La recensione di Neon Pill, il nuovo album dei Cage The Elephant
Una pillola al giorno, toglie il medico di torno. E così anche i Cage The Elephant. È uscito un po' silenziosamente, senza troppo rumore, il nuovo album del gruppo americano dal titolo Neon Pill. Un ritorno che comunque è stato atteso da tutti i fan dopo l'ultimo lavoro Social Cues e dopo l'inaspettato successo dell'album acustico Unpeeled.
Gli ultimi anni non sono stati assolutamente facili. In particolare per il frontman Matt Shultz che dopo la fine della sua relazione (e dopo comunque essersi risposato) è stato arrestato per possesso d'armi nel 2023. Questo nuovo disco quindi segna una sorta di rinascita, sia per lui che per tutta la band. Mantenendo un po' lo stesso stile del lavoro precedente, la band del Kentucky sforna qualcosa che oggettivamente funziona. E che, per fortuna, piace.
Le premesse non sono state sicuramente delle migliori. Il primo singolo rilasciato, l'omonimo Neon Pill, è una ballad che introduce la band nella nuova era. Il testo, incorniciato da un sound molto noto a tutti, apre anche la strada a quello che è un po' il tema cardine di tutto l'album: la perdita e il riscatto. E questo brano parla proprio di questo.
Like a loaded gun, my love
I lost control of the wheel

Non fa né caldo né freddo questo primo singolo. Il ritornello è il solito refrain catchy della band, ma non convince del tutto. Bisognerà forse aspettare? Per fortuna, non molto. Perché quando lo ascolti tutto, l'impressione iniziale sfuma e lascia lo spazio a un ottimo album.
Il primo brano HiFi (True Light) è un bellissimo omaggio a tutto l'indie-rock che li ha contraddistinti fino a questo momento. Si sentono gli Strokes, si sentono i Rapture e anche un po' tutta la scena garage rock di inizio anni 2000.
Questo non li frena, e come seconda traccia troviamo Rainbow che non solo ci ricorda i loro vecchi lavori, ma ha pure come sempre un ritornello che prende e riprende l'ascoltatore. La chitarra acida è bella presente, la batteria timida. In questa canzone ci sono tutti gli anni '80, tutto il funk e l'hip-hop degli anni '90. Ma lavorati secondo il loro stile inconfondibilmente scanzonato.
I need your touch
Your touch right now
Floating In The Sky incomincia con un pianoforte, nota dopo nota, accompagnata da una batteria ritmica. Un'altra ballad anche questa da un ritornello super convincente, che prende fin dal primo ascolto. Il testo riflette molto questo sentimento di perdita e di sconforto interiore con il cantante che racconta come voglia solo starsene per i cavoli suoi.
Metaverse e Good Time sono le due canzoni che, probabilmente, avrebbe potuto scrivere anche il buon vecchio Julian Casablancas. Si distinguono fra loro però. La prima è palesemente un grande omaggio ai primi tempi della band di Is This It: con qualche aggiunta di synth e tastiere, il riff è un ottimo reminder degli inizi dei 2000. Good Time invece è un brano ibrido: ispirandosi sempre agli Strokes, aggiunge quel tocco di Beck e di Cage The Elephant di qualche anno fa. La chitarra è inconfondibile, il rappato ben inserito dentro questo ritmo che poi al ritornello esplode con dei cori concitati a urlare:
Everybody had a good time
Everybody had a good laugh

Ball and Chain e Shy Eyes sono simili da un punto di stravaganza stilistica e arrangiamenti. Una linea di basso ben presente e fondamentale; Shultz scazzato nel canto, una cosa inconfondibile se si pensa agli esordi; la batteria pressoché la stessa in tutti e due i brani.
La successiva Silent Picture ricorda molto, da un punto di vista degli arrangiamenti, canzoni oramai storiche come Trouble. Proprio in questa traccia che c'è la presa di coscienza di tutti i problemi che hanno causato dolore e la volontà di liberarsi dai propri demoni interiori. Per quanto possa sembrare una ballad, in realtà è un grande urlo di liberazione trasformato in musica.
Neon Pill non sarà il disco dell'anno e non sarà nemmeno IL disco della loro carriera, ma non è neanche un album così lontano dai loro soliti standard. Il bello dei Cage The Elephant è che in qualche modo quasi tutto quello che fanno funziona. Magari serve un po' di tempo per arrivare bene a comprenderlo, ma funziona.
In questo disco, per esempio, funzionano come sempre i testi; funzionano le chitarre che, un po' a caso dove sono state messe, danno un ottimo senso di quello che è il loro modo di comporre brani. Funziona anche lui, Shultz, che fa mea culpa dei suoi casini, chiede perdono per tutto quello che ha fatto e che ha causato perdite e prende coscienza del futuro e di quello che sarà. In alcune canzoni, quelle più lente, lo fa elegantemente, ma anche quando ci dà dentro in quelle più catchy, il tutto comunque funziona.
Se nell'album abbiamo visto un riversare di tutto ciò che è stato, di tutto ciò che è stato fatto immaginateveli dal vivo. Me la ricordo ancora la mia prima volta, quando ho assistito a un loro set durante il Reading & Leeds festival in Inghilterra nell'oramai lontano 2016. Un'ora e dieci minuti di carica di adrenalina, rabbia e voglia di spaccare che veniva riversata in musica e successivamente addosso al pubblico. Anche qui c'è tutta la rabbia e tutta l'energia. È come una buona pillola che ti fa stare meglio: sicuramente questo disco suonato dal vivo sarà una seconda dose da paura.
