24 marzo 2023

La grande illusione: gli shame al Circolo Magnolia

Una delle particolarità del Circolo Magnolia è quel suo aspetto apparentemente labirintico: più zone nello stesso locale, finché non si arriva a quella principale. Il palco rialzato e gli They Hate Change, che danno l’impressione di riuscire quasi a toccare il tendone, scaldano il pubblico con quella che loro definiscono dance post-punk. Siamo ancora in Italia, vicino all’Idroscalo, a dieci minuti da Linate.
Sono le 21.30 circa quando il fumo si alza insieme con la tensione. Gli accordi dal sapore britannico di Fingers of Steel fanno agitare il pubblico. Charlie Steen - camicia slacciata, cintura e pantalone chiaro - prende la carica, fa un respiro profondo e urla al microfono la sua frustrazione nei confronti di quel suo amico lamentoso che ormai i fan hanno imparato a conoscere ogni volta che riascoltano l'ultimo album Food For Worms.

Gli shame, prima volta a Milano per loro, iniziano dalla loro comfort zone. Vanno sul sicuro: prima Alphabet, la canzone ideale per aprire un concerto, e poi due classici dal loro album d’esordio. Prima Concrete con cui il frontman prende il controllo della folla, dirige il mosh pit e poi si lancia nel primo dei numerosi stage diving. L’atmosfera è di colpo quella di un locale underground, sembra di essere finiti in un pub sotterraneo di Londra. The Lick ne è la conferma, gli shame non sono venuti a Milano per restare, ma per trasportare tutti nella loro dimensione. Charlie da questo momento in poi si sente a casa, fa di tutto, sale sull’impalcatura, alza l’asta del microfono, la usa come bilanciere e interagisce di continuo col pubblico. Dietro di lui Josh salta da una parte all’altra del palco in modo così sconvolgente che viene quasi da chiedersi come riesca a suonare. L’ipnosi non può spezzarsi.

La scaletta prosegue, Burning by Design funziona anche dal vivo, The Fall of Paul guadagna punti rispetto alla versione registrata e One Rizla è una certezza. Resta la loro canzone simbolo. Tuttavia è quando partono i pezzi di Drunk Tank Pink, come Water in the Well, ma soprattutto Born in Luton e Snow Day – cantata in mezzo al pubblico e sostenuto dalle mani dei fan – che si avverte un forte senso di rivincita: sono brani laceranti che hanno dovuto attendere un anno e mezzo per essere eseguiti dal vivo. La batteria di Charlie Forbes compie peripezie e si ferma solo nei momenti più emotivi e intimi: Adderall e la sorpresa finale All The People – che ha sostituito Angie e che prima di ieri era stata suonata solo in altre quattro date - fanno oscillare le pareti del pub inglese e riescono a placare gli instancabili operai del pogo. La delusione per l’avvicendamento di ballate dura lo spazio di qualche secondo, Charlie regala un’ultima scarica con Gold Hour.

Le luci si spengono ed è di nuovo Idroscalo. Gli shame sono degli impostori. Non sono mai stati a Milano, né a Lisbona due giorni fa e probabilmente non saranno nemmeno a Zurigo stasera. Loro sono a Londra, ovunque si trovino. E anche noi siamo volati oltremanica il tempo di un concerto. Il problema è l’atterraggio.

 

Foto di Maria Laura Arturi