Alle porte del cambio di stagione (anche se il freddo tarda arrivare), una calda folata di vento australe si è riversata lo scorso 15 ottobre a nord di Milano, di preciso all’Alcatraz. A portarla sono stati i sette ragazzacci di Melbourne, al secolo King Gizzard & The Lizard Wizard. Degni di nota sono i due opening offerti dai connazionali ORB, con le loro canzoni “guitar-based” e felicemente psichedeliche e dalle quattro sorelle Findlay (Amy, Hannah, Holly, Sarah) conosciute come Stonefield. Già con la formazione femminile il pubblico si scalda, raccogliendo tutte le espressioni stoner-rock che arrivano dal palco.
Nota bene: con “si scalda” mi riferisco letteralmente a movimenti simili al riscaldamento pre-partita, con skip, mobilitazione articolare necessaria allo sforzo (sottolineo sforzo) da impiegare durante lo show successivo. Anche traducibile con “pre-pogo”.
Con una decina di minuti di ritardo, all’alba delle 22.00, visual proveniente dall’oltretomba appaiono alle spalle del palco, suoni gutturali esaltano quel brivido di tensione tipico. Spunta la sezione ritmica, piccolo cenno e via. Sono i primi due ottavi di un 4/4 ripetuto alla noia che introducono il resto della band , diciamocelo, il più atteso Stu Mackenzie.
È il primo atto, è Self-Immolate che da sfogo alla tensione accumulata. Così si entra nella dimensione celata dalla porta spazio-tempo che sembrano essere i due teschi della copertina dell’ultimo album Infest the Rats’ Nest; giusto ribadire: il 15° in sette anni di attività. La scaletta vede alternarsi brani dagli ultimi album fino a risalire ai primi, incluedendo anche una prima esibizione dal vivo in questo tour, quella di Han-Tyumi the Confused Cyborg. Infatti, per tutta la durata di questo tour, la scaletta non è mai la stessa, e non che abbiano un plot di 2/3 scalette da far turnare, no. La setlist cambia ad ogni live, punto.
Passando dal metal ai boogie più divertenti e incalzanti, da Nonagon Infinity a Fishing For Fishies, il flusso è unico, sia di persone che si muovono e pogano per le quasi due ore di show, sia per la capacità di rapimento e coinvolgimento che ti propinano (senza chiedere permesso) Stu e combriccola. Tra l’apoteosi più totale, la protesta alla società plastica, Ambrose che viene sollevato come se fosse un profeta divino dalla folla, si giunge alla fine di un concerto che mi piace vedere e ricordare come una lotta, divertente, ma pur sempre una lotta.
I manifesti che i King Gizzard portano, possono essere tanto scarni quanto profondi. La via adottata per diffonderli, credo sia proprio la capacità di trascinare un’intera collettività. Dove vogliono. Che figata.
Si ringrazia Maria Laura Arturi per le bellissime foto: http://www.arturized.com/