16 maggio 2025

Il circo ammaliatore dei La Femme è arrivato all'Alcatraz di Milano

Lasciati alle spalle i cancelli spalancati dell’Alcatraz è difficile descrivere a cosa abbiamo assistito stasera. Sembra di essere appena usciti dal paese delle meraviglie e di non sapere più quando potremo tornarci dentro. Il cappello viola e la giacca muccata di Marlon Magnée, gli stivali bianchi arrivati dritti dalla swinging London di Clémence Quélennec, l’incedente salita nel vuoto di Jane Peynot: siamo stati allo show dei francesi La Femme, che dal 2013, dopo il successo di Psycho Tropikal Berlin, continuano ad espandere oltre ogni dimensione possibile il loro synth pop teatrale e nostalgico, qualche volta al limite del ruffiano. Ma soprattutto, per essere precisi, a farci ballare.

La Femme in concerto all'Alcatraz di Milano
La Femme in concerto all'Alcatraz di Milano, 2025 | Credits: Emanuele Tixi Palmieri

L’ultima uscita discografica fresca fresca è l’album Rock Machine (2024) – dove insieme al respiro internazionale della band sale il numero di pezzi in inglese – ed è proprio da qui che, sull’onda dell’entusiasmo di un pubblico destinato a trasformarsi in corpo di ballo, parte la performance. I cori profondi di My Generation, che è un po’ una trasposizione made in Berlin di Walk On The Wild Side, riassumono bene il mood dei partecipanti alla serata: “We are the last generation from the old world”. Fin dagli esordi infatti l’attitudine dei La Femme è stata una balorda nostalgia per la spensieratezza degli anni ’60 e i sintetizzatori degli ’80, in cui il pubblico presente in sala, con le sue maglie a righe e le frange alla Brigitte Bardot, ha una disperata voglia di immergersi.

Ci travolge il salendo inquisitorio di Packshot con la voce conturbante di Clémence Quélennec e l’atmosfera di un giro in giostra nella casa dei fantasmi, un po’ la stessa che ritornerà con gli ululi e gli scratch di White Nights e sul finale gregoriano di Sur la planche. Sul palco la situazione è un parapiglia: tutti si muovono, si cambiano, si scambiano, è difficilissimo tenere l’immagine d’insieme, è un circo tanto colorato quanto ammaliatore. Facile perdersi dentro questa fantasia e desiderare di scapparci insieme.

Giusto il tempo di scalciare sul ritmo simil western di Sweet Babe che si apre la stagione delle lunghe suite, brani stratificati, complessi prettamente strumentali, paragonabili a colonne sonore, sono loro che distinguono il progetto La Femme dal resto della scena. Sul synth pop di Paris 2012 Jane Peynot dirige dei flussi di energia con le mani dal centro del palco, dietro l’angolo ci aspetta il cambio di rotta sorprendente tra pop ed acid rock di Clover Paradise con la sua sorta di ghost track e poi ancora i 6 minuti di psichedelia infinita di Sphynx.

La Femme in concerto all'Alcatraz di Milano, 2025
La Femme in concerto all'Alcatraz di Milano, 2025 | Credits: Emanuele Tixi Palmieri

Menzione d’onore all’ironia caustica sul suicidio di Goodbye Tonight sulla quale troviamo due membri della band che strisciano sul palco per riprendere un campanello apparentemente caduto giù nel pubblico.

In più di qualche momento l’attenzione si distoglie dal palco per concentrarsi sui corpi dei vicini, per trasformare il parterre in dancefloor. L’intro jazz Où va le monde, una ripresa sfacciata dei 60s francesi, dà inizio alle danze più sfrenate, che proseguono sul twist di Ciao Paris! e andranno avanti fino alla chiusa di I Believe in Rock and Roll, durante la quale le due tipe davanti a noi, di cui una vestita con corsetto e autoreggenti a la Mulin Rouge! si sono pure accese una sigaretta sottile (francese?).

Il circo dei La Femme, visto dal vivo, si mostra anche più sorprendente di quanto si possa immaginare da un ascolto a tutta cassa, questo misto tra Amanda Lear, Il Genio ed Ennio Morricone che potremmo definire a buon merito paneuropeo: la sofisticatezza francese, la ruvidità sintetica tedesca, lo snobismo all’inglese, la spudoratezza spagnola (su Sacatela, sono volate delle magliette) e la spontaneità italiana. Uno show che è stato un carnevale di suoni, colori e mosse irresistibili.

Facciamolo più spesso.

Fotogallery a cura di Emanuele Tixi Palmieri.