Stereo Mind Game Daughter
7.5

Be on your way

Con queste semplici parole, racchiuse nel brano omonimo, il nuovo album dei Daughter, Stereo Mind Game, è un viaggio onirico nei meandri della sofferenza attraverso un quantuum emotivo che viene arricchito dalla sezione strumentale alle spalle e dai testi che non smetteranno mai di farci viaggiare nella nostra mente. 

(c) Marika Kochiashvili

I Daughter hanno fatto quello che in pochi hanno fatto durante i decenni: saper scrivere testi e musiche relazionandosi non tanto alla capacità di saper gestire il dolore, quanto alla sua totale pienezza e alla presa di coscienza che sarà proprio il soffrire a farci uscire dal tunnel. 

Il dolore può essere relazionato a vari status: in questo caso, e lo vediamo nella prima traccia - nonché primo singolo rilasciato - può essere semplicemente una relazione finita per la troppa distanza geografica. A raccontarcelo, non è solo la voce delicata di Tonra ma anche l’apporto di strumenti a corde, batteria e synth che si stagliano dietro. In poche parole: vivete una relazione a distanza e state tornando a casa dopo aver passato un weekend con la vostra metà, ma non sapete se terminarla o meno? Ecco, Be on Your Way fa per voi.

Ma questo tema, la separazione fisica e metafisica dall’amore, continua in Swim Back. Registrato con 12 componenti dell’orchestra di Londra, tutti coadiuvati dal chitarrista Haefeli, nello studio a sud della capitale inglese, The Pool, la band fa proprio un tuffo in quella che è la piscina delle distorsioni, degli arrangiamenti e beat continui e regolari: la batteria, la voce distorta della cantante, questi archi in lontananza e il testo che si sviluppa attorno all’attesa, al fatto di non essere definiti. We are so vague.

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Le relazioni interpersonali non sono le sole protagoniste. Bisogna anche pensare a quei sentimenti che viviamo e proviamo verso noi stessi. E come non farlo se non durante il Party dove mai nella vita avremmo voluto essere, ma eccoci lì? Con una base perfettamente da Daughter, scaviamo nella testa di Tonra a tal punto che lei cerca di reprimere quelle voci che sente. La chitarra si attesta ai pochi accordi ripetuti per poi esplodere nel ritornello, quando è proprio la cantante a dichiarare come “some stereo mind game i play with myself” per far sì che il tutto si annulli e si auto rigeneri. 

L’album, composto da 12 tracce ben equilibrate tra di loro, fa quindi vari salti su tematiche simili tra di loro che hanno in comune la sofferenza personale. Con Isolation siamo arrivati proprio al momento più temuto forse, quello della solitudine. Non una solitudine fisica, ma anche psicologica dal momento che appunto il gioco non viene svolto nel luogo materiale ma anche in quello dell’io. Questa è una canzone forse tra le più semplici del trio, caratterizzata solo da una chitarra acustica, da una voce spezzata nel dolore e qualche giochetto strumentale in sottofondo. 

Il tutto va a discendere verso la fine. Ed è ovvio anche così: per tre quarti dell’album sono state fatte pippe mentali su come sopravvivere ad una relazione a distanza, ad una relazione con sé stessi. Chiaro è che bisogna finirla, andando quasi verso un’atmosfera ancor più onirica del solito. Ritroviamo questo contesto con To Rage e Wish I Could Cross The Sea, forse tra i pezzi più Daughter dell’intero lavoro. Proprio l’ultimo brano presenta un lavoro di synth, distorsioni e un drum beat costante quasi a segnare i passi in questo mare da attraversare. Più si va avanti e più si riesce a trovare forse una strada alla consapevolezza della fine, che tutto è andato ed è irrecuperabile: You watch the lights go off / You keep each other up.

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Di certo non possiamo pensare all’album più felice al mondo. Quando mai è stato fatto con i Daughter? Per fortuna il nuovo lavoro è uscito in un periodo nel quale non dobbiamo più legarci in casa e aspettare la fine del malvagio che dilaga fuori dalle nostre porte. Ma allo stesso tempo è arrivato proprio quando ogni relazione, che sia fisica con altri o interna con noi stessi, viene messa a dura prova da un altro dilagante nemico: la paura di perdere. La paura di perdere gli amici, la nostra famiglia, ma soprattutto la speranza di essere apprezzati, amati e capiti anche per le nostre più grandi insicurezze.

Tutto questo viene raccontato con brillante ed emotiva bravura da una band che sa cosa vuole trasmettere e soprattutto sa in che modo lo vuole fare. Se stavate cercando una nuova colonna sonora ai vostri interminabili viaggi in pullman, guardando fuori dal finestrino, mano annessa sul vetro, sarete felici di sapere che i Daughter ne hanno creata una ad hoc per non farvi sentire soli, per coccolarvi quel minimo che serve e per dirvi che è tutto ok se soffrite. Abbracciate la vostra sofferenza, poi ci si pensa a mandarla via.

(c) Marika Kochiashvili