Il potere dell'amore può superare le accuse di molestie sessuali? A primo impatto questa può sembrare una domanda molto potente ma è probabilmente il più grande interrogativo che ci si pone nel 2025 quando si ascolta Pink Elephant, il nuovo album degli Arcade Fire. L'elefante nella stanza, in effetti, non sembra essere tanto quello di cera raffigurato sulla copertina del disco ma, in modo più metaforico, il riferimento allo scandalo del 2022 in cui Win Butler, voce e chitarra della band, è stato accusato di molestie sessuali. La donna coinvolta (anche se altre fonti parlano di più di una) ha parlato a Pitchfork di "dinamiche di potere sbilanciate e materiale sessuale non richiesto" inviato da Butler, accuse che poi sono state rigettate dallo stesso frontman degli Arcade Fire. Il periodo tortuoso post pubblicazione di WE ha portato, parallelamente, anche all'addio del fratello Will, che ha lasciato la band nel marzo del 2022. Riassunto veloce per chi si è collegato soltanto adesso: Arcade Fire ridotti praticamente a duo, Will Butler che, da solista, fa uscire un interessante disco con le Sister Squares e un rapporto coniugale in crisi tra Win e la moglie Regine (seconda voce, batteria, piano).

Tutto fa pensare che non sia un buon momento per registrare un nuovo album ma gli Arcade Fire si sono rimessi in gioco nel loro periodo di forma più complesso. La prima impressione che si ha del disco è, effettivamente, un senso di agitazione costante che non permette al duo di esprimersi come dovrebbero. Il rinchiudersi in studio e sviluppare nuovo materiale, a questo punto, pare essere stato più un processo necessario per i coniugi Butler-Chassagne che non per i fan. Sette delle dieci canzoni (le tre escluse sono strumentali) rappresentano il suono ma soprattutto le parole di una lunga terapia di coppia, con tutti i suoi up and down del caso. Gli ascoltatori sono, quindi, sia i destinatari che i testimoni della presunta riconciliazione di una relazione segnata da un tradimento, in cui ci sono molte spiegazioni, varie "analisi della sconfitta" ma ben poche scuse. L'approccio, essenziale, lo si nota nel bridge in tonalità minore proprio della title track
Don't think about pink elephant
Da quando gli Arcade Fire hanno imparato a scansare i problemi senza affrontarli di petto? Il marasma che si è creato attorno alla loro band è diventato troppo anche per loro? Senza dubbio, si tratta dell'album più controverso concepito fino ad oggi dalla band canadese. Non solo dal punto di vista degli eventi extra-musicali che hanno colpito il gruppo. Questo disco rappresenta un evidente cambio di rotta, soprattutto dopo due album consecutivi dalla produzione quantomeno raffinata. WE non era un capolavoro e lo stesso copione c'era stato anni prima con Everything Now, ma basta soltanto provare a riapprocciarsi ad alcuni sound di questi due album dopo aver terminato Pink Elephant (WE è soltanto di tre anni fa), per capire che sono stati fatti più passi indietro che in avanti. Questo lo si nota leggermente nel primo singolo che ha anticipato il disco, Year of the Snake, che con un titolo evocativo simboleggia il rinnovamento attraverso la muta, ma è un brano come Circle of Trust a fornirci un nome e un programma a questa crisi. Difficoltà che è stata, in un qualche modo, esorcizzata e sponsorizzata facendola diventare un'app. Circle of Trust, infatti, è stata l'applicazione sviluppata dalla band canadese per sponsorizzare il brano e il disco
Watching you dancing, it could be us

Sembra molto chiaro come l'urgenza per gli Arcade Fire fosse quella di dover realizzare un album che non solo parlasse ma affrontasse di petto un periodo molto pubblico della storia della band senza approfondire eccessivamente la questione. Circle of Trust, in questo, sembra parlare molto e dire poco. Sei minuti di parole, sei minuti di melodie che non riescono a graffiare, che talvolta paiono scimmiottare dei fratelli poco evoluti dei Depeche Mode. Ne esce fuori un pezzo poco lucido, molto emotivo (e non per forza è un male, sia chiaro) ma che pecca in sincerità. In molti pezzi, si sente chiaramente che Butler stia cercando continuamente di riconquistare la fiducia di Chassagne, con l'apparentemente tenera I Love Her Shadow che ribadisce il messaggio
Want you tell me everything about your hometown and the stars
Wanna make new constellations from your permanent scars
We never met but I remember who you are
I remember who you are
Se a cantarle è un uomo che, probabilmente, ha utilizzato i social media per contattare potenziali partner sessuali tra le giovani fan della band, la prospettiva che si ha di queste parole è quantomeno quella di sdegno.
Ma allora va tutto male? Suona tutto peggio rispetto al passato? Non per forza. Basta prendere Alien Nation, un barlume di speranza all'interno del lavoro, che suona come un pezzo b-side dei vecchi tempi andati di Reflektor. Le sue tipiche sfumature post punk c'entrano poco con l'economia generale del disco ma, in un qualche modo, funzionano. Di buono c'è anche la successiva Ride or Die. Una chitarra fa da eco e cassa di risonanza al canto tremante di Butler ed è forse il brano che più riesce a trasmettere qualcosa di realistico. Si tratta comunque di un'eccezione all'interno di più di quaranta minuti di disco.
Quello che lascia Pink Elephant, una volta arrivati alla fine, è la forte mancanza di quella apertura verso l'altro e, quindi, verso i fan. Parla tanto ma dice poco. Non ha trovato ancora le parole per esprimersi a pieno, per chiedere scusa. Si tratta di un disco arrivato troppo prematuramente. Non va mai al sodo, ci prova spesso, anzi continuamente, ma non ci riesce e sembra in lotta per trovare una possibile via d'uscita dal deserto.
I tried to be good
But I'm a real boy
My heart's full of love
It's not made out of wood
Questa non è di certo scrittura elevata alla quale ci avevano abituati con capolavori come The Suburbs. Gli Arcade Fire, forse per la prima volta nella loro carriera, hanno fatto il compitino, nulla di più. In WE e Everything Now che, ripetiamo, non erano dei capolavori senza tempo, c'era ancora la sensazione che Butler e soci stessero cercando con tutte le loro forze di creare qualcosa di innovativo. A volte riuscendoci anche molto bene. Con Pink Elephant, assistiamo ad una candela di cera raffigurante un elefante, proprio come la copertina, che fatica a mantenere acceso quel fuoco che li ha sempre contraddistinti. Sembra che sopra questo disco sia stato messo un bicchiere che ha succhiato tutto l'ossigeno e, quindi, per osmosi, le idee di un duo che, stando così le cose, pare abbia veramente poco da dire.
