24 febbraio 2018

Dunk, si parte - Live @ Latteria Molloy

Il concerto dei Dunk alla Latteria Molloy (prima data del tour) è stato sorprendente.
Partiamo da una componente  apparentemente marginale: il pubblico. Lo spettacolo era sold out e pieno di persone non accompagnate. Tanti che hanno deciso di recarsi da soli a sentire un concerto, che magari non si sono arresi al rifiuto degli amici, alla loro proposta di voler passare una serata di musica, evitando per una volta le solite birre del venerdì sera guardando fuori dal locale passare qualcuno che ci ignora.

Un pubblico attento: braccia conserte, nessuna traccia di selfie o dei soliti video inutili realizzati con il cellulare, massima concentrazione per ascoltare e vedere il comportamento sul palco della band. Tra gli altri nel pubblico c'era anche Fede Dragogna dei Ministri, precedentemente intervistato durante l'intervista-cena, un format adottato da qualche mese dalla Latteria Molloy per parlare di musica con qualche ospite prima dei concerti.

La seconda componente per poter definire questo concerto grandioso è, ovviamente, la performance dei musicisti.
Strepitosi, il sound energico e accattivante del disco, si trasform in qualcosa di lacerante dal vivo. Già dalla prima canzone "Avevo Voglia", ci si rassegna al fatto che quel concerto ce lo saremmo ricordati per un bel po', si capisce da subito che serve impegno nell'ascolto e attenzione a quei particolari che già conosciamo tramandati dai concerti dei Verdena e dei Marta sui Tubi e che in questo format sono riusciti ad ereditare tutta l'esperienza pregressa.
Non ci sono stati cali di intensità. La chitarra di Pipitone continuava a costruire arpeggi attorno al sound aggressivo della batteria di Luca Ferrari: una ritmica eccessiva in praticamente tutti i pezzi, ma che non stonava con l'arrangiamento melodico delle chitarre. Un live che non annoia in nessun momento, neanche quando vengono suonate le ballate del disco, pezzi più lenti ma che nascondono dal vivo una sorta di malinconia che ti avvolge e ti accompagna sognante tra le luci soffuse del palco. Si coglie facilmente l'impressione di tutto il lavoro che c'è stato in questi mesi di sala prove, prima per scrivere le canzoni e poi per poterle suonare al meglio ai live. Il concerto prevede tutti i brani dell'album, dando spazio anche a parti strumentali che creano una atmosfera di ambient rock che a tratti ricorda i Mogwai e forse - molto vagamente - i Sigur Ros.

I Bresciani che si aspettavano un ritorno del duo Giuradei ironico e scherzoso sul palco come ai vecchi tempi sono rimasti delusi. Sono ormai terminati i tempi dei concerti dove si spaccavano le chitarre, si ballava ubriachi sotto il palco e i bis non finivano mai. La nuova maschera giuradeiana è quella della compostezza e sobrietà, la necessità di essere più professionali possibili, presentarsi al pubblico come dei suonatori che non hanno nulla da invidiare agli artisti indie-rock italiani che suonano sui grandi palchi. Il gruppo ha voluto essere talmente distante dal pubblico che non ha concesso neanche un saluto, né tanto meno l'atteso quanto richiesto bis. E' comprensibile come tanti possano esser rimasti delusi da questa scelta, ma bisogna cercare di rispettare la volontà artistica dello spettacolo: un'ora e poco più di energia musicale limpida e professionale che ha travolto il pubblico di un rock energico che probabilmente nessuno, avendo ascoltato solo l'album, si sarebbe aspettato.

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