15 maggio 2025

C'era una volta il Britpop: il live degli Stereophonics all'Alcatraz di Milano

Alcatraz Milano, 21.30. Una venue gremita di tanta, troppa gente che scalpita per vedere quel che resta di un pezzo di storia del rock degli anni ‘90, più precisamente quel rock declinato nella sua variante Britpop, che qui proprio Brit non è, dato che Stereophonics arrivano dalle terre gallesi. Sono le 21.30 e la folla di elder millennials scalpita così tanto per i 30 minuti di attesa  che neanche la trasmissione in sottofondo di pezzi accattivanti come All Day And All Of The Night dei Kinks riesce a placare il fermento.

Il pubblico degli Stereophonics a Milano
Il pubblico degli Stereophonics all'Alcatraz, Milano | Credits: Maria Laura Arturi

Nel frattempo osserviamo la scenografia, minimale, con la grande batteria al centro e drappeggi ai lati, ricorda il ballo della scuola di Ritorno Al Futuro. Eccolo che arriva, Kelly Jones, con i suoi fantastici 4 e i suoi 50 anni freschi freschi, carico come un grillo. Con il look della band passiamo da Ritorno Al Futuro all’iconico video di Mr. Brightside dei Killers. Jones attacca con il rock ruvido e vagamente psichedelico di Vegas Two Times, un sound che è tutto il contrario della super hit che li ha resi famosi in tutto il mondo e che stiamo per sentire tra pochissimo. Suona un po’ come una presa di posizione: “siamo una vera rock band” (e il loro pubblico lo sa benissimo).

Meno ruvida, ci incanala verso la più tipica morbidità Britpop, arriva I Wanna Get Lost With You, dall’album del 2015 Keep The Village Alive, con Kelly Jones che ha fiato da vendere e l’acustica dell’Alcatraz che si merita una menzione d’onore. Arriva Have A Nice Day e ammettiamo che nessuno, sopra e sotto il palco, ha la giusta carica energetica da sfoderare alle 22 di mercoledì sera, la band accenna un po’ di svogliatezza, Jones marca sul bridge e, via, la hit ce la siamo tolta dalle scatole.

Stereophonics, Kelly Jones, live all'Alcatraz di Milano
Il frontman degli Stereophonics, Kelly Jones, in concerto all'Alcatraz di Milano | Credits: Maria Laura Arturi

Questo concerto e questo tour in generale non può essere altro che un’immersione nella storia degli Stereophonics e dei loro 12(!!!) album, allo stesso tempo ci rendiamo contro essere un viaggio nella storia di un’industria musicale diversa, nella quale, anche per una rock band, c’era spazio per per sperimentare formule diverse senza rimanere fossilizzati su un’unica cifra distintiva. Così in questa scaletta troviamo accanto a brani più luminosi e groovy – come Indian Summer, A Thousand Trees, There’s Always Gonna Be Something e Pick a part that's new i lenti che fanno ondeggiare le ginocchia e abbracciare coppie sposate da 20 anni - Just Looking, All In One Night, Fly Like An Eagle - e pure quei pezzi che non rientrano in nessuna categoria e spesso per gli Stereophonics sanno di psichedelia (ad esempio Superman). E che bella la varietà nella carriera di una band, non sarebbe male cominciare a rivederla più spesso.

Verso la metà del live l’atmosfera si fa intensa. Prima le distorsioni potentissime di chitarra e basso dell’intro di You Are My Star, poi i tintinnii di Geronimo, che ci regala anche uno splendido assolo di sax, e finalmente arriva Maybe Tomorrow: accolta da un tripudio di lucine e un karaoke generale, tanto da rendere indistinguibile la voce seriosa di Jones dalla nostra, che lo nota e non finirebbe mai di farci ricantare il ritornello alla fine. Si rallenta e si continua a cantare su Fly Like An Eagle e Mr Writer.

Stereophonics live all'Alcatraz di Milano
Gli Stereophonics in concerto all'Alcatraz, Milano | Credits: Maria Laura Arturi

Kelly Jones lascia raramente il centro del palco e rimane plastico al suo posto con la chitarra in mano – che qualche volta viene cambiata dai tecnici che lo raggiungono col favore delle tenebre – ugualmente la band non lascia i posti di comando, insomma, a livello visivo c’è una certa staticità, ma veniamo ripagati da una precisione sonora e un potenza vocale di tutto rispetto.

Spariscono e riappaiono solo prima dell’encore, dove si susseguono C’est la vie, una torta di compleanno per un membro della crew che attraversa il palco in maniera surreale, e a concludere Dakota, dritta dritta dal 2005, con il suo testo amarcord su quanto siano magiche le cose mentre succedono e il senso di smarrimento che ti assale dopo la fine un momento d’oro: è abbastanza riassuntiva della serata.

I don’t know where we are goin’ now” è il mantra del pezzo scelto dalla chiusura. Fuori dal locale due energumeni sulla quarantina con la t-shirt della band si dicono di far presto a trovare la macchina, “che Modena non è dietro l’angolo”. Sono veramente venuti da tutta Italia.

Fotogallery a cura di Maria Laura Arturi.