Dopo sei anni di silenzio discografico, Justin Vernon - mente, anima e voce del progetto Bon Iver - riemerge con un album che è al tempo stesso un gesto intimo e un atto di rinascita. SABLE, fABLE si muove tra luce e ombra, esplorando le pieghe più profonde dell’animo umano per risalire lentamente verso una nuova consapevolezza, attraversando i territori incerti dell’ansia e del dolore fino a raggiungere la quiete della speranza.
Il progetto solista di Vernon nasce nel 2007 con l’album di debutto For Emma, Forever Ago, registrato in una capanna nei boschi del Wisconsin, diventando immediatamente simbolo di vulnerabilità, isolamento e bellezza folk minimale. Quell’intimità disarmante si trasformò in un cult e lanciò Vernon come una delle voci più toccanti della scena indie-folk. Nel corso degli anni i Bon Iver hanno progressivamente lasciato alle spalle l'originaria essenzialità per avventurarsi verso territori sonori più ampi e sperimentali. Con Bon Iver, Bon Iver (2011), Vernon ha introdotto arrangiamenti orchestrali e una produzione più densa, dai tratti quasi cinematografici. 22, A Million (2016) ha segnato invece una frattura decisa: un’opera criptica e coraggiosa, fatta di glitch digitali, simboli enigmatici e un’estetica frammentata ma intensamente emotiva. Con i,i (2019), tutte queste anime sembrano confluire in una visione più calda, collettiva e stratificata, dove la sperimentazione trova un equilibrio nella condivisione.
Questo lungo percorso termina con SABLE, fABLE un album che si rivela come il lavoro più umano, trasparente e spiritualmente compiuto di tutta la parabola artistica di Vernon. Già il titolo suggerisce la sua duplice natura: “sable” richiama le ombre, l’oscurità interiore, mentre “fable” rimanda al racconto, alla dimensione intima della parola che prova a dare forma al vissuto. Due immagini in apparente contrasto che qui trovano una loro armonia, intrecciandosi lungo le tredici tracce che compongono l’album.

L’album si articola in due sezioni distinte. La prima, SABLE, si apre con un’introduzione strumentale seguita da tre brani ed è senza dubbio la parte più introspettiva e oscura del disco. Qui Vernon si espone con estrema vulnerabilità esplorando temi come la vergogna, l’ansia e lo smarrimento. Things Behind Things Behind Things è una ballata rarefatta, quasi spettrale, in cui ci si ritrova avvolti da suoni ovattati, come se la voce di Vernon provenisse da un luogo remoto e profondamente interiore. In SPEYSIDE la delicatezza del pedal steel e della chitarra acustica, unita a un arrangiamento essenziale, disegna un paesaggio emotivo fatto di quiete e resa, dove l’accettazione lentamente si sostituisce alla tensione.
Con fABLE l’album cambia prospettiva e tonalità. La luce comincia a filtrare lentamente, rischiarando le ombre lasciate dalla prima parte. L’intimità non si perde ma si apre ad altro, diventando più calda e collettiva. Le collaborazioni si fanno più presenti, più visibili. If Only I Could Wait, in duetto con Danielle Haim, è una delle gemme del disco: un soul delicato, sospeso tra il desiderio e la rinuncia, tra la tensione dell’attesa e la dolcezza di accettare il ritmo naturale delle cose.
Short Story è una di quelle tracce che solo i Bon Iver riescono a rendere così toccanti nella loro apparente semplicità. Racconta il quotidiano: un gesto, uno sguardo, un frammento di memoria trasformandolo in rivelazione emotiva. Everything Is Peaceful Love suona come una sorta di inno gospel contemporaneo, lieve ma profondo, che suggella l’intero viaggio con una sensazione di pace luminosa e meritata.

Sul piano tematico SABLE, fABLE è un album che parla di fragilità e di riconciliazione ma lo fa con discrezione e profondità. Non ci sono verità gridate né slogan da mandare a memoria: è un disco che ascolta prima di parlare, che invita al silenzio, alla riflessione, alla presenza. Rispetto ai lavori precedenti, Vernon si esprime con maggiore chiarezza: i testi sono più leggibili, più accessibili eppure non perdono quella densità emotiva che da sempre caratterizza la sua scrittura.
Anche la produzione riflette questa nuova essenzialità. A differenza del barocchismo sonoro di 22, A Million o della stratificazione di i,i, qui la voce di Vernon si fa spesso protagonista assoluta, nuda e sincera, quasi sempre priva di effetti, come se volesse davvero rivelarsi, senza maschere. Le componenti elettroniche sono ancora presenti, ma lavorano in sottrazione, sostenendo il racconto invece di dominarlo. Gli arrangiamenti, per quanto raffinati, mantengono una trasparenza rara, lasciando spazio al respiro e alla luce.
Uno degli aspetti più affascinanti di SABLE, fABLE è la sua capacità di dilatare il tempo, come se ogni traccia si muovesse in una dimensione sospesa, fuori dalla frenesia del quotidiano. Le canzoni non seguono schemi rigidi, non sembrano costruite per essere semplicemente ascoltate, ma per essere attraversate, vissute dall’interno. Alcuni brani si dissolvono dolcemente, come ricordi che svaniscono al risveglio; altri si costruiscono con lentezza, sovrapponendo strati sonori, textures e armonie fino a raggiungere un’intensità emotiva che, pur restando misurata, è profondamente coinvolgente.
Non è un caso che l’atmosfera dell’album sia così rarefatta e contemplativa. Le condizioni in cui è nato il disco hanno avuto un ruolo determinante: gran parte delle composizioni ha preso forma durante una tempesta di neve che ha isolato per giorni lo studio April Base. In quel tempo sospeso Vernon e i suoi collaboratori, tra cui Jim-E Stack, hanno potuto lavorare con calma, senza pressioni, lasciando che il silenzio e l’attesa diventassero parte integrante del processo creativo. Il risultato è un album che respira, che non ha fretta, che si apre con delicatezza, invitando chi ascolta a fare lo stesso.
Le collaborazioni, pur mantenendosi discrete e mai invadenti, giocano un ruolo fondamentale nel dare al disco una voce corale. La già citata Danielle Haim aggiunge una presenza delicata ma intensa, una voce che intreccia dolcezza e determinazione. Mentre Dijon con il suo groove vibrante e Flock of Dimes con la sua voce unica contribuiscono al brano Day One.
In tutto l'album c'è una sensazione tangibile di comunità: SABLE, fABLE non suona come l’opera di una band isolata, ma come un luogo aperto, condiviso, dove ognuno è invitato a portare la propria voce, il proprio silenzio, il proprio tempo. Bon Iver non è più solo il rifugio interiore di Justin Vernon, ma un ambiente vivo, in cui l’intimità si fa collettiva.

In definitiva, SABLE, fABLE è un’opera matura, profondamente emotiva e sorprendentemente necessaria. Non ambisce a stupire né a imporsi: preferisce prendersi il tempo per accogliere, per guarire, per creare uno spazio d’ascolto autentico. È un ritorno alla semplicità, ma filtrato dallo sguardo di chi ha attraversato il buio e ne è uscito trasformato, più consapevole, più umano.
Se For Emma, Forever Ago era il disco della solitudine e 22, A Million quello della disintegrazione, SABLE, fABLE rappresenta la riconciliazione. Un abbraccio silenzioso, verso se stessi, verso gli altri, verso il mondo che continua a cambiare. Non resta che ascoltarlo con lentezza, lasciandosi attraversare con il cuore aperto e le difese abbassate.