Sad Happy Circa Waves 13 marzo 2020
7.6

Ci sono momenti in cui la musica è ancora più importante del solito. È la nostra ancora di salvezza quando tutto intorno a noi sembra andare per il verso sbagliato. È l'unica certezza che ci rimane, il nostro rifugio e la nostra consolazione. Per questo motivo cercherò di lasciare i tempi difficili che stiamo vivendo il più possibile fuori da questo articolo, nella speranza di regalare almeno qualche minuto di leggerezza a chi vorrà leggerlo, e mi concentrerò sulla musica. Spero di non peccare di superficialità, non voglio minimamente sminuire o ignorare la gravità della situazione, ma la musica è anche questo: evasione. Dovendo rimanere in casa, approfittiamone per scoprire nuovi artisti, per recuperare album che non abbiamo avuto tempo di ascoltare in passato. E concentriamoci sulle nuove uscite, che ci offrono un attimo di distrazione mentre aspettiamo che si ritorni alla normalità.

Tra queste troviamo Sad Happy, nuovo album dei Circa Waves. Non si può certo dire che la band di Liverpool guidata da Kieran Shudall ami stare in ozio, dato che dalla sua formazione nel 2013 ha già all'attivo quattro album. Non solo: Sad Happy arriva solo un anno dopo il suo predecessore What's It Like Over There? (2019). Eppure quest'ultima fatica parte con delle premesse interessanti. È una sorta di concept che si articola in due parti: la prima metà è happy, la seconda è sad. Lo stacco tra felicità e tristezza non si limita a una divisione all'interno del disco, ma viene enfatizzato dalla decisione di far uscire le due parti corrispondenti in momenti diversi. Il lato Happy, solo in versione digitale, esce il 10 gennaio. Il lato Sad – uscito insieme alla versione completa e fisica dell'album – arriva solo il 13 marzo. La copertina raffigura un clown triste, una foto scattata dallo stesso Shudall per caso a una festa. L'idea di base è quella di riflettere una dicotomia, una contraddizione che domina il mondo. Felicità contro tristezza, che però spesso coesistono. Vediamo.

Partiamo da Happy. Canzoni allegre, frizzanti, che rispecchiano perfettamente il mood che questo lato vuole rappresentare. Vagamente sulla scia di classici della band come T-Shirt Weather o Movies, felici ma con un tocco di nostalgia. Senza troppe pretese ma piacevoli. Però non sono canzoni prodotte e pubblicate con assoluta spensieratezza, una motivazione dietro c'è: «If there’s anything the world needs now it’s positivity […] The ‘Happy’ side is the antidote to the terrible things going on today». E adesso più che mai ne abbiamo bisogno, non aggiungo altro. Prendiamoci tutta la positività di questa metà dell'album perché ci serve.

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L'album si apre con Jacqueline, singolo di lancio uscito lo scorso novembre e storia di una giovane madre alle prese con la difficoltà della vita quotidiana. Qualcosa di molto reale («So Jacqueline, when you're sleep deprived/ You see through your mother's eyes/ And all of the things she knew») rappresentato con schiettezza in un brano indie pop essenziale. Senza troppi fronzoli è anche Be Your Drug, il pezzo successivo, una canzone quasi post-punk incentrata sulla chitarra elettrica.

«I think that we should move to San Francisco/ That's where the happy people go» recita il ritornello di Move To San Francisco, terza traccia dell'album. All'apparenza un inno al sogno di trasferirsi in una grande città. In questo contesto la metropoli californiana rappresenta tutte le aspettative di libertà e di una vita felice, ma ci si rende conto che è solo un'idealizzazione e che ci si deve scontrare con la realtà. Non preoccupatevi, niente di troppo drastico, siamo sempre nella parte happy del disco. Ma si ripensa a come affrontare l'aspetto concreto di una città definita da Shudall «the closest I’ve ever seen pure capitalism and pure poverty so close to each other». Ancora una volta un contrasto, così come nel titolo dell'album. Felice vs. triste. Sogni vs. realtà.

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Se Wasted On You può essere letto come un commento sulla società «Everybody looks the same/ With these clear lens glasses/ And triple A passes/ A fight for fame/ No one wins today», le due tracce successive sono quelle che più di tutte uniscono felicità e nostalgia. La felicità è nei ricordi. È il misto di tenerezza e malinconia che si prova quando si ripensa a bei momenti che non potranno tornare. La prima di queste canzoni è The Things We Knew Last Night, che anche musicalmente si differenzia dagli altri pezzi di questo lato. È una ballata acustica con dei riff di chitarra. Sempre happy, ma con versi come «You took the good times on the chin/ Said ‘hold my drink I’m going in’/ And ran into the open sea/ Of boys and girls with broken dreams». La seconda canzone, la mia preferita di questo lato, è Call Your Name. Quella che più di tutte trasmette vibes in stile T-Shirt Weather. «We’ll never beat those summer nights/ In Sefton park in the fading light/ And I wanna know/ I wanna know/ Why I’m so, so cynical». La traccia finale di Happy è Love You More, in cui si affronta il tema di un amore non del tutto corrisposto. In un certo senso, un preludio all'altro lato dell'album.

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Giriamo il disco e addentriamoci nella parte Sad. Premessa, queste canzoni dal punto di vista musicale non sono necessariamente “tristi”. Non aspettatevi lunghe ballate struggenti. Musicalmente parlando, non c'è una grandissima differenza tra i due lati del disco. Quello che cambia è il tono: qui troviamo dei brani più riflessivi, più personali, dominati da temi come solitudine, paura di crescere e ansia verso il futuro. Se prima avevo detto di prenderci tutta la positività possibile, forse non è il momento adatto per ascoltare canzoni che trattano queste tematiche. Ma fidatevi che questo lato merita anche più attenzione del primo. Procediamo, quindi.

La prima canzone è anche uscita come singolo, e si intitola Sad Happy proprio come l'album. Il ponte perfetto tra i due lati, si è felici e tristi insieme, si cerca di ritrovare se stessi ma non ci si riesce.

But I will not find,

Myself tonight.

No I will not find,

Myself tonight.

But you can’t see,

My hearts made out of concrete,

You know me, I'm sad happy,

You know me, I'm sad happy.

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Wake Up Call è decisamente più negativa. Si parla di vivere di false speranze («I've been lying to myself for weeks»), aspettando una chiamata che probabilmente non arriverà. Sympathy affronta il tema della crescita e del cambiamento, ma non lo fa con il tono sereno anche se leggermente nostalgico della prima metà dell'album. Qui il tempo che passa diventa un peso, si parla di non riconoscersi più allo specchio, di avere dei dubbi su ciò che si sta diventando. Niente sintetizzatori qui, ma una melodia più lenta. Con Battered & Bruised il ritmo accelera di nuovo, creando un controsenso con i versi allo stesso tempo arrabbiati e delusi: «I’m feeling broke, I'm feeling I’ve been used,/ My love, my heart is battered and bruised». La canzone successiva, Hope There's A Heaven, sintetizza una speranza che ci sia un posto migliore. Non di un tempo, ma proprio di un posto dove si stia meglio. Un paradiso. Ed è una speranza che viene lasciata lì, non è possibile verificare se si realizzerà: «And there’s a part of me / That hope’s there’s a heaven /Yeah there’s a part of me/ That still believes».

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Parlando chiaramente, questo è sicuramente un album nel complesso piacevole, ma non ho notato particolari momenti di spicco o di originalità. Con una sola eccezione: la penultima traccia, Train To Line Street. Cos'ha di speciale? È un brano non solo interamente strumentale, ma che riproduce anche il rumore di un treno che corre sui binari, della gente che chiacchiera e tutti i suoni circostanti. Dimenticate tutto, ascoltatela, chiudete gli occhi. Vi sembrerà davvero di essere in viaggio. È un momento inaspettato nell'album, un pezzo che stacca completamente rispetto al resto, ma che allo stesso tempo si addice al tono riflessivo della parte Sad.

Arriviamo all'ultima traccia, Birthday Cake. Nel titolo si cita una torta di compleanno, ma la canzone non parla di festeggiamenti, anzi. Forse questo è il brano che più di tutti incarna lo spirito sad della seconda parte dell'album. Non c'è solo malinconia, c'è angoscia e rassegnazione. La negatività è totale. Il compleanno non è motivo di gioia, ma solamente un altro anno che passa. E questa volta non è nemmeno la consueta riflessione sul tempo che scorre, perché si aggiunge un aggravante: la paura di andarsene senza lasciare nessuna traccia.

I will try to,
I will try to leave a mark,
But we’re designed to,
We’re designed to fade like scars.
Oh, surely these candles aren't mine,
They take up a lot of the space on this cake.
Oh, I feel like we’re growing old,
Faster than what we were told,
Who will care when we go?

Ed eccoci alla fine dell'album. Un lavoro sicuramente ben fatto, a partire dalla scelta non comune di dividerlo in due parti che rispecchino due mood opposti. Magari non particolarmente originale e senza punte di diamante, ma di fatto i Circa Waves non deludono e si confermano una band valida, in grado di farci riflettere sulla contraddizione sad/happy, che sembra banale ma non lo è. Riporto il commento di Shudall: «We live in a world split into two extreme halves. One moment you’re filled with the existential crisis of climate doom and the next you’re distracted by another piece of inconsequential content that has you laughing aloud. I find this close proximity of immense sadness and happiness so jarring, bizarre and fascinating». Penso sia vero, e che questo album sia riuscito nell'intento di ricreare questo contrasto.