Partiamo dal presupposto che con Colapesce e Dimartino sono di parte e diamo per assodato che mediamente qualsiasi cosa suoni un'orchestra tocca corde che un classico concerto difficilmente riesce a raggiungere. Inseriamo questi due elementi all'interno del Teatro Dal Verme di Milano, con la sua architettura moderna e le sue poltrone verde scuro, piene dalla prima all'ultima fila e il risultano è uno dei più emozionanti concerti di musica italiana a cui abbia mai assistito.

Ad accompagnare sul palco il duo siciliano per il loro tour Archi, Ottoni e Preoccupazioni (un nome, un programma) è l'Orchestra Corelli guidata da Davide Rossi che si dispone intorno ai due artisti posizionati, nei loro abiti neri, nel proscenio e che danno il via alle danze con 30.000 euro, una ballata romantica che riarrangiata assume il sapore delle vecchie, sognanti pellicole degli anni '60. Il potere dell'orchestra è quello di far emergere la parola: senza il trambusto di batterie e chitarre i raffinati testi di Antonio e Lorenzo sono i protagonisti indiscussi della serata, li si ascolta con ancora più attenzione e ne si coglie ogni piccola, intelligente sfumatura. Con loro si riscopre la bellezza della parola ben scritta; le loro sono fotografie nitide, quotidiane ed immediate, ma che celano riferimenti più e meno colti, un po' pop e un po' radical chic, attraverso cui far passare messaggi profondi, e sta proprio in questo la loro magistrale bravura di parolieri contemporanei: il non scendere mai a compromessi con il semplicismo che ormai permea la musica pop odierna. Non so voi, ma io già al secondo brano, Sesso e Architettura, sentendo "adesso sciogli i tuoi capelli, capitelli di barocco / persi dentro lo scirocco" mi sono emozionata, c'è una certa soddisfazione nell'ascoltare delle parole messe in fila in un ordine perfettamente pensato e scandito.
Questo è solo uno dei benefici di avere un'orchestra come accompagnamento. Archi, trombe e percussioni infondono ai brani anche una particolare drammaticità e epicità. Sentire violini e violoncelli compattarsi e rincorrersi sul "ma io lavoro / per non stare con te" di Splash fa sentire addosso tutto il pathos del singolo presentato a Sanremo. Mentre il minimalismo del pianoforte suonato da Angelo Trabace, su Nati Per Vivere, loro versione italiana del brano di Marianne Faithfull e in questa occasione dedicata all'amico Paolo Benvegnù, fa calare la sala in un rispettosissimo silenzio. L'emozione è palpabile, è impossibile non fermarsi a riflettere ascoltando "i mostri bussano, ma l'amore li attraversa / nato per vivere e morire е per amarti ancora". Per la prima volta dopo tanto tempo, tanti concerti, mi sono commossa, e non è stata l'unica volta nella serata. Colapesce e Dimartino tornano in affondo con Majorana, con quei suoi arpeggi di chitarra che condensano quella tenera e rassegnata malinconia che accompagna i ricordi di ciò che non c'è più, e con la loro versione di Povera Patria di Franco Battiato. Ogni singola parola suona giusta, è un macigno, che al giorno d'oggi pesa ancora più.

La ciliegina sulla torta di un concerto già fino a qui di un altro livello è l'alchimia tra i due artisti. Non è data solo dal fatto che è quasi 5 anni che fanno musica insieme, sono amici e la loro familiarità dà vita ad una serie di gag con cui spezzano l'intensità del live. La loro verve esce per la prima volta con Il prossimo semestre durante cui giocano con i musicisti, chiedendo ad esempio a Trabace di intonare al piano un pezzo particolarmente emozionante e ovviamente non poteva che rendere omaggio a David Lynch intonando il tema di Twin Peaks di Angelo Badalamenti. Si rivolgono anche al pubblico e incitano a cantare prima chi ha la partita iva, poi chi ha il regime forfettario, poi i grafici ed infine Colapesce dice "vuoi sentire un vero boato? Ora canti chi soffre di ansia generalizzata" e il teatro all'uniscono come in un gigantesco sfogo collettivo: "ora lasciami solo, solo come un cantautore, solo come un cantautore".
L'apice però lo raggiungono quando sul palco arriva un medico in camice bianco con un urna piena di preoccupazioni, raccolte tramite foglietti al banchetto del merch. C'è chi ha disegnato una "minchia gigante" e chi si preoccupa per l'affitto, i due accolti da risate genuine danno consigli più o meno seri, farciti da detti siciliani, e invitano il pubblico a condividere le proprie preoccupazioni. Tra le mani si alza quella di un bambino che corre sul palco e candidamente ammette che lui di preoccupazioni non ne ha, voleva solo salutarli e istintivamente li abbraccia. Ho rischiato di commuovermi di nuovo? Assolutamente sì, ma le lacrime sono state smorzate con un "mi raccomando non ascoltare Ultimo" di Dimartino.

Per imprimere il concerto nelle menti di tutti i presenti verso il finale staccano le chitarre dai jack e provano un'esperimento suggerito da Antonio: cantare I Marinai, brano concesso dalla famiglia di Ivan Graziani, senza amplificazione in un teatro completamente sold out. Lorenzo imbraccia la chitarra e i due si incamminano tra i due corridoi di gradini che percorrono la platea, gli occhi del pubblico estremamente rispettoso (tutti al loro posto, molti pochi telefoni in mano) li seguono a destra e sinistra, non vola nemmeno una mosca e al temine li accoglie con un caloroso applauso che va avanti per minuti e che sfocia nel bis di Splash dove tutti sono rigorosamente in piedi e cantano a squarciagola.
Già con il concerto all'Alcatraz si erano dimostrati la punta di diamante dell'attuale cantautorato italiano, in teatro Colapesce e Dimartino rendono ovvio agli occhi di tutti la magistrale eleganza della loro poesia, creando un'atmosfera carica di emozioni primordiali. Osservandoli non posso che pensare che una delle loro particolarità sia il fatto che credono dalla prima all'ultima parola che hanno scritto e che cantano, orgogliosi della loro cultura, indipendenza e forse anche della loro sottile spocchia. Non possiamo che dire chapeau.
Nonostante 1000 parole di live report, condensare ed elaborare il concerto a cui ho assistito ieri sera non è ancora semplice, so solo che sono uscita da lì emotivamente provata e conscia che ne passerà di tempo prima di assistere di nuovo ad un concerto di tale livello e profondità.