Quante volte vi è capitato di guardare un film americano ambientato nel solito quartiere di periferia, magari dove i protagonisti erano studenti del liceo nel quale la banale cheerleader super fica aspetta con ansia nella sua cameretta che il capitano della squadra di baseball si faccia vivo alla sua finestra arrampicandosi sull’albero del giardino? Beh, a me troppe volte. E la scena del barbecue la domenica dove si invitano tutti i residenti del quartiere? Vogliamo parlarne? Ammetto che anche io da ragazzina ho sperato che il mio vicinato fosse così amichevole e organizzasse una bella grigliatina di carne nel giardino sul retro. Ma vi siete mai chiesti se quella realtà che i registi americani ci hanno sempre descritto fosse vera oppure frutto di anni e anni di stereotipi costruiti su quel modello di vita?
Quando si parla di periferia il mio animo da neo laureata in urbanistica cerca sempre di emergere, perché è un tema molto complesso e ovviamente non facile da sbrigliare in un solo articolo dato che sono migliaia gli autori, i sociologi, gli architetti che nel corso del tempo hanno cercato di raccontare e studiare questo modello urbano. C’è da dire che la periferia americana, ovvero il “sobborgo” è un’ideale completamente diverso da quello europeo e se si vuole raccontarlo dobbiamo toglierci dalla testa l’immagine delle campagne inglesi o francesi, della Pianura Padana o della città diffusa veneta.
Parlare di sobborghi americani è molto più facile rispetto a discutere di quelli europei, perché è un modello abitativo molto più recente. Nasce con la diffusione dell’urban sprawl, ovvero una forma estensiva e non pianificata di sviluppo, un tipo di insediamento a bassa densità, che intercala sequenze di villette unifamiliari con giardino alle grandi concentrazioni commerciali negli snodi della grande viabilità extraurbana. Con la diffusione dell’automobile questi quartieri risultarono agli occhi delle famiglie che vivevano in concentrate e inquinate grandi città una vera e propria via di fuga. Tra gli effetti di tale fenomeno, oltre alla forzata dipendenza dall’automobile, si legge la riduzione degli spazi verdi, l’aumento del consumo del suolo, la lontananza dai servizi essenziali e dai mezzi di trasporto pubblico. Questo modello di vita, ormai consolidato nel contesto americano (e non solo), si porta dietro un enorme bagaglio letterario e filmico. Diversi infatti sono i film che palesemente o indirettamente ci hanno raccontato la vita all’interno di questi quartieri (Edward Mani Di Forbice, The Truman Show, American Beauty, tanto per citarne alcuni).
Ma non sono solo le immagini nei film o la bibliografia di autori importanti ad avere la possibilità di raccontare un modello urbano specifico. Esistono, infatti, anche altre forme di arte, come la musica, che possono avvalersi del ruolo di “cantastorie urbani”. Basti pensare al rap, nato alla fine degli anni 70 negli Stati Uniti con l’obiettivo di mostrare e raccontare la vita all’interno dei ghetti delle grandi città del nuovo continente. Trovare canzoni che trattassero specificatamente questo tema non è stato semplice, ma è curioso capire come nella maggior parte dei casi gli autori vogliano raccontare la propria esperienza di vita, come se quei momenti avessero segnato in parte la carriera.
The Suburbs – Arcade Fire
La prima non poteva non essere quella che, a parer mio, è la canzone più iconica e rappresentativa di quel mondo americano che sto provando a descrivervi. The Suburbs, il terzo album in studio pubblicato nel 2010 dalla band americana, è sicuramente il disco più studiato e pensato dal gruppo nella loro intera carriera. L’opera si può definire, in tutto e per tutto, descrittiva: le periferie urbane evocate dal titolo sono quelle texane, vicino alla città di Huston, tanto che, durante una intervista, la band definì il risultato come Né una lettera d'amore né un atto d'accusa nei sobborghi: è una lettera dei sobborghi.
Il brano espone alcune delle tenebre e delle paure nascoste in un'infanzia apparentemente idilliaca e introduce alcuni dei temi degli album, tra cui la guerra, la giovinezza e la perdita dell'innocenza. I sobborghi, i ricordi e le immagini raccontate nei brani sono quindi quelle dell’infanzia, non solo del frontman del gruppo, Win Butler, ma anche quelle del vissuto di tutti gli altri componenti della band. La vita suburbana è il tema portante dell’intero disco, descritta non solo nel brano da me selezionato per voi, ma anche da altri pezzi, come per esempio in Sprawl, Modern Man ed in Suburban War, che vi invito a recuperare se ho solleticato la vostra curiosità.

Lemonworld - The National
Prima vi ho raccontato che il principale motivo della crescita e diffusione di questo modello urbano quasi “utopico” è il desiderio da parte di una fetta di popolazione (quella un po’ più borghese) di fuggire dal caos, dal disordine e dall’inquinamento delle metropoli. In effetti, questo pensiero non è così lontano da noi. Quante volte vi è capitato di incontrare persone che hanno deciso di allontanarsi dalle città in paesetti di provincia poco più distanti? Il ragionamento alla base è lo stesso: desiderare una casa più grande, con del verde attorno e la tranquillità che una grande città non può darti. Lemonworld rappresenta questo desiderio:
You and your sister live in a Lemonworld
Berninger ha spiegato cos'è un Lemonworld per The Quietus : «Un Lemonworld è un posto inventato, sexy, strano, un luogo dove poter fuggire dalla caotica New York». Il frontman si è immaginato una grande casa dove vivono due sorelle che indossano sempre costumi da bagno e bevono molto: un mondo divertente e utopico, proprio come i nostri sobborghi.

Little Guy From The Suburbs – FFS, (Franz Ferdinand and Sparks)
Con un titolo del genere e una band così grande ad interpretarlo questo brano non poteva proprio mancare. La canzone contribuisce a ricostruire il puzzle del sobborgo in tutti i suoi tasselli.
Come anche molti film ci hanno insegnato, la vita all’interno di questi quartieri non è sempre rose e fiori, anzi, dietro le quinte di questo teatrino si nascondono molteplici aspetti negativi. Uno di questi è rappresentato dal disagio adolescenziale, spesso costruito su momenti di solitudine. Sembrerà strano, ma per quanto l’ideale del sobborgo sia formato da un’ipotetica vita di quartiere, molti sociologi spiegano che è proprio questo aspetto comunitario a permettere al sobborgo di “autoescludersi” da tutto il resto, come se vivesse di vita propria, come se fosse sotto a una cupola. Pensate come questo possa incidere sui bambini e sui ragazzi, che si ritrovano a vivere la propria infanzia sempre con le stesse e poche persone, senza vivere a pieno ciò che sta oltre al proprio giardino o strada. Diversi i film che hanno descritto questo sentimento di disagio, ed anche gli FFS ci hanno provato, raccontando la storia di un ipotetico bulletto che crescendo nel sobborgo «learned to kill before the others». Parole dure, ma che fanno capire quanto questa vita possa segnarti fin da piccolo e incidere sul tuo futuro.

Suburban Smells - The Districts
Una canzone che amo molto, non solo per la grandezza della band che l’ha composta, ma soprattutto per il testo e il significato contenuto all’interno delle strofe. Il pezzo è ispirato ad un episodio specifico e realmente accaduto ovvero quando il cantante dei Disticts Rob Grote ha assistito ad una scena di bullismo durante una partita di baseball in cui la vittima era un bambino con difficoltà di apprendimento. Il frontman intraprese una lunga battaglia nel web a protezione del ragazzo e contro al bullismo ma quell’episodio servì a Rob per capire che la vita in una piccola città di periferia non faceva per lui. Il testo è un dipinto meraviglioso intriso di negatività, tristezza e delusione: delusione per quel mondo che l’ha cullato e cresciuto ma che non fa per lui, tanto che non riesce più a distinguere la sua casa rispetto alle altre quindici.
God gave us 16 homes on every street so we all
Pray at the dinner table, our sons are strong
And they are able, to laugh and watch
The retard dance
I'm sick of that suburban smell

1979 - The Smashing Pumpkins
Il brano, secondo singolo della band statunitense, cerca di raccontare alcuni aspetti molto complessi di una vita vissuta da ragazzi, dalle insicurezze, inquietudini e dei molteplici dubbi che frullano nelle loro teste immature. Anche il video mostra quel concetto di noia adolescenziale elaborato dal leader del gruppo Billy Corgan, fu girato in California ma con l’intento di inquadrare le periferie di Chicago. Il pezzo non vuole raccontare una storia lineare, ma si limita a descrivere ricordi sparsi adolescenziali, quando il frontman aveva circa diciott’anni. Billy dichiarò che a quell’età si sentiva bloccato in mezzo al nulla e nonostante la patente e un lavoro non poteva andare via a causa delle responsabilità legate alla scuola e alla famiglia. Anche in questo brano l’automobile assume un ruolo importante, come nel sobborgo in generale: senz’auto rimarrai bloccato lì per sempre perché i mezzi di trasporto non esistono. Dieci anni dopo essersi fermato a quel semaforo, il protagonista torna indietro e ripensa a tutto quello che sarebbe potuto accadere se avesse scelto diversamente alle sfide della sua vita.
Il testo non è stato scritto mettendosi nei panni di un diciottenne, il punto di vista rimane quello dell’uomo che ora è, 1979 non è altro, quindi, un suo addio/inno alla gioventù, raccontata con molta nostalgia. Nessuno ci può togliere il diritto di celebrare l’infanzia, in passato, e direi che gli Smashing Pumpkins ci sono riusciti alla grande!

New Slang – The Shins
Questa è una delle canzoni più famose degli Shins, band americana proveniente da Albuquerque, New Mexico, molto probabilmente perché è stata inclusa nella colonna sonora del film Garden State del 2004, con Zach Braff (quello di Scrubs per intenderci) e Natalie Portman.
In maniera indiretta ci vuole raccontare del sentimento di isolamento che si prova a vivere in questi quartieri, come ci si sente a rimanere bloccati per sempre in una piccola città noiosa, («Gold teeth and a curse for this town»), racconta di quell'amarezza e quella rabbia che sono in qualche modo attenuate da un'apatia stanca: tanto a cosa serve essere arrabbiati? I giorni passano e non sembra nemmeno che il mondo lì se ne accorga. Una canzone decisamente carica di ansia e pessimismo, se non fosse per la presenza d un grande amore che colma quei giorni tanto inutili.

Love in Suburbia – Elli Schoen
E proprio dall’amore riparto per raccontarvi questo brano tanto carino quanto sconosciuto. Quando mi sono messa a cercare e definire la lista di brani da inserire all’interno di questo articolo mi sono imbattuta in Elli Schoen: di lei si sa poco, anzi praticamente nulla, però devo ammettere che questo pezzo mi ha colpito fin da subito, sarà perché di primo impatto ho riconosciuto il timbro soave di Florence Welch, artista che amo particolarmente. Di Florence, però, a parte alcune note, ha davvero ben poco.
I sobborghi sono tipicamente la meta di giovani coppie di medio-alto reddito e questo ci può portare a pensare che questi quartieri possano essere l’idillio dell’amore, un amore prima giovane ma che col tempo si può trasformare in un sentimento platonico che ti rinchiude per sempre in quello sputo di terreno chiamato casa (a questo proposito vi consiglio il film Revolutionary Road, ambientato negli anni 50 con Kate Winslet e Leonardo di Caprio, nel quale diverse scene topic sono dedicate al sentimento di estraniamento costruito dalla protagonista nel corso degli anni vissuti in quel sobborgo di New York).

Two Weeks – Grizzly Bears
Considerato che fino ad ora vi ho raccontato principalmente degli aspetti negativi della vita nel sobborgo, immagino che l’idea che vi siate fatti non sia delle migliori. In effetti anche io quando in università ho cominciato a comprendere meglio questo fenomeno urbano mi sono posta tantissime domande, ma quella che più mi ronzava in testa era: perché se quel mondo è davvero così tante persone scelgono di andarci a vivere? La risposta ovviamente non è banale né unica. Si potrebbe dire che non ci sono altre soluzioni possibili, che le alternative sono solo il caos delle metropoli e la noia di questi quartieri. Oppure si potrebbe dire che gli americani la pensano in maniera molto diversa da noi e che a loro quella vita piace veramente, che è quello a cui tutti aspirano.
Un’altra risposta alla mia domanda l’ho ritrovata nel testo di questo brano, dedicato alla routine. Credo che qualsiasi persona che si abitui ad una routine quotidiana, mensile e annuale raggiunga una sorta di beatitudine, per certi versi surreale. Gli abitanti di questi quartieri sono assuefatti dal desiderio di ottenere una routine, come anche i Grizzly Bears ci confermano:
Save up all the days
A routine malaise
Just like yesterday
Questo non significa che avere una quotidianità sia sempre un aspetto negativo, anzi. Però c’è da ammettere che ognuno di noi affronta la vita come meglio crede e sicuramente le giornate da sobborgo non fanno proprio per me.

There Is A Light That Never Goes Out - The Smiths
Per questo brano non servono molte presentazioni, però sono sicura che tutte le volte che lo avete ascoltato non vi siete mai soffermati sul vero significato del testo. In effetti, le strofe non lasciano molto spazio all’immaginazione, devo ammetterlo:
Take me out tonight
Where there's music and there's people
And they're young and alive
Driving in your car
I never, never want to go home
Because I haven't got one, Anymore
Come sempre compare l’elemento essenziale: l’automobile, così essenziale che in America si può guidare dai sedici anni, incredibile. Il finale della storia raccontata da Morrisey non è dei migliori, dato che viene descritta non solo la difficile relazione tra due amanti, ma anche le conseguenze tragiche di un incidente stradale. Insomma, diciamo che questi sobborghi americani raccontati nella musica non sono proprio paesi idilliaci come la filmografia in media ci vuole raccontare.

Neighbourhood – WhoMadeWho
Per concludere questa lista di canzoni dedicate al sobborgo americano ho scelto un pezzo di una band che amo molto e che mi ha fatto appassionare ad alcuni aspetti della musica elettronica, un genere che prima non consideravo affatto. Gli WhoMadeWho sono un gruppo danese (eh sì, proprio danese) che dal vivo rende decisamente di più rispetto all’audio e Neighbourhood è un brano che è contenuto all’interno del loro ultimo progetto pubblicato ad inizio 2018.
Il testo del brano è perfetto per provare a tirare le somme di tutto quello che vi ho raccontato fino ad ora, perché tra le strofe sono presenti quasi tutti i temi principali: il desiderio di libertà e di voler fuggire da quella realtà, la noia quotidiana, l’amicizia tra vicini e il legame col territorio che li ha cresciuti. Nonostante in Danimarca il modello urbano di periferia sia ben lontano da quello americano, la band ci ha voluto regalare un ottimo ritratto dei sentimenti che tanagliano tutti nel mondo, Stati Uniti e non. Tutto sommato non siamo così diversi, non credete?
