Everything Else Has Gone Wrong Bombay Bicycle Club 17 gennaio 2020
6.8

C’è solo una cosa più spaventosa e urticante del tour de force delle feste di fine anno: il debriefing successivo a queste stesse una volta tornati alla realtà della quotidianità.
“Com’è andato il Natale?”
“Hai mangiato tanto durante le vacanze, eh?”
“E Capodanno poi dove siete andati?”
Una serie di interrogatori forzati che andrebbe regolamentata al più presto.
In tale scenario, i Bombay Bicycle Club appaiono come i classici a cui nemmeno l’anno nuovo ha infuso un briciolo di comune speranza e con fare disilluso in pieno stile Milhouse dei Simpsons smorzano ogni tentativo di small talk ricordandoci che tutto il resto sia andato storto. Anzi, che Everything Else Has Gone Wrong, come recita il titolo del loro quinto album, di ritorno dalla pausa di quasi quattro anni che i membri del gruppo si erano imposti per dedicarsi ad altri progetti.

In effetti, un estremamente rapido approccio al disco potrebbe anche suggerire un primo istinto di etichettare il tutto con un semplice e grossolano “un’altra band, dell’indie che fu, è ormai invecchiata”, una critica demolibile seduta stante con l’inflazionato “ok boomer” di risposta. Malgrado le apparenze infatti, un messaggio di fondo resta comunque tangibile e quanto più condivisibile, concretamente declinabile nel pensiero che nonostante tutto sembri andare a rotoli ci sarà sempre un punto di riferimento a cui tornare e da cui ripartire: la musica, oppure, in maniera più ampia, qualsiasi altra forma artistica o meno si preferisca per veicolare un’idea. Questa, la velata speranza nascosta nella tragicità dei caratteri che compongono il titolo dell’opera.

Per quanto invece riguarda il taglio sonoro scelto per l’intero componimento, i Bombay Bicycle Club hanno optato per non modificare radicalmente il loro sound, aggiungendo quindi alla propria formula più o meno consolidata negli anni una leggera spinta sul mixaggio delle chitarre: ai margini sì del guitar indie, ma ancora saldamente ancorato a concezioni synth pop, con intuizioni e dettagli che a volte danno un quid in più, mentre altre finiscono per ricalcarsi e sovrapporsi in quella che a conti fatti è la metà, per così dire, debole del CD.

La traccia di apertura, Get Up, è solo l’esempio iniziale del fatto che quando la visione di insieme combacia con la sua messa in atto, i risultati suonano bene: a testimonianza di quanto si diceva appunto poco sopra a proposito del mix, intorno ai quarantacinque secondi una chitarra prenderà man mano le redini della situazione, sfumando l’accordo di synth in apertura per sfociare in un all-in, in larga parte strumentale, della band.
Posta così una falsariga stilistica per rompere il ghiaccio, si procede con Is It Real, brano la cui base pre-ritornello rievoca paradossalmente una versione meno acidata e soffocata di Whitest Boy On The Beach dei Fat White Family, con però la medesima struttura che verrà reiterata più volte, in lungo e in largo per tutto l’album, di accostare ad accompagnamenti musicali up-beat, improntati ad una svolta radio friendly non tanto mascherata, testi pieni di timore, disillusione e sporadici barlumi di speranza racchiusi nel conforto delle casse dello stereo (pur ammesso che un bel paio di ripetizioni qua e là nei versi si potevano decisamente evitare). A scanso di equivoci, sia chiaro che la maggior parte delle tracce qui presenti sono orecchiabili, catchy ed alcune anche memorabili all’interno dei canoni e repertorio del gruppo; il problema sussiste nel momento in cui le buone idee proposte vengono ripetute fino allo stremo lungo la percorrenza dell’intero disco senza grosse novità o differenze.

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Se da un lato allora la title track Everything Else Has Gone Wrong continua con estro le discrete premesse delle due precedenti canzoni, bilanciando al meglio i sintetizzatori con gli accordi di chitarra nel mélange di pop e indie rock, lo stesso purtroppo non si può dire per le successive I Can Hardly Speak e Good Day, dove col passare dei secondi si iniziano ad avvertire le prime palesi crepe all’interno del quadro di fondo complessivo. Fortunatamente, il senso di stallo improvviso è risolto da Eat, Sleep, Wake (Nothing But You), nettamente il punto più alto della narrazione: una densa linea di basso accompagna l’arrangiamento di elettronica fino a che un ultra-gratificante giro di chitarra si dichiara primus inter pares durante il ritornello, rendendo così la traccia un avvincente inno, approvato a pieni voti.
Al contrario, la metà conclusiva del disco non è altrettanto degna di nota, chiaramente non mancano segmenti interessanti, come una certa virtù simil jazz in I Worry Bout You, ma vengono spesso soverchiati da un sentimento di sovraesposizione tematico e al tempo stesso sonoro che non comunica tanto quanto invece vorrebbe. La produzione in brani quali Do You Feel Loved? e Let You Go pare stracolma di guizzi creativi, forse troppi perché molto resti impresso al primo impatto, lasciando alla conclusiva Racing Stripes, il compito di tirare le somme e far scorrere i titoli di coda dopo uno sbilanciato ed eccessivamente lento incedere dell’ascolto, missione poi portata a termine in modo più che dignitoso, meglio di tanti altri epiloghi che si sentono in giro.

Il ritorno dei Bombay Bicycle Club lascia dunque con un po’ d’amaro in bocca, specialmente per la sua effettiva realizzazione: Everything Else Has Gone Wrong ha una propria morale ben precisa e una linea guida melodica sensata, che brilla nelle tracce di riferimento, ma che d’altro canto crolla sotto il suo stesso peso nei pezzi non meglio riusciti, stucchevoli se ascoltati uno di fila all’altro. Non a caso, i fan del gruppo avranno sicuramente nuovo materiale su cui soffermarsi, mentre tutti gli altri non andranno oltre i singoli di punta. Malgrado la sua uscita all’alba di una nuova decade, Everything Else Has Gone Wrong suona come un punto d’arrivo o, meglio, un resoconto su dove sia andato a parare l’indie rock nel corso di questi ultimi dieci anni in termini di maturazione, dimenticandosi però di avere nelle proprie radici l’iconica temerarietà per porre delle nuove basi in vista del futuro del genere stesso all’interno del panorama musicale.

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