Come iniziare un articolo che parla di uno dei concerti più attesi degli ultimi anni? Forse è una sensazione troppo più grande di me, tanto che sto cancellando e riscrivendo da mezz'ora buona. Probabilmente il modo migliore, quello più usato ma che assicura una resa almeno sufficiente, è quello di partire dall'inizio. Evita errori, dimenticanze. Ma dall'inizio inizio, eh. In filosofia, partire dall'inizio significa partire dal lógos, che viene dalla radice "lg", che in greco ha generato il verbo légo, da cui l'infinito léghein, che significa "mettere insieme, raccogliere". Come quando ci si ritrova in coda per assistere ad un concerto. Ma lógos significa anche "dire, parlare", perché si mettono insieme parole, come in un testo di una canzone. Non solo parole, ma anche numeri: vedi loghismós, il calcolo. Quello degli spettatori ad un concerto, magari. In latino c'è la radice "lg" in legis, la legge che regola gli uomini dal punto di vista civile, ma anche legionis, per evidenti motivi.
Anche il termine religione, al suo interno, ha il suffisso "lg". Deriva da religio, che significa dapprima "scrupolisità, coscienza, esattezza" e, poi, "sentimento, fede, devozione". Come il lógos-discorso lega le parole tra di loro, il loghismós-calcolo lo fa con i numeri e la lex-legge regola la comunità civile con le leggi, la religione intende legare, unire, collegare. Ma che cosa? Apprezzo sempre una definizione che ne ha dato Vito Mancuso: "La religione è il tentativo da parte degli esseri umani di legare se stessi al senso di un mondo che li supera, proprio come fa il rilegatore di libri che da tanti fogli sparsi produce un volume. E i fogli sparsi sono i nostri giorni, le nostre vite che se ne vanno, che vanno dove se n'è andato chi ci ha preceduto". Nel nostro caso, su quei fogli scriviamo testi di canzoni, scalette, cartelloni per chiedere una canzone ad un artista, plettri, bacchette del batterista. Perfino tamburelli.
Io quel giorno, quel 25 luglio c'ero. C'ero quando Liam ha lanciato il tamburello a metà concerto. C'ero quando i due fratelli Gallagher sono entrati mano nella mano. C'ero anche quando ha attaccato Hello, quando hanno chiesto di girarsi, dando le spalle al palco, per fare il Poznan durante Cigarettes & Alcohol. E c'ero anche quando Noel ha iniziato a suonare Don't Look Back in Anger e quando ha smesso di cantare perché il pubblico gli sovrastava la voce. Ero sugli spalti, un po' più alto, come a voler monitorare che tutto andasse per il verso giusto.
Il concerto degli Oasis è stata un'esperienza religiosa, nel senso che ha unito sentimento, fede e devozione per un gruppo musicale e lo ha fatto "rilegando" persone insieme provenienti da tutto il mondo. Non ero mai stato a Wembley e la sensazione che ti lascia è quella di impotenza rispetto a quell'immensità che è uno stadio di 90.000 posti. Non mi ero mai emozionato così tanto per Slide Away, non sono riuscito a trattenere l'emozione quando è partita Bitter Sweet Symphony di Richard Ashcroft in apertura e non ho ugualmente avuto contegno quando le casse hanno cominciato a far risuonare Fuckin' in the Bushes, che annuncia, unanime, l'inizio del rito. L'ultima volta che quello stesso posto aveva accolto quella funzione, quelle note, era stato 16 anni prima. Alcune persone che ho visto non erano nemmeno nate, altri avevano vent'anni, adesso hanno portato con sé i loro figli. Battezzati nello stesso posto dove anche loro erano stati portati, quattro lustri fa.
Gli Oasis dal vivo nel 2025 legano come nessun altra band è in grado di fare. Non legano soltanto le anime vicine ma le persone sconosciute. Sono anche una scusa per risentire i propri cari, magari quelli un po' persi per strada. Rappresentano una scusa per fare amicizia se al concerto ci sei andato da solo. Alcuni stavano vivendo un sogno, compreso il sottoscritto. Ci tradiva un'emozione che ci mangiava vivi, fin dalla discesa della fiumana di persone alla metro di Wembley, che hanno attraversato prima i tornelli della Jubilee Line e poi si sono riversati, come folla, verso Wembley Way, lo stradone di quindici minuti a piedi che collega la stazione della Tube all'arco più famoso del mondo. Quindici minuti per raggiungere il nirvana. Sono sembrati interminabili, lunghissimi. E poi ecco le scale di Wembley, le scale mobili di Wembley, i bar di Wembley, il settore di Wembley, la fila di Wembley e il posto di Wembley.
Il concerto degli Oasis è stata un'esperienza globale, vissuta a pieno non solo in quelle due ore scarse di live ma nei momenti che hanno preceduto e seguito la salita sul palco dei fratelli Gallagher. Non esiste un report del concerto che regga. Non mi sento di dire "Roll With It bella ma perché non avete sentito come suona invece Cast No Shadow!". È un qualcosa che va vissuto nella sua interezza. Ricordate? Non i singoli fogli, ma il volume. Questo ha rappresentato il ritorno degli Oasis a Londra.
Sto tornando a casa, in Italia, mentre scrivo queste righe. In aeroporto, con il magone, perché so che è finito tutto. Alla fine riguardo i video che ho fatto, penso a come raccontarlo a chi voleva esserci ma non ha avuto la possibilità. Mi sento fortunato. Però, poi, mentre l'aereo sta per decollare, l'ultimo pensiero prima di lasciare il suolo del Regno Unito è stato: "Ma ti rendi conto?".
Legare, unire, collegare.
Gli Oasis come quanto di più vicino a un'esperienza religiosa.
Ma me lo sono meritato? Se sopravvivere a questa sacra attesa di decenni di litigi tra i Gallagher non è fede incrollabile, allora non so cosa lo sia. Quella sera, tra le crepe del tempo e delle distanze, è entrata tutta la luce del mondo. E ne sono stato testimone.