"Everyone in LA has such good style. I can't tell who's HAIM and who's just three people."

- Ava Daniels nella serie Hacks

Ancora prima della musica, nella loro strabiliante (e ben gestita) onda di successo post Women in Music, Pt. III (2020), le sorelle HAIM sono diventate un simbolo di coolness e nonchalance losangelina. Eleganti ma mai snob, talentuose e disimpegnate, capaci di recitare con i propri nomi di battesimo in un film nominato agli Oscar (Licorice Pizza, firmato padrino audio-visivo Paul Thomas Anderson, che ha anche scattato la foto della copertina del nuovo album nonchè diversi videoclip per la band) sia di saltare a bordo trend virali con l’ironia dei loro sketch. Sono passati 5 anni da quella foto dietro al bancone della salumeria, da quello che è stato a tutti gli effetti l’album che ha regalato alle HAIM un respiro globale, in questo periodo abbiamo sentito parlare moltissimo di loro - forse più di quanto abbiamo ascoltato la loro musica – eppure ci sembra di sapere ancora pochissimo di chi sono. Adesso, dopo essere state abilissime surfiste e aver sfruttato al massimo l’onda lunga del loro break-out album, tornano, finalmente, a far parlare le note.

Le Haim in una foto per promuovere il nuovo album "I quit"
HAIM | Credits: Lea Garn

I quit, io lascio, me ne vado, è una citazione dal film musicale del 1996 Music Graffiti che le HAIM usano per scherzare tra di loro: sceglierla come titolo dell’album è stato un inside joke che è diventato realtà; anche se a guardare bene un filo conduttore c’è: come spiega sempre Alana, ad ogni traccia corrisponde qualcosa che non serve più e che le HAIM si lasciano alle spalle, che sia una relazione pesante o una maschera sociale. I quit, con le sue 15 tracce, è un album lungo, soleggiato, terribilmente trendy, in cui le HAIM non smentiscono il proprio passato in nome della nuova popolarità né corrono troppo velocemente nel futuro, ma, molto coraggiosamente, “stanno”.

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Can I have your attention, please? For the last time before I leave (…)I'll do whatever I want /I'll see who I wanna see / I'll fuck off whenever I want / I'll be whatever I need”. Questa è la dichiarazione di intenti con cui la voce di Danielle Haim apre il disco in Gone, mentre in sottofondo all’occorrenza scorre un sample di Aretha Franklin (Oooohhh Freedom) a farci intendere che questo è un album ricco non solo nei suoni ma anche nel cash. È un pezzo ruvido, folk rock, che perfetto per i titoli di coda di un film western tutto al femminile. Il messaggio? È tempo di soddisfare quel bisogno artistico e umano di liberarsi da aspettative e sovrastrutture. Una buona premessa.

Con il tormentone Relationships – che se ascoltata fuori dal loop di TikTok fa notare una linea melodica simile più del dovuto a quella della precedente hit 3AMAll Over Me e Spinning, le HAIM continuano a giocare abilmente con i cliché dell’universo femminile. Se All Over Me è un concentrato di lascivia che suona come suona il pop quando è fatto in casa HAIM (ossia tanti riferimenti ai primi anni 2000), Spinning, con il suo lo-fi accelerato, è una geniale maratona di cardio non priva di doppi sensi.

Le Haim al Primavera Sound 2025, Barcellona
Le Haim al Primavera Sound 2025 | Credits: Renato Anelli

In tanti altri momenti del disco i brani ci danno l’impressione di nascere da momenti di stop obbligato dopo anni e situazioni vissuti a un ritmo vertiginoso. Di autocoscienza mista a sensi di colpa ci parlano Down to be wrong ed Everybody’s trying to figure me out. La prima, parte lenta, quasi grunge, poi accelera sulle percussioni fino a diventare sempre più metallica, il ritornello, poi, con urlo estremamente pop il ritornello ci disorienta facendoci scordare il rock sperimentale della strofa, e viceversa. Everybody’s trying to figure me out, tesa, cupa, fino a diventare serratissima, è l’esperienza del senso di colpa da guarire con l’auto-indulgenza: mentre stiamo passando un momento difficile tutti si preoccupano per noi, ma non possiamo permetterci di aggiungerlo alla lista dei problemi.

Lucky Stars, hit forse ancora dormiente, è la perla indiscussa di I quit: i cori con le tre voci che si rincorrono, impercettibilmente sfalsate rispetto al ritmo dettato dalla chitarra elettrica, il salendo elettronico nasale del ritornello, rendono questo pezzo un distillato puro di stile HAIM  e forse la nuova Now I’m In It. Insieme a lei c’è Take Me Back con il suo country sgangherato e irresistibile (con il giusto balletto questa estate potrebbe fare da supplente a Cotton Eyed Joe).

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Qualche caduta di stile in un numero di tracce così ampio c'è, un esempio ne è Love you right, che come direbbe una di quelle ragazze di L.A. con il maglione della GAP e i pantaloncini corti "sounds cheesy", un po' posticcia. È seguita a ruota da The Farm, metafora un leggermente grottesca che paragona il sistemare gli ultimi affari di una relazione finita alla disputa su una fattoria: va bene la sfegatata country, ma sentita fuori da un bar del Wyoming (dove i lacrimoni sarebbero assicurati), fa un po' sorridere.

La chiusa, Now it's time - che con una certa furbizia fa l'occhiolino a quella Now I'm In It che ha aperto tante porte -  è un rock puro, graffiante, rumoroso, distorto, che, per l'ultima volta in quest'album, ci invita a quittare, lasciare andare, pesi morti emotivi e sentimentali.

Dopo la lunga pausa che ha dato ad Este, Danielle e Alana tempo per tirare un respiro di creatività e meditare sul proprio ritorno, con I quit le HAIM fanno quello che sanno fare meglio: far passare per effortless qualcosa di studiato nei minimi dettagli. Ma, ehi, non è forse questo il dovere di ogni donna?