Una moltitudine di sfaccettature dell’animo umano. A sei anni esatti da Pleasure, Leslie Feist è tornata con il suo sesto capitolo Multitudes, prodotto insieme allo storico collaboratore Mocky, l’ex R.E.M. Mike Mills, e il musicista e compositore Blake Mills. La cantautrice canadese riprende le fila dal suo ultimo album, nel quale aveva iniziato ad esplorare il mondo attraverso una lente emozionale luminosa. A fare da contraltare a tale narrazione era un tono ruvido e schietto, sottolineato in quel caso da registrazioni imperfette e di carattere quasi lo-fi.

Incentrato sui temi dell’amore e della perdita, riconducibili rispettivamente alla nascita della figlia adottiva e alla scomparsa del padre, Multitudes rinnova l’interesse di Feist nel trattare l’accettazione della propria identità e di tutti gli stati d’animo. Non si parla tuttavia di mere spinte motivazionali, ma di storie di tentativi. In esse la protagonista è disposta a mettersi in gioco, sbagliare, e imparare dai propri errori. Dal punto di vista delle sonorità vi è invece un ritorno a melodie più chiare e definite. A spiccare è la matrice indie-folk, rimandando in particolare alla migliore Aldous Harding, a cui si collegano incursioni orchestrali, che trovano origine nell’operato di Tori Amos e Kate Bush, e un paio di guizzi art-pop.
Il collage sintetico dell’apertura bjorkiana In Lightning è assemblato con curiosi tribalismi, folgori di tastiera e chitarra elettrica, e cori sovrapposti, che fanno da introduzione all’ascoltatore nel tempestoso universo interiore dell’artista.

Gioca sul contrasto tra la paura di diventare genitore e il desiderio di sperimentare un legame destinato a durare per sempre Forever Before, caratterizzata dagli accordi minimali di una flebile chitarra acustica e da un fugace passaggio di piano. Agli arpeggi incerti di Love Who We Are Meant To si aggregano gradualmente gli archi, metafora di un’esperienza personale di vivere i sentimenti che diviene universale. La polifonia malinconica di Hiding Out In The Open ci riporta ai lockdown pandemici, dove ognuno era costretto a confrontarsi con i propri fantasmi e la vita che si era costruito fino a quel momento, magari insieme al proprio partner, nell'assordante silenzio casalingo.

Si prosegue con l’inverno mite descritto nella leggera The Redwing, la cui sensibilità pop riporta subito alla mente il progetto vincente delle boygenius, e con I Took All Of My Rings Off, incardinata sulla solennità del violoncello e i tremolii delle tastiere. Il cerchio rappresenta la forma simmetrica per eccellenza, e gli anelli descritti dalla cantautrice nel brano indicano i legami e gli impegni messi momentaneamente in discussione, e quindi “tolti”, al fine di svuotare la mente e prendere delle decisioni, per poi indossarli di nuovo, una volta ritrovata la serenità.
Vocalizzi e un cantato quasi recitato in stile musical caratterizzano Of Womankind, inno a non nascondere la propria femminilità, e ad abbattere le politiche e gli stereotipi costruiti sul corpo delle donne, rivendicando il diritto alle proprie scelte. «Hugging pepper spray at night/ We check under our cars/ To navigate this subtle maze/ Be exactly who we are» recita il coro che conduce al finale della canzone, mostrando il timore a cui si è sottoposte per condurre una vita senza rinunce, sperando di non dover mai più udire sentenze abominevoli, tra cui il classico “se l’è cercata”. Una traccia che richiama alla memoria anche il rifiuto di Feist ad aprire le date del recente tour degli Arcade Fire, a seguito delle polemiche che avevano travolto Win Butler, accusato di molestie sessuali da diverse ragazze.
Un altro highlight all’interno del disco è rappresentato dal crescendo del mood atmosferico e spirituale di Become The Earth, il cui argomento è la perdita di una persona cara, e più in generale la caducità e la fragilità della vita. Fa seguito la liberatoria dichiarazione d’intenti Borrow Trouble, che attraverso i suoi turbini caotici, le arie trionfali à-la Florence And The Machine, e le spinte in zona heartland-rock, esprime la voglia di cambiamento rispetto ad un passato burrascoso.

Appare inizialmente criptica Martyr Moves, che si muove su armonie cristalline, e la cui chiave interpretativa risiede nella domanda cruciale: «Will the loneliness crush me more alone or with him?». Da essa traspare l’idea di una relazione agli inizi e il pensiero della costruzione di una famiglia, mettendo in conto le difficoltà che potrebbe comportare tale scelta. Ci si avvia verso la chiusura con la placida Calling All The Gods, il cui testo contiene dei riferimenti dell’Odissea tradotta da Emily Wilson, prima donna ad aver pubblicato nel 2017 una versione del poema in inglese e ad aver riscosso un grande successo. La chiosa finale è lasciata alla scarna Song For Sad Friends, lettera indirizzata agli amici della cantautrice, che parla del rispetto delle emozioni altrui.

Fortemente complesso ed evocativo, a dispetto delle trame apparentemente semplici, Multitudes necessita di più ascolti per essere interiorizzato al meglio in ogni sua sfumatura: concept di ampio respiro poetico, è probabilmente il disco più intimo e personale di Feist, attraverso il quale l'artista ci fa dono di una piccola parte di sé e dei suoi tumulti emotivi, nei quali è davvero difficile non ritrovare qualcosa che ci appartiene.