l’affermarsi di numerosi artisti. Se nel campo del pop la scena è dominata letteralmente da Janet Jackson, nel rock, comprensivo di tutti i suoi sottogeneri, la varietà è incredibile.
All’inizio di aprile in Germania esce Mutter (2 aprile), il terzo album dei Rammstein considerato uno dei dischi più importanti dell’industrial metal e contenente i singoli di successo Sonne e Ich Will. Il 24 i Rise Against pubblicano The Unraveling, disco d’esordio che si pone nella traiettoria pop-punk del periodo adottando, però, uno stile più rabbioso rispetto a quello scanzonato che invece era comune per chi approcciasse il genere in quegli anni. Da segnalare Six Ways ‘Til Sunday ed Everchanging.
L’attenzione maggiore nell’aprile del 2001 era però focalizzata su una band britpop che secondo molti, con l'uscita del loro disco numero tre, avrebbe dovuto assumere il ruolo di terzo incomodo nell’interminabile diatriba tra Oasis e Blur. L'album degli Stereophonics fu accompagnato da una campagna pubblicitaria non indifferente che generò l’hype di cui poi lo stesso sarebbe rimasto vittima. Just Enough Education to Perform (11 aprile) venne massacrato da gran parte della critica nonostante al suo interno contenesse comunque delle hit che gli garantirono un grande successo commerciale. Tra queste Mr. Writer e soprattutto Have a Nice Day, divenuta ancora più celebre per essere stata utilizzata per anni negli spot dell’Allianz.
Rock Action – Mogwai (30 aprile 2001)
I Mogwai sono una band scozzese nata negli anni Novanta, ancora oggi in piena attività come testimonia il loro ultimo disco uscito di recente, esponente di una forma criptica di post-rock. Il carattere strumentale della maggior parte dei suoi lavori ha portato il gruppo a essere gettonatissimo per la produzione di colonne sonore.
Rock Action è una tappa importante della loro discografia per svariati motivi dove vengono rimescolate le carte e la band sembra aprirsi a nuove possibilità. La prima di queste riguarda l’aspetto melodico delle composizioni, per questo meno oscure e più orecchiabili, al punto da presentare in alcuni casi delle parti cantate. Take Me Somewhere Nice rispetta i canoni di una canzone tradizionale alternative rock e vede come ospite e voce principale David Pajo, fondatore e chitarrista degli Slint. Sulla stessa linea d’onda si trovano Dial : Revenge, traccia semi-acustica in lingua gallese sussurrata flebilmente dal frontman dei Super Furry Animals Gruff Rhys, e l’outro Secret Pint, brano nel quale dominano il pianoforte, gli archi e un canto sommesso vicino al parlato.
L’altro grande segno distintivo del terzo album dei Mogwai, probabilmente il più importante, è l’introduzione dell’elettronica, soprattutto attraverso l’utilizzo di sintetizzatori strumentali e vocali. La prima traccia Sine Wave ne è una dimostrazione palese: un crescendo che col passare dei minuti aumenta il coefficiente emotivo del pezzo, abbinato ad un uso strategico degli effetti come nel caso delle voci nebulose e incomprensibili nel punto di massimo pathos. Un discorso a parte merita Two Rights Make One Wrong, brano più lungo del disco nel quale si possono ritrovare tutti gli stratagemmi presenti nelle altre tracce. In origine era intitolato Banjo in quanto dal sesto minuto subentra proprio lo strumento a cinque corde di origine africana divenuto tipico nella musica folk americana. Se volete farvi un’idea di come suoni Rock Action vi basterà ascoltare questa traccia e ne avrete un assaggio più che soddisfacente.
Happy B-day 10 (aprile 2011)
Il 3 aprile del 2011 gli LCD Soundsystem si esibivano per quasi quattro ore al Madison Square Garden di New York in quello che avrebbe dovuto essere il loro concerto d’addio. Torneranno a sorpresa nel 2015. Una decina di giorni dopo Childish Gambino esordiva con Camp (15 aprile), un racconto introspettivo in tredici tracce di un campo estivo, e dava inizio al sodalizio con Ludwig Göransson, produttore premio Oscar oggi consacrato come uno dei più importanti del mondo, soprattutto in ambito cinematografico (Black Panther e Tenet per citarne due). Tra le tracce migliori Bonfire e Hold You Down.
Rimangono altri due dischi da nominare prima di svelare il prescelto della categoria. Il primo è The Fall (19 aprile) dei Gorillaz, album interamente registrato da Damon Albarn sul proprio iPad e per questo anche uno dei più sperimentali della band animata. L’altro è il secondo disco del gruppo indie rock britannico The Wombats, The Wombats Proudly Presents: This Modern Glitch (22 aprile), disco che ha bissato il grande successo del debutto e che dava seguito alla commistione di pop elettronico e rock iniziata con il debut: Jump Into the Fog e Techno Fan due tra le canzoni migliori.
Wasting Light – Foo Fighters (12 aprile 2011)
Vincitore del Grammy nella categoria album rock e nominato per l’ambito premio di album dell’anno, Wasting Light non è solo uno dei dischi più importanti pubblicati nell’aprile del 2011, ma uno dei migliori dell’intera annata. Il settimo lavoro, giunto dopo quattro anni di silenzio, è per i Foo Fighters un ritorno alle origini, anche per via del reintegro nella formazione del chitarrista Pat Smear. Registrato interamente in analogico, è un disco energico che unisce l’hard rock, il grunge e in parte anche il metal.
La prima traccia Bridge Burning è un’introduzione perfetta in questo senso, capace di settare immediatamente il mood che prevarrà da lì all’ultima traccia. Se il singolo Rope si mantiene nella comfort zone pur offrendo un’incredibile prova delle abilità del batterista Taylor Hawkins, la sorpresa principale è costituita da White Limo: brano metal a tutti gli effetti con le strofe in scream.
In Arlandria Dave Grohl fa riferimento al proprio passato giovanile in Virginia, metaforicamente rappresentato da una relazione d’amore/amicizia in crisi. Questo ritornello, insieme con quello di Back & Forth, è tra i più radiofonici e vicini al pop/rock. Discorso diverso, invece, per la stupenda These Days, canzone con influenze emo-punk sia nella musica, l’arpeggio iniziale lo testimonia, che nel testo. L'album si conclude con Walk, altro pezzo forte dell’intera discografia dei Foo Fighters. Scartato dal precedente Echoes, Silence, Patience & Grace, tratta il tema della rinascita e delle seconde opportunità costituendo la conclusione ideale del percorso a ritroso intrapreso dalla band ed incominciato con la decisione di registrare il disco alla vecchia maniera.
I'm learnin' to walk again
I believe I've waited long enough