Bisogno di respirare aria fresca, coltivare progetti paralleli e maturare nuovi stimoli per ripartire dal punto in cui ci si era smarriti e incagliati. A quasi undici anni dal non completamente convincente Following Sea, i dEUS, guidati dai membri fondatori Tom Barman e Klaas Janzoons, sono tornati in pista con il loro ottavo lavoro How To Replace It. Il quintetto belga, completato come nell’ormai lontano 2012 da Mauro Pawlowski, Alan Gevaert e Stéphane Misseghers, ha rinnovato il suo sodalizio con il produttore Adam Noble. Forte di una soddisfacente “rigenerazione” a livello creativo, è riuscito a portare in scena qualcosa di fresco, ma che contemporaneamente rappresenta la formazione di Antwerp in tutto e per tutto.

L’opera ripercorre buona parte delle contaminazioni a cui il gruppo ci aveva abituati, includendo blues, funk, jazz, soundtrack vecchio stampo, rock progressivo e sperimentazioni attigue, fino al mondo dell’elettronica, tra sfumature space, industrial e synthwave, il tutto su una base indie-rock/pop. Inutile precisare che la pandemia ci abbia messo lo zampino, dando il La decisivo in merito a complesse elaborazioni di sound e alla scelta delle tematiche testuali. Oltre al mondo affettivo, queste volgono lo sguardo a sensazioni come il timore del futuro, con critiche annesse al mondo della tecnologia, mescolato ad una buona dose di rabbia, velata da un amaro sarcasmo.
Aprono in maniera eccellente le arie sontuose e al contempo inquietanti dell’orchestrale How To Replace It, piccola suite scandita da riff di chitarra, tremolii di piano e tamburi minacciosi, che ingloba scenari blues ed elettronici. Il cantanto-parlato di Barman, che riprende personaggi come Nick Cave e Tom Waits, si alterna a cori solenni, snodandosi lungo il percorso ad ostacoli delle scosse elettriche, che pulsano sempre di più fino ad esplodere in un trionfo a cui si aggiungono fiati e archi. Il “nuovo” come spontaneo e ingenuo è il concetto chiave di Must Have Been New. Il brano dall’apertura heartland-blues rivela poco a poco la struttura di un valzer elettrico ascendente, che decolla nella seconda parte grazie ai cori gospel.

Spiazza il cambio di marcia delle mezze distopie sciorinate con sarcasmo in Man Of The House, caratterizzata da un’atmosfera a tratti cupa e pesante, tipica di industrial misto a synthwave (fornita dall’ospite Sebastiaan Van Den Branden), e a tratti grintosa, elevata dai guitar riff in zona progressive che rimandano ai Rush. La danzereccia e cristallina 1989 svicola tra passaggi coheniani, synth-pop e new wave à-la Human League, una drum-machine rubata a Springsteen, e l’intervento di una seconda voce, appartenente a Lies Lorquet.

Suona come un prolungamento superfluo della traccia precedente, smorzando leggermente i toni, con la preferenza rivolta a melodie armoniche da pseudo-ballad, Faux Bamboo, sulla quale si continua a ballare tra handclap accennati. Torna sulla retta via, allungando tuttavia un po’ troppo il brodo, il rap della minimale Dream Is a Giver, i cui sintetizzatori serpeggiano dapprima in zona Depeche Mode, spostandosi verso R&B e un sophisti-pop balthazariano con l’arrivo di piano e archi. Seguono i crepitii della drammatica Pirates, i cui sprazzi strumentali hanno avuto origine da jam casuali.
Con i suoi giri di batteria, Misseghers è protagonista assoluto di Simple Pleasures, basata su una matrice jazz-funk dove riecheggiano colonne sonore seventies, Hot Chocolate, Funkadelic, scanzonature che guardano ai Red Hot Chili Peppers, e sprazzi space. Si fanno avanti i toni timorosi di un’altra eccedenza, Never Get You High, che al disco aggiunge poco o nulla; e la bassline prominente ancora in direzione funky di Why Think It Over (Cadillac), discreto patchwork di influenze macchiate di psych, esotismi e un finale che sembra essere uscito da Screamadelica dei Primal Scream. La riflessività della ballata acustica retta dal piano Love Breaks Down cerca la profondità di una figura come Lou Reed, preparando alla più lunga Le Blues Polaire, traccia conclusiva cantata in francese. Storia d’amore dal finale fallimentare tra art-rock e chanson, si sviluppa in tre parti scandite da diversi passaggi di batteria, chitarre onnipresenti e il ritorno di Lorquet ai controcanti.
A fronte di qualche ridondanza (evitabile), con How To Replace It i dEUS confermano che la volontà di prendersi del tempo, al fine di non risultare estremamente ripetitivi all’interno di una serie di lavori pubblicati in maniera serrata, paghi adeguatamente. Così come la possibilità di ritagliarsi qualche minuto in più, per assaporare e assimilare meglio alcune note e trame dello scrigno compositivo di cui Barman e soci ci hanno fatto dono.

I dEUS si esibiranno in Italia a fine marzo. Biglietti disponibili su Ticketmaster, Ticketone e Vivaticket:
Mercoledì 29 marzo 2023 – Magazzini Generali (MI)