Avete presente quel suono elegante, raffinatissimo, dai synth morbidi come il velluto che caratterizzata un certo tipo di artisti e di band francesi? Quel suono invidiabile, agognato da tanti ma dai più solo sfiorato, quell'incredibile coolness innata che permea ogni singolo elemento di un progetto, dal suono alle copertine degli album. Ecco, parte di questa Rèvolution è nata dai due uomini vestiti di bianco che campeggiano stasera sul palco del Fabrique: gli Air, aka Nicolas Godin e Jean-Benoît Dunckel.
Il duo mancava dal nostro paese dal un bel po', l'ultimo concerto nel Bel Paese era datato 2017, ma la scusa per tornare in tour è stata servita su un piatto d'argento: il venticinquesimo anniversario dell'uscita di Moon Safari, il loro disco di debutto divenuto ormai iper culto.

Per chi non lo conoscesse, Moon Safari è un disco praticamente quasi tutto strumentale, sexy, modaiolo e ultra sofisticato, entrato di prepotenza nei cuori di schiere di amanti dell'elettronica, Tumblr girl, hipster metropolitani e fan della prima ora di Sofia Coppola. Non a caso, per le loro atmosfere cinematografiche la regista aveva deciso di inserirli all'interno della colonna sonora di Lost In Translation e Il giardino delle vergini suicide. Il cinema è la prima cosa che viene in mente mentre ascolto passare i minuti del primo brano del celebre album, La femme d'argent.
Per questo speciale compleanno i due artisti suonano per intero tutto l'album, seguendo la sua tracklist originale (quella Sexy Boy seconda in scaletta ci spiazza e ci incanta tutti, facendo alzare tutte le braccia armate di telefono) fino ad arrivare a Le voyage de Pénélope: il pubblico è lì ipnotizzato dai due maghi del suono, che magistralmente si muovono tra sintetizzatori, vocoder e chitarre, creando per tutta la durata del primo encore atmosfere sospese e senza tempo. La sensazione è quella di star fluttuando in un sogno.
Dopo averci fatto fare un tuffo a fine anni '90 (più precisamente al 1998) gli Air tornano sul palco, per l'occasione allestito con un parallelepipedo bianco sul cui sfondo campeggiano scenografie varie, da minimali quadrati di luce alle stelle della galassia, per darci un assaggio del resto del loro repertorio, da Venus a Cherry Blossom Girl, da Highschool Lover a Don't Be Light, dove lunghe code strumentali eteree e malinconiche lasciano spazio a suoni più elettronici e meccanici.

Nel finale troviamo la celebre Alone in Kyoto ed Electronic Performers, una sintesi perfetta del duo: da una parte il brano simbolo della loro delicatezza e delle atmosfere meditative che aleggiano su gran parte della loro discografia, dall'altra un brano che solo dal titolo sintetizza le radici degli Air.
Guardandomi attorno noto che, nonostante un concerto di quasi due ore praticamente strumentale, con molto poco cantato e con canzoni molto lunghe, il sentimento del pubblico è quello di rispetto, gli occhi sono rapiti dai movimenti esperti e misurati di Godin e Dunckel che danno vita ad uno show cristallino, puro e di una semplicità disarmante, che per la sua dimensione astratta e concettuale forse si adatterebbe meglio ad un teatro. Vista la pioggerellina che aleggia su Milano usciamo dal locale sentendoci un po' più Bill Murray o Scarlett Johansson, con il pensiero che stanotte, appena appoggeremo soddisfatti la testa sul cuscino, i nostri sogni avranno una soundtrack nuova e super cool.